Tolkien, John Ronald Reue
Il signore della narrativa fantastica
La passione per le antiche lingue e mitologie ha alimentato la prodigiosa inventiva di John Ronald Reuel Tolkien, l’autore della celebre trilogia Il signore degli anelli. Egli ha costruito un mondo alternativo, romantico e feroce, abitato da creature bizzarre che onorano, nel bene e nel male, le leggi primordiali della vita
Chi conosce Il signore degli anelli probabilmente si sarà fatto un’idea sbagliata del suo autore. È facile immaginarselo come un tipo battagliero e bizzarro, tutto preso dai suoi elfi e dai suoi draghi, pronto a qualsiasi avventura. In realtà Sir John Ronald Reuel Tolkien era un serio professore di una delle più importanti università del mondo, Oxford, che, già anziano (era nato nel 1892), conduceva una vita piuttosto noiosa e abitudinaria. Amava le giornate tranquille, il silenzio, i libri, evitava il clamore e si muoveva solo in bicicletta. Ma in Inghilterra tutti lo guardavano con rispetto: era un grandissimo filologo, studioso e traduttore di lingue dimenticate. Conosceva meglio di chiunque altro l’inglese antico e il gallese, e si dilettava con la decifrazione scientifica del gotico, del celtico e del finnico. Non solo, sin da ragazzo riusciva a inventare parole nuove in quegli idiomi, ma addirittura lingue inesistenti, con suoni e regole grammaticali, che chiamò lingue elfiche.
Tolkien passava tutto il suo tempo chiuso in casa, immerso in questi progetti che nessuno capiva: gli altri professori dell’università si lamentavano, dicevano che era uno scansafatiche e che non aveva voglia di scrivere libri, come facevano gli altri. Egli non ci badava troppo: parlava dei suoi studi solo con pochi amici, a cui raccontava di popoli estinti, delle loro mitologie, delle loro abitazioni e di come costruivano le case.
Così, non è poi tanto impensabile che proprio da lui sia nato un mondo completamente nuovo, con le sue leggi, i suoi personaggi, la sua storia. Il mondo prese forma nel 1937 con Lo hobbit, il racconto che avrebbe inaugurato il genere letterario fantasy, allargandosi poi a dismisura con la celebre trilogia Il signore degli anelli (1954-55), composta da La compagnia dell’anello, Le due torri e Il ritorno del re. Il trucco di Tolkien per coinvolgere il suo pubblico era studiare tutto alla perfezione: calcolava la velocità dei cavalli, il tempo di viaggio di un uomo a piedi, disegnava mappe accuratissime e faceva muovere i suoi personaggi più lentamente se nella cartina c’era una montagna da scalare. Certo, per tutto questo ci vuole tempo, e Tolkien impiegò quasi dodici anni per elaborare il suo capolavoro. Si sa, il vecchio professore detestava la velocità, i ritmi e tutti i marchingegni moderni. Non per niente i suoi hobbit vivono in una valle meravigliosa, senza macchine né rumore, e non usano nessuno strumento più complicato di un mulino. Fosse stato per lui, Tolkien si sarebbe trasferito subito nella Contea con Bilbo e Frodo. Anzi, nei suoi ricordi di bambino le campagne inglesi in cui era andato a vivere appena arrivato dal Sudafrica – paese in cui era nato – erano proprio così, tranquille e luminose, senza diavolerie inutili. Lì aveva passato anni dorati, seppur orfano di padre, e aveva divorato i suoi libri preferiti, come quello che narrava della lotta di Sigfrido col drago, e si appassionò ai miti, alle fiabe e alle leggende. Al contrario, le esperienze che visse durante la Prima guerra mondiale nelle paludi delle Fiandre, in cui perse molti amici, mischiate al grigiore delle metropoli industriali inglesi, si fusero nella sua memoria per dare vita alle terribili terre di Mordor, le più paurose zone delle sue storie.
Tolkien morì nel 1973 e nessuno riuscì mai a convincerlo che la scienza e il progresso possono anche migliorare la vita dell’uomo: secondo lui l’umanità si doveva fermare prima e accontentarsi, invece ha rovinato tutto. Per dimostrarlo, ha inserito nel Signore degli anelli una grande differenza rispetto ai miti che amava tanto: Frodo non combatte per conquistare qualcosa, come Prometeo e tanti eroi dell’antichità. Il potere ce l’ha già, racchiuso nell’anello, ma lo vuole distruggere per evitare che qualcuno lo usi male. E tanti ragazzi, lettori dei suoi romanzi, hanno capito così bene il suo pensiero che, riflettendo su quei tempi lontani di cui lo scrittore sentiva nostalgia, immaginano un futuro migliore.