Flaubert, Gustave
Il tormento dello stile
L'immagine più spesso ricorrente dello scrittore francese Gustave Flaubert, che era figlio di un illustre chirurgo, è una celebre caricatura nella quale egli appare impegnato a dissezionare Emma Bovary, la protagonista della sua opera più celebre. La penna, adoperata come un bisturi, rivelerebbe l'inclinazione alla cruda rappresentazione della realtà. Ma Flaubert oggi ci appare in modo ben più complesso: come esempio di grande scrittore, attento ai problemi compositivi e a quelli estetici, legati allo stile e alla musicalità della parola
Le storie della letteratura hanno sottolineato a più riprese l'importanza che riveste l'anno 1857, quando nella stessa città, Parigi, escono quasi contemporaneamente, in volume, I fiori del male di Charles Baudelaire e Madame Bovary di Gustave Flaubert. Questi due libri riassumono, per così dire, l'eredità del Romanticismo, diviso fra la tensione verso ciò che sta oltre l'apparenza sensibile (e quindi l'indeterminato e il vago) e viceversa la rappresentazione della realtà.
Baudelaire ‒ che per primo teorizzò la "poesia pura", una poesia, cioè, di pura sensazione, da cui fosse stato eliminato ogni elemento logico-razionale ‒ comprese immediatamente la visione tragica del mondo che sottostava a Madame Bovary: la protagonista Emma è un personaggio dominato dall'artificiosità, nutrito com'è di sogni e fantasticherie destinati inevitabilmente a infrangersi (e di qui il termine bovarismo nel significato di "credersi diversi da ciò che si è").
Il romanzo ottenne un successo vastissimo, anche per il processo all'autore che ne seguì. Sebbene assolto, Flaubert, che era stato messo sotto accusa per oscenità, uscì duramente provato dalla vicenda giudiziaria; e l'avversione per una notorietà sempre più legata, nel corso della sua vita, unicamente a quell'opera gli farà confessare all'amico Maxime Du Camp che, qualora ne fosse stato in grado economicamente, avrebbe acquistato tutte le copie in circolazione della Bovary per gettarle nel fuoco e non sentirne più parlare.
Collocato storicamente nel cuore esatto del secolo (nato a Rouen nel 1821, muore nel 1880 a Croisset, dove si era ritirato in splendido isolamento già dal 1843), Flaubert, sia nella rovinosa mediocrità di Emma Bovary, sia nell'ardore intellettuale di Frédéric Moreau, l'autobiografico protagonista dell'altro suo capolavoro, L'educazione sentimentale (1869), descrive le ricchezze e le contraddizioni di un'epoca, gli slanci e l'immobilismo, ponendo a nudo le illusioni perdute della generazione cui appartenne, ora con ironia e sarcasmo ora con malinconico distacco. La pagina conclusiva di L'educazione sentimentale è, in tal senso, emblematica: "E ricapitolarono la loro vita. Avevano fatto fallimento tutt'e due, colui che aveva sognato l'amore e colui che aveva sognato il potere. Per quale ragione? "Forse è stata la mancanza di una linea diritta", ‒ disse Federico. "Forse per te è così. Io invece ho peccato per eccesso di rettitudine […]. Ero troppo logico, tu eri troppo sentimentale". Poi accusarono il caso, le circostanze, l'epoca in cui erano nati".
In questo dialogo è racchiusa la doppia, e solo apparentemente contraddittoria, natura di Flaubert: sospeso, appunto, fra il "troppo logico" e il "troppo sentimentale". Nell'opera dello scrittore sarà la componente ironica, spinta talvolta fino all'estremo e al grottesco, a funzionare come elemento chiave, capace di stabilizzare e di fornire equilibrio alla pagina scritta, facendo da freno e contrappeso al pericolo di un abbandono lirico sempre in agguato.
Le più remote radici di Salammbô (1862) ‒ affresco storico ambientato in un'antica Cartagine tanto più lontana quanto più desiderata ‒ si potrebbero ricercare nello stato d'animo del giovanissimo Flaubert che, dopo la licenza liceale, affronta un viaggio nei Pirenei e in Corsica. In tale occasione erano state sufficienti le botteghe nel porto di Marsiglia a ricreare nella sua mente "i profumi d'Oriente, le immagini della vita del serraglio, le carovane in cammino nel deserto, i chiari di luna sul Bosforo".
Più direttamente Salammbô, in cui Flaubert lascia andare a briglia sciolta la sua immaginazione dentro una fantasticheria storica, esotica e lussureggiante, trae ispirazione dal grande viaggio in Grecia e in Italia compiuto fra l'autunno del 1849 e il 1851; nonché, dopo ricerche bibliografiche e documentarie estenuanti, da una seconda missione lampo compiuta dallo scrittore in Tunisia, sui luoghi dell'antica Cartagine, nell'aprile del 1858. Sempre a un immaginario che fa capo a un Oriente favoloso sono improntati La tentazione di sant'Antonio (opera fondamentale, su cui Flaubert tornò a lavorare per l'intera esistenza: se ne contano tre redazioni di cui la definitiva del 1872) ed Erodiade (uno dei Tre racconti, apparsi nel 1877).
Torniamo a quel fatidico 1857. Abbiamo accennato al concetto di "poesia pura", che possiamo riassumere come l'invenzione di un linguaggio autonomo che ha in sé la propria ragion d'essere, al di là dei contenuti particolari che intende rappresentare. Per una corretta analisi dell'opera flaubertiana dobbiamo tener fermo questo punto, giacché lo scrittore si muove in due ambiti molto diversi. Da un lato abbiamo testi impostati classicamente (per esempio Madame Bovary, L'educazione sentimentale, Un cuore semplice, primo fra i Tre racconti e altissimo esempio di novella). Siamo cioè di fronte a opere con una cifra stilistica costante, uniforme. La loro importanza risiede soprattutto nei contenuti e in alcuni motivi ricorrenti: Flaubert, per esempio, era affascinato dalla stupidità e dalla banalità, come se tutte le idee (buone o cattive che fossero) divenissero indifferentemente pedestri o banali solo perché erano state espresse. Di qui, un Flaubert antesignano nell'avanzare una critica che può essere allargata anche ad alcuni aspetti della nostra contemporaneità: Emma Bovary che legge tantissimo ma senza capire, la 'biblioteca circolante' come simbolo della continua offerta della civiltà moderna sono quasi una prefigurazione della odierna società dei consumi e dell'immagine, in cui si resta sommersi dalla mole delle informazioni senza potersi orientare e scegliere.
D'altro canto Flaubert fu scrittore ossessionato dallo stile e dall'idea che si potesse riuscire a creare un'opera tale da sostenersi solo sulla forza della scrittura. Eccoci allora proiettati su un diverso fronte, poi ampiamente sviluppato nel Novecento, quello di un anti-romanzo, una struttura ambigua, aperta alle diverse interpretazioni del lettore.
Ed è in questa prospettiva che deve essere considerata l'opinione di chi ritiene Bouvard e Pécuchet, il romanzo incompiuto cui Flaubert lavorò dal 1874 fino alla morte, come il suo capolavoro assoluto: si tratta di un viaggio vorticoso e grottesco di due copisti attraverso lo scibile umano, cui si devono aggiungere alcuni fascicoli facenti parte del piano dell'opera (fra cui il pungente, e a tratti esilarante, Dizionario dei luoghi comuni).