Seurat, Georges-Pierre
Una pittura impressionista e scientifica
Dalla lettura di testi teorici sulla luce e sulla percezione, alla creazione di una tecnica e di uno stile, con il pittore francese Georges-Pierre Seurat l’impressionismo si rinnova in chiave scientifica e l’immagine catturata nella retina dell’occhio viene restituita sulla tela con un estremo rigore analitico
Sono trascorsi dodici anni dalla nascita ufficiale a Parigi dell’impressionismo – quello dei ‘fondatori’ Monet, Renoir, Degas – quando la generazione successiva, nata oltre la metà del 19° secolo e più giovane di almeno vent’anni, arricchisce la lezione di nuovi spunti e percorsi. È il 1886 e il critico Félix Fénéon, che recensisce una mostra collettiva di Seurat, Paul Signac e altri artisti esordienti, introduce per costoro il termine di neoimpressionismo.
Si tratta di una pittura che dell’impressionismo rappresenta una naturale evoluzione. C’è in comune lo stesso scenario: la società parigina, con i suoi luoghi, il suo clima e i suoi personaggi; ma lo spirito che anima Seurat e i suoi coetanei trova la sua ragione nel contesto storico-scientifico dell’Ottocento europeo, positivista e razionalista. Quanto gli impressionisti sono esuberanti, sonori, intuitivi, tanto Seurat, raccolto nel suo silenzio, è cerebrale e analitico.
Da adolescente Seurat si appassiona ai testi di fisica che hanno come argomento ottica, colore, reazioni retiniche, diffrazione. Incuriosito non solo dall’aspetto estetico ma soprattutto da quello rigorosamente teorico dei nuovi studi (sono gli anni della neonata fotografia), legge libri di scienziati come Michel-Eugène Chevreul – sul contrasto simultaneo dei colori –, D. Sutter – sui fenomeni della visione – e HermannHelmholtz. A partire dalle teorie sulla percezione, Seurat crea una tecnica pittorica connotata da innumerevoli, minutissime pennellate di pigmento dissonanti tra loro per toni cromatici, infiniti punti contrapposti. L’effetto che ottiene è pulviscolare, puntiforme, come la trama di un tessuto sotto una lente. Questa tecnica, detta in francese pointillisme («puntinismo»), avrà fortuna anche in Italia col nome di divisionismo (Segantini).
Nato a Parigi nel 1859, Seurat studia disegno alla scuola di belle arti e con i suoi lavori a matita elabora uno stile fatto di forme e di masse piuttosto che di linee. Con il lapis, su carta a grana ruvida, ottiene quelle pastosità e porosità che preannunciano la scomposizione puntinista a olio su tela. La sua prima grande opera di pittura è Bagnanti ad Asnières, del 1883-84, notevole per lo sfumato delle tinte. Ma è con Una domenica alla Grande Jatte (1884-86) che Seurat firma il suo capolavoro: un quadro in cui l’assenza di movimento e suono, la sospensione del fluire del tempo, creano un senso di misterioso enigma. Le opere che precedono la prematura scomparsa del pittore – Le Chahut (1890) e Il circo (1890-91) – hanno, al contrario, un taglio dinamico, reso dalla diagonalità e verticalità delle linee. Nella penombra di interni illuminati artificialmente, l’artista introduce, grazie alla caricatura di certe fisionomie, un sottile spirito ironico. C’è una carica di modernità sperimentale che anticipa alcune figurazioni del futurismo.
Nel 1891, Seurat, per una improvvisa infezione di difterite, muore nella capitale francese a soli trentadue anni.
In una lettera del 1890, Seurat riassume i propri principi estetici: «L’arte è armonia. Armonia significa analogia dei contrari, analogia degli elementi similari di tono, di colore, di linea, considerati in rapporto alla loro dominante e sotto l’influenza della luce, in combinazioni che esprimono gioia, serenità o dolore». Il pittore costruisce un’immagine che, vista da lontano, è ben identificabile ma che da vicino è un insieme di puntini colorati e luminosi, attraverso un gioco sapiente di contrasti di toni chiari e toni scuri e di colori ‘complementari’ (rosso con verde, arancio con azzurro, giallo con violetto). In questo modo, Seurat tenta di imitare i procedimenti visivi dell’occhio umano.