HONG KONG.
– Demografia e geografia economica. Storia. Architettura. Bibliografia. Cinema. Bibliografia
Demografia e geografia economica di Michele Castelnovi. – Questa regione speciale della Cina presenta caratteristiche geografiche eccezionali. Vi si riscontra una delle maggiori densità demografiche del pianeta, ospitando in soli 1104 km² (fortemente urbanizzati) più di 7.234.800 ab., ai quali si aggiungono, ogni giorno, decine di migliaia di pendolari che arrivano quotidianamente dal limitrofo territorio cantonese (la Zona economica speciale di Shenzhen), non soltanto per lavoro, ma anche per turismo o per fruire di servizi che non sono ancora disponibili sul territorio cinese continentale. H. K. risulta sempre ai primi posti nella classifica mondiale per reddito pro capite e in numerosi indicatori della qualità della vita.
Dal punto di vista fisico, la regione è composta da due parti: l’isola di H. K. e le due penisole di Kowloon (Caolun) e dei Nuovi territori. Si stima che la parte edificata superi il 60%, con altissimi grattacieli: lo spazio verde è stato reso prezioso, al pari di un bene di lusso. Nel 2005 ha suscitato scalpore l’inaugurazione del primo parco Disneyland in Cina, su una superficie di quasi 50 ettari ricavata dal mare; nel 2011, un’altra struttura di pari estensione, il Global geopark, ha ottenuto un riconoscimento dall’UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization).
Nel 1997 il territorio di H. K. è stato restituito alla Cina dal Regno Unito, pur nel quadro politico che segue il principio ‘un Paese, due sistemi’. Gli accordi infatti garantisco no importanti tutele per lo stile di vita degli honkgonghesi fino al 2047, permettendo lo sviluppo di attività politiche e commerciali altrimenti vietate nel resto della Repubblica popolare cinese: in particolare, diritti relativi alla libertà di voto (con pluralità di partiti), alla libertà di stampa e all’economia di mercato. Imponenti manifestazioni, avvenute nell’autunno del 2014, hanno espresso il timore che proprio tali tutele possano essere messe in discussione anche prima della data concordata, sottolineando la necessaria indipendenza dei partiti politici locali e contestando l’ipotesi che i candidati siano indicati dal governo pechinese.
Storia di Giorgio Cuscito. – H. K. è un’ex colonia britannica, diventata dal 1997 Regione autonoma speciale della Repubblica popolare cinese (RPC), e gode di una serie di privilegi politici, sociali ed economici. Secondo il principio ‘un Paese, due sistemi’, che regola il rapporto con Pechino, nella regione il sistema capitalista e lo stile di vita precedenti al 1997 saranno conservati fino al 2047. Ciò assicura al governo locale il consenso dell’élite economica, dei liberi professionisti e delle categorie lavorative che beneficiano dello status quo.
Il Legislative council di H. K. (Legco, il Parlamento locale) è eletto per metà in collegi elettorali a base distrettuale e metà in collegi determinati in base all’occupazione professionale (Functional constituencies, FC), per cui votano anche le persone giuridiche. L’Election committee (EC) – comitato che sceglie il capo del governo (Chief executive) – è composto da esponenti di diversi settori socioeconomici e, in minima parte, da rappresentanti del Legco, di circoscrizioni territoriali minori e rappresentanti di H. K. a Pechino. La Legge fondamentale di H. K. – qua si equiparabile a una Costituzione – prevede che «lo scopo ultimo è l’elezione a suffragio universale sulla base della designazione da parte di un Nominating committee (NC) ampiamente rappresentativo secondo le procedure democratiche». Una soluzione non gradita ai partiti pro democrazia, che dal 1997 desiderano l’introduzione di un suffragio universale ‘pienamente democratico’.
Nel 2007, una Commissione sullo sviluppo strategico formata dal Chief executive Donald Tsang redasse il Green paper on constitutional development, dedicato alle riforme del sistema elettorale. A dicembre, il Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo della RPC rispose al rapporto affermando che le elezioni a suffragio universale del Chief executive si sarebbero potute tenere nel 2017 e quelle del Legco in seguito. Fu confermato il ruolo del Nominating committee, con struttura analoga a quella dell’EC e tradizionalmente composto da rappresentanti in maggioranza pro Pechino. Svolgendo una funzione di filtro sui candidati al ruolo di capo del governo, in sostanza il comitato avrebbe sottoposto ai cittadini solo candidati graditi al potere centrale cinese.
Alle elezioni parlamentari del 2008, i partiti pro Pechi no, guidati dalla Democratic alliance for the betterment and progress of Hong Kong (DAB), ottennero la maggioranza nel Legco. Nel 2009 un Consultation document emanato da Tsang, rimandò le discussioni sulle riforme a dopo le elezioni del 2012. L’anno dopo, cinque parlamentari pro democrazia si dimisero per protesta, obbligando la città a elezioni suppletive: fu un referendum de facto sulle riforme, conclusosi con la rielezione dei parlamentari dimissionari. Nel 2012, i membri dell’EC passarono da 800 a 1200, quelli del Legco da 60 a 70, ma le proporzioni dei seggi assegnati ai diversi settori rimasero invariate. Leung Chun Ying (pro Pechino) divenne il nuovo Chief executive, vincendo su Henry Tang (pro Pechino) e Alberto Ho (pro democrazia) al termine di una campagna elettorale segnata dagli scandali. Nel Legco i partiti pro Pechino ottennero nuovamente la maggioranza. Nel 2014, il Congresso nazionale del popolo della RPC confermò che nel 2017 H. K. avrebbe potuto votare il capo del governo tra candidati scelti dal NC. A giugno, 800.000 cittadini parteciparono a un referendum non ufficiale organizzato dal movimento Occupy central with love and peace su possibili riforme democratiche di tale meccanismo, ma il governo cinese lo considerò illegale. Dal 28 settembre, migliaia di cittadini, soprattutto studenti, guidati da Occupy central, bloccarono le strade della città, chiedendo le dimissioni di Leung e un sistema pienamente democratico. Il governo locale e quello di Pechino, forti del sostegno dell’élite economica locale, non cedettero di fronte alla ‘rivoluzione degli ombrelli’ (utilizzati per proteggersi da gas lacrimogeni e spray al peperoncino delle forze di polizia). Tra novembre e dicembre la polizia rimosse le barricate di Occupy central, ponendo fine alle proteste, ma non alle aspirazioni democratiche di Hong Kong.
Architettura di Leone Spita. – L’ex capitale inglese dell’Asia, dal 1997 regione amministrativa speciale della Cina continentale, non ha perduto il suo dinamismo commerciale; al contra rio, dalla concorrenza con Shanghai è uscita rafforzata, per confermarsi come la capitale economica e finanziaria del continente. Tra i luoghi del pianeta in cui l’architettura ha giocato un ruolo fondamentale, amplificandone l’infinita verticalità, H. K. ha perso l’atterraggio, fra alcuni dei grattacieli più noti al mondo, al Kai Tak airport, sostituito nel 1998 dall’imponente struttura high-tech del Chek Lap Kok airport di Foster+Partners, costruita su un’isola artificiale che per il 70% è formata da materiali di recupero.
A H. K. la mancanza di aree libere, l’alta densità demografica e l’accidentata orografia urbana hanno favorito un pervasivo sistema di collegamenti in quota, la cui presenza e interconnessione sono state incrementate negli ultimi anni. Una rete di sovrappassi pedonali, di parchi pubblici e privati, di centri commerciali e piattaforme MTR (Mass Transit Railway è il sistema di trasporto metropolitano) ha trasformato gli spostamenti in un’esperienza complessa, in una singolare continuità tra spazi pubblici e privati. In questa onirica distorsione nel modo di percepire la distanza e il tempo sono stati realizzati interessanti interventi architettonici, da parte di studi stranieri e progettisti locali, che trasferiscono i linguaggi internazionali – di derivazione tecnologica, formalista ed ecologica – nella complessa topografia naturale del paesaggio urbano. Tra questi studi si sono distinti i progetti di: Daniel Libeskind Studio (Run Run Shaw creative media centre, 2011); Rocco Design Archi tects (HKSAR government headquarters, 2011); Coldefy & Associates (Hong Kong design institute, 2011); P&T Group (Hong Kong velodrome, 2013); Aedas (Composite building, 2013); Zaha Hadid Architects (Jockey club innovation tower, 2014).
Bibliografia: R. Wu, S. Canham, Portraits from above. Hong Kong’s informal rooftop communities, Hong Kong 2008; A. Frampton, J.D. Solomon, C. Wong, Cities without ground. A Hong Kong guidebook, Berkeley-Hong Kong 2012.
Cinema di Giona Antonio Nazzaro. – Nel 1997 H. K. ha cessato di essere una colonia britannica e, rientrando nell’orbita d’influenza del la Repubblica popolare cinese, la produzione filmica di H. K. ha cessato di essere un cinema dell’esilio, caratteristica che ben definiva il rapporto con la madrepatria. L’ineluttabilità dell’handover (consegna, cessione), temuto fortemente dal cinema hongkonghese, definito in cinese huigui (ritorno), ha provocato un esodo verso Hollywood da parte di cineasti, produttori e, in misura minore, attori. Il cinema di H. K. era esploso nel decennio compreso fra il 1980 e il 1990. Il declino di grandi studio come gli Shaw Brothers, il contemporaneo affermarsi di una nuova generazione di cineasti e soprattutto «l’ingresso in scena di una nuova generazione che non conosce la Cina, la prima la cui identità è specificamente hongkonghese» (Assayas 2014, p. 23), sono i fattori principali di questa affermazione. La nuova generazione ha favorito l’affermarsi di un cinema estraneo alle ricostruzioni in studio di una Cina lontana e idealizzata, dimostrandosi in grado di porre in relazione la tradizione e «i quesiti posti dalla modernità occidentale» (p. 24). Se dunque H. K. «è stata il laboratorio della modernità cinese» (p. 22), il ritorno alla Cina ha rimesso in discussione un sistema di equilibri politici e produttivi unico e complesso.
Legato a un sistema di generi codificato, oltre che a un sistema divistico articolato e in costante rinnovamento, il cinema dell’ex colonia britannica negli anni successivi al 1997, e soprattutto a partire dal 2000, ha affrontato la fondamentale sfida di conservare la propria posizione sul mercato interno e di continuare a proporsi come valida alternativa spettacolare nel confronti del cinema hollywoodiano che nel frattempo ne ha assorbito stilemi, linguaggi e, soprattutto, il particolare sincretismo formale (esempio principe la trilogia Matrix, 1999-2003, dei fratelli Andy e Lana Wachowski). Gli anni Duemila sono stati inaugurati da Shun liu ni liu (2000; Time and tide - Controcorrente) di Tsui Hark, il più importante dei cineasti di H. K., che ha anticipato numerose delle trasformazioni che avrebbero poi investito la città e il suo cinema. Uno dei pochi autori a non essersi lasciato tentare dalla trasferta statunitense, Johnnie To, attraverso la sua società di produzione Milky way Image, ha continuato non solo a produrre lavori di grande forza espressiva, ma anche commedie di largo consumo e addirittura lavori schiettamente sperimentali. Regista di prodigiosa prolificità e tenuta qualitativa, a partire dal 2000 ha realizzato quasi trenta film (alcuni in collaborazione con Wai Ka-fai): tra questi, PTU (2003), Dai si gin (2004, noto con il titolo Breaking news), Yau doh lung fubong (2004, noto con il titolo Throw down), San taam (2007, noto con il titolo Mad detective), Man jeuk (2008, noto con il titolo Sparrow ) e Du zhan (2012, Drug war), il primo realizzato interamente in Cina, si segnalano tra i suoi lavori più interessanti. Wong Kar-wai, invece, ha firmato nel 2004 l’ambizioso 2046, come monito per l’anno 2047, quando il principio della coesistenza cesserà del tutto e il sistema capitalistico di H. K. sarà assorbito da quello cinese. Nel 2013 ha diretto invece il più tradizionale The grandmaster, saga di arti marziali dalla genesi produttiva laboriosa.
Dopo una sortita hollywoodiana contraddittoria, John Woo è ritornato in Cina per realizzare l’epico kolossal in due parti Chi bi (2008-09; La battaglia dei tre regni). Andrew Lau, innestandosi nella poetica noir di John Woo, ha diretto a partire dal 2002 la trilogia Infernal affairs, del cui primo capitolo Martin Scorsese ha realizzato il rifacimento statunitense con The departed (2006; The departed - Il bene e il male). Altra serie di grande successo è stata quella dedicata al maestro di arti marziali Ip Man, con quattro film a cavallo fra il 2008 e il 2015 diretti da Wilson Yip e Herman Yau (Ip Man, Ip Man 2, The legend is born - Ip Man, Ip Man - The final fight).
Tsui Hark, dopo Shun liu ni liu, si è confermato il più innovativo tra i registi di H. K. e ha infatti rivoluzionato l’uso del 3D con i film Long men fei jia (2011, noto con il titolo The flying swords of dragon gate) e, soprattutto, con Di Renjie - Shen du long wang (2013, noto con il titolo Young detective Dee - Rise of the sea dragon), seguito di Di Renjie - Tong tian di guo (2010; Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma). Infine anche Kung fu (2004; Kung fusion) di Stephen Chow e Sao du (2013, noto con il titolo White storm) di Benny Chan, pur rielaborando forme filmiche della tradizione classica dei generi, evidenziano notevole capacità di reinvenzione e immaginazione. Entrambi elementi fondamentali del cinema di Hong Kong.
Bibliografia: O. Assayas , La sfera di cristallo, in Il nuovo cinema di Hong Kong. Voci e sguardi oltre l’handover, a cura di S. Locati, E. Sacchi, Milano 2014, pp. 21-30.