Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso dell’Ottocento la cellula viene progressivamente riconosciuta come l’unità strutturale e funzionale fondamentale della materia vivente, e le sue alterazioni morfologico-fisiologiche come l’evidenza della malattia. Il perfezionamento delle tecniche di osservazione microscopica consente dunque di caratterizzare i componenti fondamentali della cellula, protoplasma e nucleo, nonché di descrivere i cromosomi e le modificazioni cui questi corpi nucleari vanno incontro durante la divisione cellulare.
Dalle vescicole alle cellule
Le cellule erano state descritte nel 1665 da Robert Hooke (1635-1702), mentre osservava una sezione di sughero al microscopio. Lo scienziato inglese le considerava delle piccole cavità separate da pareti solide e riteneva tali strutture dei canali per la conduzione del fluido. Il fatto che le tecniche non consentissero di identificare le stesse strutture negli animali induceva i naturalisti a riconoscere quali costituenti elementari degli organismi viventi altre strutture osservabili al microscopio, come le fibre o le vescicole, e questo sino agli inizi dell’Ottocento.
Nel 1827 la costruzione del microscopio con lenti acromatiche consente di scoprire che le vescicole sono degli artefatti ottici. Con sempre maggior frequenza i botanici e gli anatomisti descrivono quindi le cellule che negli anni Trenta sono considerate parti costitutive degli organismi viventi insieme alle fibre (anch’esse ben presto riconosciute come formate da cellule).
Nel 1838 il botanico Jacob Schleiden formula l’ipotesi che gli organismi viventi siano fatti di cellule.
Schleiden, il cui discorso trae sostegno solo dallo studio del mondo vegetale, attribuisce a ogni cellula una vita indipendente, che riguarda il suo sviluppo individuale, e una incidentale, relativa alla sua integrazione nella vita della pianta.
Poiché i nuclei delle cellule vegetali si moltiplicano prima che si formino le pareti cellulari, Schleiden ritiene erroneamente che le cellule si formino a partire da una massa di piccoli granuli che produrrebbero prima il nucleolo, quindi il nucleo e infine la cellula.
Il principio dell’organizzazione cellulare, ovvero la teoria che la formazione delle cellule è alla base della costruzione di tutti i prodotti organici, viene generalizzato a tutti gli organismi viventi da Theodor Schwann nelle sue Ricerche Microscopiche (1839). Per Schwann le strutture essenziali delle cellule sono il nucleo, il contenuto fluido e la parete, non sempre visibile nei tessuti animali. Il suo libro ha un enorme impatto sulla biologia del tempo: la maggior parte degli istituti e degli scienziati ridefiniscono i loro programmi di ricerca alla luce della teoria cellulare.
Il grande successo della teoria cellulare si realizza nella patologia. È Rudolf Virchow che, raccolta l’eredità della scuola anatomica e anatomo-clinica che andava alla ricerca delle sedi della malattia, sposta l’attenzione dagli organi e dai tessuti alle cellule. Nel 1858 Virchow pubblica La patologia cellulare nei suoi fondamenti fisiologici, in cui riformula i metodi e gli obiettivi dell’indagine patologica, definendo la malattia come disturbo fisiologico e la cellula come la più elementare unità organizzata dell’attività fisiologica.
Nel 1841 Rudolf Albert von Kölliker riconosce la natura cellulare dello sperma e anche gli stadi embrionali dell’organismo cominciano a essere descritti in termini di cellule.
Successivamente i protozoi e più tardi i batteri avrebbero arricchito l’universo delle forme cellulari, aprendo una serie di interrogativi sulle relazioni evolutive tra organismi unicellulari e multicellulari, nonché nuove prospettive per le ipotesi sulla natura dei processi fermentativi e sul contagio vivente.
La moltiplicazione cellulare
L’opera di Schwann contiene anche una serie di concetti sbagliati sull’origine delle cellule, in quanto assume che esse possano formarsi sia dall’interno che dall’esterno delle cellule stesse. In sostanza Schwann accetta la teoria di Schleiden riguardante la formazione delle cellule vegetali per aggregazione di granuli in nuclei, che quindi si espandono in cellule, e la applica alle cellule animali. La sostanza fondamentale da cui si produrrebbero le cellule viene definita da Schwann “citoblastema” amorfo, e l’ipotesi della formazione della cellula per aggregazione viene considerata in perfetta sintonia con le concezioni correnti riguardo la formazione delle cellule dagli essudati dei vasi sanguigni.
Anche se diversi biologi descrivono la moltiplicazione delle cellule, molte osservazioni avvengono in campo embriologico, dove permangono comunque delle resistenze ad accettare il fatto che l’uovo sia una cellula e che lo stesso valga per i blastomeri che si formano dalla divisione dell’uovo fecondato.
Solo alla fine degli anni Quaranta Kölliker generalizza il concetto che le cellule si moltiplicano per divisione. Tuttavia resta la possibilità che in molti altri processi proliferativi le cellule si formino in modo diverso, o almeno non per divisione di una cellula precedente.
Nel 1855 Robert Remak paragona l’ipotesi circa l’origine esogena delle cellule alle teorie della generazione spontanea. Rifacendosi agli studi sperimentali sullo sviluppo degli embrioni di rana, in cui riesce a osservare la comparsa dei tessuti specializzati, Remak giunge alla conclusione che le cellule di cui è costituito un animale si moltiplicano per divisione continua. Nello stesso anno Rudolf Virchow, che conosce i dati di Remak, sintetizza questa idea nel famoso motto “Tutte le cellule da una cellula”.
Natura e funzione del nucleo
Il nucleo viene osservato nel 1830 da Jan Evangelista Purkinje e nel 1831 da Robert Brown. Il comportamento del nucleo nella divisione cellulare, inoltre, è attentamente studiato da numerosi citologi, per comprenderne il ruolo e capire la natura della trasformazioni cui va incontro durante la divisione cellulare.
Sin dal 1840 vengono osservate delle strutture contenute nel nucleo, i cromosomi. A partire dal 1871, anno in cui Vladimir O. Kovalevsky (1842-1883) pubblica il primo disegno dei cromosomi, cominciano a circolare diverse descrizioni delle trasformazioni cui vanno incontro i cromosomi durante la divisione cellulare.
Nel 1873 Anton Schneider (1831-1890) osserva che, durante la segmentazione dell’uovo, i cromosomi delle cellule migrano per metà a un polo e per metà all’altro polo di ogni cellula. Ed Edward Strasburger, utilizzando l’alcol come fissativo, riesce a seguire tutte le fasi della mitosi.
Nel 1882 Walter Flemming, lavorando con cellule e nuclei delle salamandre – che sono relativamente più grandi – è in grado di stabilire che la sostanza colorabile contenuta nel nucleo (i cromosomi) è la stessa che nelle diverse fasi della divisione assume diversi tipi di organizzazione. Flemming descrive chiaramente la rottura longitudinale dei cromosomi nella metafase della mitosi e stabilisce che ogni discendenza cellulare acquisisce un set completo di cromosomi. La scoperta che il numero di cromosomi è lo stesso in tutte le cellule consente di sviluppare diverse teorie sulla continuità e l’individualità dei cromosomi come base dell’ereditarietà.
Nel 1883 Eduard van Beneden osserva che la divisione cellulare porta a una riduzione del numero di cromosomi, processo che verrà chiamato maiosis (da cui meiosi) da John Bretland Farmer (1865-1944).
Nel 1876-1877 Oskar Hertwig e Hermann Fol descrivono la presenza di due nuclei, uno dei quali proveniente dallo spermatozoo, nella cellula uovo fecondata. Tale scoperta confuta la teoria per cui il nucleo dello spermatozoo non parteciperebbe alla determinazione della struttura dell’organismo, ma funzionerebbe solo da stimolo eccitante. Infatti Hertwig e Fol osservano il fondersi dei nuclei e la cellula fecondata che comincia a dividersi, da cui Fol dimostra che proprio lo sperma trasferisce nella cellula fecondata una sostanza, che risulterà essere il materiale ereditario.
Nel 1869 Friedrich Miescher ha già identificato chimicamente il contenuto del nucleo, scoprendo gli acidi nucleici ovvero la sostanza chimica di cui sarebbero costituiti i geni.
Dal protoplasma al citoplasma
L’altro componente fondamentale della cellula, su cui si concentra l’attenzione dei citologi, dei fisiologi e dei chimici è il protoplasma. Sin dalla fine del Settecento si era osservata la presenza di una sostanza filamentosa nelle strutture degli organismi viventi, ma a questa si era prestata scarsa attenzione.
Schleiden e Schwann attribuiscono una funzione formativa a questa sostanza filamentosa, ma il termine protoplasma viene coniato nel 1839 da Purkinje, per denotare la materia embrionale degli animali.
Il termine viene poi ripreso da Hugo von Mohl per denotare il fluido viscoso in cui si sviluppa la cellula e a cui Von Mohl attribuisce una funzione strutturale.
Nella seconda metà del secolo sul protoplasma si concentra l’indagine chimica e chimico-fisica riguardante la costituzione del vivente e i processi chimici che definiscono le proprietà fisiologiche della cellula. Thomas Huxley, il principale divulgatore della teoria evoluzionistica, definisce il protoplasma “la base fisica della vita”.
Una volta accettato il concetto della divisione cellulare, il protoplasma diventa comunque non più la sostanza in cui si formano le strutture, ma il costituente fondamentale delle cellule. Data la difficoltà di identificare la membrana delle cellule animali, che non possiedono una parete di cellulosa come le cellule vegetali, si attribuisce inizialmente al protoplasma anche la capacità di condensarsi per mantenere l’unitarietà morfologica della cellula.
Con il perfezionamento e il potenziamento del microscopio si comincia a osservare un’organizzazione differenziata del protoplasma. Il concetto che il protoplasma non sia una struttura uniforme viene avanzato su basi speculative da Ernst Brücke, ma solo nel 1888 Kölliker descrive i mitocondri che nel 1890 saranno colorati in modo specifico. Lo sviluppo delle tecniche di colorazione e il crescente interesse per le differenziazioni inter e intracellulari porteranno presto all’identificazione dell’apparato di Golgi e dei reticoli endoplasmatici.
Verso la fine dell’Ottocento vengono anche proposti diversi modelli chimico-fisiologici del protoplasma, riconducibili a due diverse concezioni riguardo la natura chimica della materia vivente. Da un lato il protoplasma è descritto come una molecola gigante (una macromolecola) a cui sono attaccate delle catene laterali (gruppi atomici), dotate di diverse funzioni biochimiche (in alcuni casi queste catene sono considerate direttamente enzimi responsabili di specifiche attività fisiologiche, come la respirazione, l’assimilazione ecc.); da una prospettiva teorica diversa, invece, il protoplasma viene riconosciuto come un ammasso colloidale dotato di un complesso di caratteristiche fisiche e non chimiche, da cui dipende la sua partecipazione alle diverse attività vitali della cellula.
La scoperta della membrana cellulare
Una chiara differenziazione tra parete cellulare, membrana cellulare, protoplasma e nucleo è dovuta agli eleganti esperimenti realizzati da Ernst Overton nell’ultimo decennio dell’Ottocento.
Mentre è facile osservare le pareti cellulari nei vegetali, per riconoscere la membrana delle cellule degli animali Overton deve dispiegare una serie di ingegnose indagini fisiologiche attraverso le quali nel 1895 riesce a dimostrare sia la presenza della membrana cellulare animale, sia il fatto che la membrana contiene lipidi.
Le esperienze di Overton inaugurano una tradizione di studi chimico-fisici sulle proprietà della membrana cellulare che porteranno progressivamente alla caratterizzazione della membrana cellulare come una struttura lipidica fluida, in cui sono contenute in equilibrio dinamico proteine e piccole quantità di acidi nucleici e carboidrati.
Conclusione
Alla fine dell’Ottocento la teoria cellulare è alla base delle ricerche sperimentali sull’origine della morfologia dei viventi e dell’ereditarietà.
Le ricerche cominciano a indirizzarsi verso la natura dei costituenti molecolari e del nucleo, che possono dar conto della trasmissione ereditaria dei caratteri, nonché dei processi differenziativi che caratterizzano la costruzione della forma degli organismi.