HATHOR
. Una delle maggiori dee del panteon egizio, il cui nome significa "Castello del falco Hôr" (gr. 'Αϑύρ, 'Αϑώρ, Plutarco αϑυρι; copto Hathôr). - In origine personificò l'abitazione celeste di quel dio; poi venne pensata come sua madre (onde fu volentieri assimilata alla dea Iside; cfr. pure Plut., De Iside, 56); solo molto tardi è detta moglie di lui. La massima importanza le venne dall'essere ritenuta per "Occhio del dio Rîe" o anche per il suo serpente uréo (spesso insieme confusi), che permise di concepirla come divinità solare femminile, pur rimanendo "Figlia di Rîe". Sino dai primordî, si amò di ritrovarla in molte dee-piante (come il sicomoro), dee-vacche (di qui l'emblema della corona con il disco solare tra le corna che la caratterizza), con il feticcio-sistro di Diospolis parva. Per quest'ultimo divenne dea della musica e dell'amore (grecamente Afrodite). Ebbe molti santuarî, di cui quello di Dendera (v.) è oggi il più famoso ed ebbe sacerdotesse al suo servizio. Un mese dell'anno prese il suo nome. Un gruppo di sette Hathor (almeno dall'epoca dell'impero) presiedeva alle sorti dei neonati.
Bibl.: Oltre ai libri citati s. v. egitto; Religione, K. Sethe, Zur altägypt. Sage vom Sonnenaugen, in Untersuch. z. Gesch. u. Altert. Ägyptens, V, 1, Lipsia 1912.