grammatica
Le norme che regolano una lingua
Nell'opinione di molti la grammatica rappresenta una parte dello studio della lingua, spesso fatta di faticosi esercizi o di regole da imparare a memoria. Questa concezione, a lungo presente nella scuola, offre una rappresentazione limitata della grammatica. Il termine grammatica deriva dal greco, dove l'espressione tèchne grammatikè indicava "l'arte dello scrivere" (infatti gramma vuol dire propriamente "scrittura, lettera"). Tuttavia, già nell'antichità greca aveva assunto il significato di studio del linguaggio, delle lingue. E, in sostanza, questo significato originario è rimasto più o meno lo stesso fino a oggi
Ciascuna lingua ha delle norme, che tutti coloro che usano quella lingua mettono in atto. L'insieme di queste norme si chiama grammatica di una lingua.
È facile, per esempio, riconoscere che la tavolo, i bicchiere, così come la frase preso buona la Giacomo ha pagella sono espressioni linguistiche errate poiché contraddicono le regole grammaticali dell'italiano. In questo senso, cioè come insieme di norme usate dai parlanti di una comunità linguistica, la grammatica si apprende facilmente, con il semplice uso della lingua.
Lo stesso accade per tutte le lingue del mondo: il loro uso è cioè regolato da norme che tutti conoscono e mettono in pratica semplicemente comunicando con gli altri. È in questo senso che diciamo che esiste una grammatica italiana, inglese, cinese, giapponese, spagnola, russa, polacca e così via.
Per Francesi e Inglesi è, per esempio, automatico specificare il soggetto di una frase, mentre ciò non avviene in italiano. Infatti se dico "guardo la TV", chiunque capirà che chi guarda la TV sono io, anche senza specificarlo. In francese, in inglese e in altre lingue ancora, invece, il soggetto deve per forza essere specificato, e infatti avremo: je regarde la TV (francese), I watch TV (inglese). In italiano il plurale maschile si fa con i (libro/i) e quello femminile con e (sedia/e), in inglese con s, senza distinzione di maschile e femminile perché non esistono i generi (books, chairs). In italiano, gli aggettivi hanno sia il genere sia il numero, in inglese sono invariabili: libri rossi si dice red books e sedie rosse red chairs. In tedesco e in francese, come in italiano, ci sono invece i generi, anzi il tedesco ha anche il genere neutro. Tali caratteristiche grammaticali si apprendono senza sforzo fin da piccoli.
Pensiamo ora a ciò che spesso accade (specialmente agli adulti) nell'apprendere una lingua straniera. Data la diversità delle norme grammaticali, per molti si tratta di un percorso faticoso riuscire a parlare, per esempio, in tedesco o in inglese. Ma l'apprendimento e l'uso di tale grammatica, che per noi può essere difficoltoso, è un fatto assolutamente naturale per i parlanti di quelle lingue. Esso avviene cioè in modo spontaneo, semplicemente usando la lingua: senza la necessità di alcun insegnamento specifico, come appunto dimostra il fatto che anche i bambini sono in grado di usare correttamente parole e di costruire frasi ancor prima di iniziare il percorso scolastico.
La stessa nostra esperienza ci fa vedere come molte persone, che sembrano non sapere nulla di grammatica (intesa come disciplina da studiare e apprendere a scuola) siano in grado di usare correttamente parole e frasi della lingua. Insomma esiste una grammatica che si acquisisce spontaneamente, con il solo uso della lingua. Tale grammatica viene definita grammatica implicita o vissuta.
Tuttavia, di solito la grammatica è intesa come studio sistematico di una lingua e delle sue norme. In tal senso lo studio grammaticale consente di descrivere com'è fatta una lingua in tutti i suoi aspetti e quali sono le sue regole di funzionamento. Se le regole che apprendiamo spontaneamente determinano la grammatica vissuta o implicita, lo studio di una lingua e delle sue norme si può chiamare grammatica esplicita o riflessa. In altre parole, attraverso lo studio grammaticale diventiamo consapevoli dei meccanismi alla base dell'uso della lingua.
Ma di cosa tratta esattamente la grammatica? Molte delle nozioni grammaticali alle quali si fa tuttora riferimento risalgono in gran parte all'antichità greca. Sebbene nel corso del tempo gli studi linguistici hanno elaborato nuovi concetti, tali nozioni sono ancora largamente utilizzate e costituiscono una solida base per lo studio grammaticale. È opportuno dunque partire da questo punto.
Tradizionalmente la grammatica viene suddivisa in fonologia, morfologia e sintassi. La fonologia (dal greco phonè "suono, voce") studia i suoni che compongono le parole. Nelle grammatiche, però, ci si riferisce spesso anche all'uso scritto della lingua, per cui accanto alla fonologia troviamo anche la descrizione delle regole di scrittura delle parole di una lingua, cioè l'ortografia.
La morfologia (dal greco morphè "forma") studia la forma delle parole, come variano (se possono variare) e le relative regole. Detto in altro modo, la morfologia studia come si comportano le parole di una lingua e cioè come si forma il plurale dei nomi; come si coniugano i verbi; come variano i pronomi; come si formano parole nuove attraverso per esempio un suffisso (elemento linguistico che si mette al termine di una parola per formarne un'altra) o un prefisso (elemento linguistico che si mette all'inizio di una parola per formarne un'altra): se a computer aggiungiamo il suffisso -izzare abbiamo il verbo computerizzare; se ad allarme premettiamo il prefisso pre- abbiamo preallarme.
Oltre alla fonologia (e all'ortografia) e alla morfologia, ha sempre avuto grande importanza nello studio grammaticale la sintassi (dal greco sỳntaksis "ordinamento"), che studia il modo in cui le parole si combinano in frasi e come le frasi si combinano tra loro. Per esempio, capiamo facilmente che la frase si casa in trova montagna la non è corretta, non segue cioè le regole grammaticali dell'italiano. Infatti, chi parla o conosce l'italiano direbbe la casa si trova in montagna: le parole sono le stesse, ma in questo caso sono state collegate tra loro in modo sintatticamente corretto.
La scuola ha dato sempre molta importanza alla classificazione delle parole (l'analisi grammaticale) e alla individuazione delle categorie sintattiche che costituiscono la frase (l'analisi logica). Questa suddivisione ha un suo valore, ma non esaurisce la descrizione di una lingua, poiché è necessario tenere conto anche di altri aspetti. Infatti, nel corso del tempo, gli studi linguistici hanno elaborato teorie di descrizione della lingua sempre più accurate, creando una nuova terminologia che in alcuni casi ha una circolazione limitata tra gli specialisti, ma che per altri aspetti è ormai presente in numerosi libri scolastici di grammatica accanto a quella tradizionale.
Ma chi stabilisce le regole grammaticali da insegnare a scuola? Da dove si ricavano le norme grammaticali?
Lo studio grammaticale è stato da sempre legato all'insegnamento linguistico. Pertanto molti hanno ritenuto che la sua funzione dovesse essere soprattutto quella d'indicare gli usi corretti della lingua: infatti come risolviamo i dubbi linguistici se non consultando una grammatica? In effetti un buono studio grammaticale consente di individuare le regole fonologiche, ortografiche, morfologiche e sintattiche di una lingua, e dunque è in grado d'indicare le norme da seguire per un corretto uso. Il contrasto nasce però su come intendere le regole grammaticali e in base a quali criteri selezionarle. Nella tradizione pedagogica italiana tale contrasto ha evidenziato due ulteriori concezioni diverse di grammatica: la grammatica normativa e la grammatica descrittiva.
La grammatica normativa si fonda sul principio che le norme per un uso corretto della lingua debbano provenire da esempi di autori illustri ed essere basate su un modello di lingua scritta e letteraria. Non seguire tali norme equivarrebbe a non rispettare la grammatica. In tal modo, però, non si tiene conto del fatto che la lingua è una realtà dinamica e in movimento, che dunque si modifica nel tempo e, cosa ancora più importante, consente una molteplicità di usi.
L'italiano di oggi è diverso dall'italiano del Seicento o dell'Ottocento: vi sono parole nuove e nuove forme ed espressioni. Inoltre, alcune espressioni linguistiche che in passato erano ritenute errate oggi sono invece accettate. Infine, non esiste solo la lingua dei poeti o dei romanzieri, ma anche la lingua parlata al mercato, con gli amici, per scrivere lettere, e-mail, per slogan pubblicitari, comizi, leggi, manifesti, canzoni, articoli. La lingua, dunque, concede molte possibilità espressive, mentre una concezione rigida della grammatica tende a limitare le alternative e a stabilire le regole, senza possibilità di modifica.
La grammatica descrittiva, invece, parte correttamente dall'idea di descrivere il funzionamento della lingua sulla base degli usi che i parlanti, cioè tutti noi, facciamo della lingua. In tal modo, infatti, si possono realmente individuare le norme di una lingua poiché le ricaviamo dagli usi reali: comunque con la consapevolezza che la lingua è in movimento e dunque anche le norme possono cambiare. In altre parole, anche la grammatica descrittiva ha lo scopo d'indicare le norme di uso corretto della lingua, ma individua tali norme nella realtà dei variegati usi linguistici, scritti e parlati, piuttosto che ricavarle solo da esempi colti e letterari. Inoltre la grammatica descrittiva pone i suoi risultati come soggetti a cambiamenti, in base alla modificabilità della lingua nel tempo e in base ai diversi usi.
Ma quando ha inizio la grammatica? A quando risalgono le categorie grammaticali di verbo, nome e così via che adoperiamo ancora oggi?
La più antica testimonianza di studi grammaticali si deve ai grammatici indiani, particolarmente a Panini (4° secolo a. C.), autore di un manuale di grammatica sanscrita intitolato Astadhyayi ("Gli otto capitoli") che, appunto in otto libri, raccoglie 3.996 regole.
Ma la tradizione che ha dato origine alla grammatica per come noi la conosciamo è quella greca, continuata poi con gli studiosi latini. Tra i primi a occuparsi di nozioni grammaticali furono filosofi come il sofista Protagora, che individuò i generi (ne distingueva tre: maschile, femminile e "inanimato") e Aristotele, che distinse due classi di parole: i nomi e i verbi. Ma è ai filosofi stoici, in particolare a Crisippo, che si deve, già nel 3° secolo a. C., l'elaborazione della terminologia grammaticale rimasta ancora oggi in uso. Infatti essi definirono la lista delle parti del discorso, la nozione di declinazione e di coniugazione e di altre fondamentali categorie grammaticali. La prima Grammatica greca, intesa come opera specificamente destinata a illustrare le caratteristiche di una lingua, si deve a Dionisio Trace (2° secolo a. C.). Tale opera servì poi da base e da modello per le grammatiche di numerose lingue. Tutte queste riflessioni sulla lingua passarono poi anche agli studiosi latini e del latino, ed è attraverso la loro mediazione che si sono diffuse e sono giunte fino a noi. In seguito, grande importanza ebbero gli studiosi medievali e rinascimentali, che concentrarono la loro attenzione soprattutto verso gli aspetti logici della lingua. Tra questi vanno ricordati gli studiosi, come Antoine Arnauld, della scuola che in Francia faceva riferimento alla Grammatica generale e ragionata di Port-Royal (pubblicata nel 1676), i quali pensavano che in tutte le lingue vi fossero alla base alcune strutture comuni, delle categorie universali.
Nel 20° secolo posizioni analoghe sono state sostenute dal linguista americano Noam Chomsky, che ha elaborato una teoria linguistica denominata appunto grammatica generativa (o trasformazionale). Egli sostiene che tutte le lingue abbiano, al fondo, una struttura identica, che però si concretizza in modo diverso nelle varie lingue. Le sue teorie hanno dato origine a molti studi, i cui risultati hanno trovato spazio anche nelle grammatiche scolastiche.
Tuttavia, già agli inizi del Novecento, il linguista francese Ferdinand de Saussure aveva elaborato una teoria linguistica di segno diverso. Tra le altre cose, Saussure sostiene invece che esistono differenze profonde tra le varie lingue, a partire proprio dalla diversità delle categorie grammaticali. Ciò dunque non consente di affermare che, al fondo, tutte le lingue siano identiche. Egli considera le lingue come strutture, dove ciascun elemento è necessariamente collegato con gli altri, come in una rete. Tale teoria, definita strutturalismo, ha ispirato e continua a ispirare molti studi di grammatica, a loro volta alla base di numerosi manuali scolastici.
E per quanto riguarda l'italiano? Le prime grammatiche dell'italiano comparvero nel Cinquecento e furono ispirate da principi pratici, poiché tendevano a indicare il modello di lingua da utilizzare come norma comune. A quel tempo, infatti, le norme dell'uso italiano erano ancora incerte, poiché non si era consolidata una tradizione univoca, specialmente nell'ortografia. Anche in seguito nella tradizione grammaticale italiana ha prevalso questa vocazione pratica e pedagogica, tendente cioè a fissare norme d'uso condivise.
In realtà tale direzione era favorita anche dal fatto che fino a pochi decenni fa la maggior parte della popolazione parlava essenzialmente uno dei tanti dialetti locali e appariva necessario allargare la conoscenza della lingua italiana. In altre parole le grammatiche dovevano servire per offrire a tutti regole comuni per l'uso della lingua, dall'ortografia alla fonetica, dalla morfologia alla sintassi. E la fonte dell'uso grammaticalmente corretto veniva individuata nella lingua scritta della letteratura e delle classi più colte. Tale concezione della grammatica contrasta con le teorie che, giustamente, vedono negli usi concreti sia scritti sia parlati della lingua l'autentica fonte delle norme grammaticali. È il contrasto, già visto, tra grammatica normativa e grammatica descrittiva.
In ogni caso, la storia della grammatica è da sempre profondamente intrecciata con la storia stessa dell'istruzione. Dire che qualcuno non conosce la grammatica o ha una grammatica approssimativa equivale di fatto a dire che non sa parlare o scrivere correttamente. Altre espressioni, come il detto popolare "vale più la pratica che la grammatica" sottolineano come la grammatica risulti talvolta inutilmente astratta e poco vicina alla concreta realtà dei parlanti.
Più comunemente conoscere la grammatica può voler dire possedere conoscenze e tecniche di base relative a una disciplina, a un'attività o a un'arte. Troviamo infatti espressioni come la grammatica della scultura, della musica, della fisica, ma si può anche sentir parlare di grammatica del calcio, della televisione, e così via. In questa prospettiva la parola grammatica assume un aspetto più amichevole rispetto all'opinione negativa che taluni hanno. Ma ancora più affascinante è l'uso che ne ha fatto Gianni Rodari, apprezzato scrittore per ragazzi, il quale intitolò uno dei suoi libri più importanti Grammatica della fantasia. In questo libro Rodari consiglia a genitori e insegnanti le tecniche per sviluppare e mettere in moto la fantasia dei ragazzi sia a casa sia a scuola.