GRAFICA E DESIGN MULTIMEDIALE.
- Ipertesti, hypermedia, multimedia. Dalle GUI alle MUI (Multimodal User Interfaces). Rivoluzione mobile, interfacce (multi)touch, aptiche e vocali. Dall’editoria multimediale/elettronica all’ePublishing 2.0. Ibridazioni e iperrealtà. Bibliografia. Webgrafia
Il campo della grafica e, più in generale, delle comunicazioni visive è stato uno dei primi in cui sono state introdotte le tecnologie informatiche che hanno apportato notevoli cambiamenti in termini realizzativi, progettuali e teorici a partire dai primi anni Ottanta. L’uso dei computer come strumento tramite i programmi di text-editing e di DTP (DeskTop Publishing) ha trasformato la produzione rafforzandone la vocazione industriale inaugurata dai processi di stampa a caratteri mobili inventata da Johann Gutenberg nel 15° sec., al punto che Renato De Fusco parla dell’invenzione della tipografia come di «un’attività a tutti gli effetti classificabile nel dominio del design» (Storia del design, 1985, p. 1) o, come sottolineano Roland Barthes ed Éric Marty, «la stampa ha costituito l’atto di nascita dell’industria, dal momento che la meccanizzazione dell’arte di scrivere è stata probabilmente la prima riduzione di un lavoro in termini meccanici» (Orale/scritto, in Enciclopedia Einaudi, 10° vol., 1982, p. 84).
Le tecnologie informatiche, inoltre, sono diventate esse stesse ambiti progettuali della grafica ampliando la gamma degli artefatti comunicativi e dei settori disciplinari della comunicazione visiva così come sono stati sistematizzati dalla Carta del progetto grafico. Tesi per un dibattito sul progetto della comunicazione, redatta nel 1989 come manifesto e istituzione disciplinare nel panorama culturale italiano. Da un lato trasformando ambiti già esistenti, come nel caso dell’editoria che, sotto la spinta del digitale, è diventata elettronica, dall’altro aprendo nuovi scenari come quelli della progettazione multimediale e del design delle interfacce grafiche.
Quest’apertura del mondo della comunicazione visiva, radicato nella cultura del design, verso ambiti disciplinari tecnologici implica una ibridazione strutturale, concettuale e metodologica, una «vocazione [...] che incarna la capacità di unire conoscenze e competenze tradizionalmente separate e distinte» così come sostenuto dagli estensori del Manifesto ibridi, ovvero una contaminazione con i mondi dell’ergonomia cognitiva, dell’architettura dell’informazione, dei metodi e delle ricerche user-centered, di programmazione, di markup e di scripting nonché competenze rispetto ai linguaggi cinetelevisivi, musicali, sonori, sinestesici, spaziali, prossemici e cinestesici.
Ipertesti, hypermedia, multimedia. – Se «il media è il messaggio», come affermava Marshall McLuhan (The medium is the message, 1967), nell’ambito della progettazione grafica il cambiamento introdotto dal digitale investe non soltanto le modalità produttive, ma anche quelle ideative. Sebbene la concezione corrente che ci ha portato a parlare di multimedia corrisponda a una visione piuttosto tecnocentrica, il termine nasce negli anni Sessanta nell’ambito degli happenings e delle performance artistico-musicali (R. Albarino, Goldstein’s lightworks at Southampton, «Variety», August 10, 1966, 213, 12) per diventare negli anni Settanta sinonimo di presentazioni che utilizzano contemporaneamente più canali mediali come audio, immagini (spesso diapositive proiettate), testi ecc., per realizzare un unico flusso comunicativo.
Il nucleo concettuale legato alla specifica dimensione digitale dei multimedia risiede, tuttavia, nella duplice definizione di hypertext e hypermedia di Ted Nelson («un corpus di materiali iconografici e testuali interconnessi in maniera complessa che non verrebbero restituiti, presentati o rappresentati correttamente sulla carta. Un iperfilm, una sequenza cinematografica navigabile o a sequenza variabile – sono l’unica [soluzione] possibile per questi ipermedia», Complex information processing. A file structure for the complex, the changing and the indeterminate, in ACM ’65 Proceedings of the 1965 20th national conference, 1965, p. 96) pensati sul modello della Memex di Vannevar Bush (As we may think, 1945) e implementati a livello tecnico da Douglas Engelbart tra il 1966 e il 1968.
È nella successiva maturazione tecnologica, con l’introduzione del mouse (sempre a opera di Engelbart), l’invenzione di Hypercard, primo software per produrre ipertesti, del paradigma delle GUI (Graphical User Interfaces) e relativa metafora del desktop del sistema operativo della Apple, di Macromedia Director per la produzione multimediale, che a partire dagli anni Ottanta si è parlato di multimedia facendo riferimento all’editoria elettronica, ai CD-Rom interattivi, all’edutainment, alle enciclopedie ipertestuali o alle animazioni in Flash della prima generazione di siti Internet.
Dalle GUI alle MUI (Multimodal User Interfaces). – La peculiarità dei multimedia, oltre al sistema di notazione ipertestuale, è la possibilità, tramite l’uso della tecnologia digitale, di fatto un metamedium, di far convivere più canali di comunicazione all’interno del medesimo supporto strumentale costruendo un tessuto espressivo più affine, rispetto alla trasposizione bidimensionale della messa in pagina o dei media di flusso cinetelevisivi, alla ricchezza del nostro sistema percettorio polisensoriale.
Nell’accezione contemporanea parleremo allora, non tanto, o non più, di multimedia quanto piuttosto di un unico medium, il digitale in senso lato, indipendentemente dal supporto di trasmissione o memoria – un CD-Rom, un DVD, la rete, il cloud ecc. – che costituisce una piattaforma integrata tra un sistema notazionale e più canali di interfaccia-mento o, meglio, di multimodalità di comunicazione. Perciò «nel rapporto utente-macchina, cioè nell’interfaccia, oltre all’interattività la multimodalità diventa un tema centrale di progetto. Multimodalità significa poter sfruttare contemporaneamente canali di comunicazione diversi e complementari, nella prospettiva di poter usare tutti i sensi e di poter permettere all’interazione con la macchina di rispecchiare la ricchezza fisica e cognitiva dell’interlocutore umano» (Bollini 2008, p. 60).
Il ruolo del design si apre, pertanto, a una prospettiva progettuale più ampia che, pur partendo dalla manipolazione ostensiva e dalla retorica verbo-figurale tipica dei linguaggi visivi, abbraccia un orizzonte multidisciplinare finalizzato all’orchestrazione dei diversi registri e linguaggi comunicativi altri in un’ottica integrata, convergente e intertestuale, non come semplice traduzione o sovrapposizione di registri espressivi alternativi.
Rivoluzione mobile, interfacce (multi)touch, aptiche evocali. – L’introduzione nel 2007 di due nuovi dispositivi, capostipiti rispettivamente degli smartphone, ovvero l’Apple iPhone, e degli eBook-reader, cioè l’Amazon Kindle, e nel 2010 dell’Apple iPad da cui ha preso le mosse il mercato dei tablet, ha rivoluzionato il mondo delle interfacce grafiche, così come era stato progettato ed esperito a partire dagli anni Ottanta. I nuovi devices infatti sono (multi)touch, permettono cioè di interagire con dati, informazioni, musica, video, mappe, immagini tramite l’uso diretto delle dita sullo schermo. Il sistema comunicativo è ancora prevalentemente visivo, ma il modello interattivo è invece basato sulle cosiddette gestures (Wroblewski 2010). Anzi, proprio per aiutare gli utenti ad apprendere le nuove modalità di interazione la grafica, come spesso è successo nel design all’affacciarsi di nuove tecnologie o di nuovi settori oggettuali, adotta in una prima fase una strategia mimetica nei confronti della realtà, una sorta di iperrealismo denominato scheomorfismo, in cui gli oggetti da tappare – il gesto che sostituisce il click del mouse – sono tridimensionali, ombreggiati, ricchi di dettagli e di textures mutuati dal mondo reale per dare materialità, fisicità e quindi tattilità ai link, ai menu di navigazione, ai bottoni, ovvero a tutti quegli action-triggers presenti nelle interfacce e nelle applicazioni. Questo approccio è stato superato con l’introduzione, tra il 2012 e il 2013 rispettivamente, dei nuovi sistemi operativi mobili Windows Surface e Apple iOS 7. Quest’ultimo, superata tale prima fase simulativo-metaforica, si è riappropriato di un linguaggio visivo più essenziale, sintetico, semplice (secondo l’accezione di John Maeda) e astratto o flat cui ha fatto seguito anche la revisione del terzo attore del mercato, Google Android, che nel 2014 ha lanciato le linee guida del material design.
Questi dispositivi portatili e smart sono multimediali anche in una nuova accezione: integrando una serie di funzionalità tecniche come GPS (Global Positioning System), accelerometri, giroscopi e sensori di prossimità, foto/videocamera, microfoni permettono un’interazione molto più articolata, integrata e contestuale con le informazioni, tra gli utenti e con l’ambiente che spinge l’evoluzione dei sistemi di interfacciamento a travalicare la dimensione tattile-visiva per spingersi a quella aptica o vocale, come nel caso di Siri (software integrato dal 2011 negli iPhone 4S), capostipite in evoluzione dei modelli di interazione basati sul riconoscimento vocale.
Se nella multimedialità ‘tradizionale’ il design veniva chiamato a integrare diversi linguaggi e modalità narrative tipiche di altre forme espressive, nell’accelerazione tecnologica subita dal settore negli ultimi anni, si trova a gestire modelli innovativi di interazione e di interfacciamento ancora da sperimentare se non da inventare, costruendo, insieme agli utenti, sempre più coautori attivi, nuovi modelli concettuali e patterns progettuali in cui superare la dicotomia grafica/codice, estetica/usabilità (Schlatter, Levinson 2013) per confluire verso il modello più ampio della progettazione dell’esperienza utente (User eXperience Design).
Dall’editoria multimediale/elettronica all’ePublishing 2.0. – Il settore che probabilmente ha maggiormente evidenziato quella che è stata chiamata la quarta rivoluzione nella storia dei supporti e delle forme di trasmissione della conoscenza – le tappe antecedenti il passaggio dall’oralità alla scrittura, quello dalla forma volumen a codex del libro e la rivoluzione gutenberghiana della stampa a caratteri mobili (Roncaglia 2010) – è quello della produzione delle merci comunicative, cioè l’editoria nella sua transizione alla dimensione digitale.
Il libro elettronico, che si tratti di forme digitalizzate dell’originale cartaceo, di forme mimetiche timidamente ipertestuali o di modelli innovativi fortemente interattivi e multimediali, più simili a software o addirittura a videogame, è il luogo in cui maggiormente l’impatto con la cultura grafica analogica è evidente. Il libro diventa una macchina per leggere in cui il legame archetipico tra notazione, testo e supporto viene sciolto e sostituito dall’interfaccia fisica – il device – e dall’organizzazione logica delle informazioni – il software – e dai contesti di fruizione diffusi, ecosistemi comunicativi interconnessi («tutto è interconnesso dal codice alla cultura. Pensiamo di progettare software, servizi ed esperienze, invece stiamo intervenendo all’interno di ecosistemi», Morville 2015, formato digitale reflowable) che mettono in crisi il concetto stesso di libro. Pagina, copertina, indice, illustrazioni, lunghezza, foliazione, rilegatura sono parametri che la grafica ben conosce e che nelle pubblicazioni digitali – si tratti di formati ePub3, Amazon Mobipocket o Adobe Enhanced PDF, app native o ibride, distribuite nei marketplaces o scaricabili dalla rete, fruite con eBook-reader, tablet o computer – vengono ripensati in una logica interattiva e multimodale che deve confrontarsi con la complessità di un sistema di fruizione transmediale tale da ribaltare il paradigma originario della stampa: anziché una serialità di copie siamo di fronte alla «manifestazione di una copia senza originale» (Falcinelli 2014, p. 13).
Ibridazioni e iperrealtà. – Se negli anni Ottanta molti degli artefatti multimediali erano finalizzati all’edutainment ovvero alla trasmissione del sapere (educational) tramite una dimensione ludica (entertainment) per sfociare, poi, in veri e propri modelli formativi e accademici – basati su tecnologie multimediali e Internet – tramite la creazione di piattaforme di e-learning fino agli attuali MOOC (Massive Open Online Courses), questo approccio si è esteso ad altri ambiti ed è diventato un approccio progettuale diffuso. È il concetto di playful design (2012) e in senso lato di gamification (2011) che vede nei modelli tipici del gaming – dove multimedialità, sinestesia, apticità e tridimensionalità sono sempre stati alla base dei modelli di interazione – nuovi spunti e riferimenti per la progettazione di interfacce, via via più ibride, a cavallo tra mondi fino a ora lontani e sempre più ‘meticci’ e convergenti, applicate in contesti d’uso quotidiano.
Integrazione che si gioca su più livelli: in termini strategici, dove le scelte progettuali dipendono e diventano presupposti teorici, da un lato, e a livello tattico di copresenzee interdipendenze in termini di linguaggi, dall’altro. È il concetto sinsemico che si può estendere dalla relazione parola/immagine nella dimensione delle connessioni e della simultaneità («Gli artefatti sinsemici sono protesi che permettono di fissare e visualizzare simultaneamente relazioni che ci sfuggirebbero in una presentazione sequenziale», Perondi 2012, p. 79) a quello più ampio e ibrido che implica anche altri livelli, supporti e possibilità.
La dimensione spaziale viene ulteriormente valorizzata nel design dei nuovi sistemi di interfacce soprattutto nell’altro vasto ambito di applicazioni multimediali, ossia il settore museale, bibliotecario e degli archivi: il cosiddetto digital heritage applicato ai beni culturali. I chioschi interattivi dislocati nei luoghi della cultura sono stati progressivamente sostituiti da audioguide e hands-on multimedia li o da allestimenti digitali spaziali, interattivi e immersivi. Lo spazio fisico diventa virtuale grazie alla tecnologia che i designer orchestrano sovrapponendo, secondo registri linguistici differenti, narrazioni acustiche, visive, prossemiche e gestuali che si attivano grazie alla presenza dell’utente e alla sua interazione.
La dimensione spaziale è alla base anche della realtà aumentata, ovvero la possibilità di sovrapporre livelli informativi e multimediali allo spazio reale, esperibili tramite l’uso della fotocamera dei dispositivi mobili come smartphone e tablet, dell’interazione con gli oggetti intelligenti disseminati nell’ambiente (Internet of things) o con l’ambiente stesso (ambient intelligence) che, insieme a dispositivi indossabili, come i Google Glass o l’iWatch (wearable technology), rappresentano il futuro – già per altro presente – del design multimediale (v. dispositivo mobile).
La grafica, dalla vocazione originaria della messa in pagina nello spazio fisico e concettuale della comunicazione visiva, si frammenta e ricompone in altri modelli progettuali. Accanto al patrimonio storico di cultura e competenza rispetto al linguaggio dello spazio, della griglia, della tipografia, del colore, della Gestalt, include nuovi paradigmi e modelli mutuati dalle discipline tecniche, psicologiche, ergonomiche, economiche, artistiche e sociali – lo spettro ampio delle competenze del design – e li monta secondo un ruolo e una prospettiva registica dell’interazione tra utenti e artefatti digitali multimediali.
Bibliografia: J. Maeda, The laws of simplicity. Design, technology, business, life, Cambridge (Mass.) 2006 (trad. it. Le dieci leggi della semplicità, Torino 2006); L. Bollini, Registica multimodale. Il design dei new media, Santarcangelo di Romagna 2008; G. Roncaglia, La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro, Bari-Roma 2010; G. Zichermann, C. Cunningham, Gamification by design. Implementing game mechanics in web and mobile apps, Sebastopol (Cal.) 2011; L. Perondi, Sinsemie. Scritture nello spazio, Viterbo 2012; T. Schlatter, D. Levinson, Visual usability. Principles and practices for designing digital applications, Amsterdam 2013; R. Falcinelli, Critica portatile al visual design. Da Gutenberg ai social network, Torino 2014; P. Morville, Intertwingled. Information changes everything, Ann Arbor 2015.
Webgrafia: L. Wroblewsky, Touch gesture reference guide, 2010, http://www.lukew.com/ff/entry.asp?1071 (22 maggio 2015); G. Giacoma, G. Bocchi, L. Damiano, D. Casali, Manifesto ibridi, 2012, http://manifestoibridi.org/explanation/it (22 maggio 2015).