Nella Grecia e in Roma antica, gruppo di famiglie che riconosceva un ceppo comune e prendeva sovente il nome da un capostipite spesso fittizio.
In Grecia le g. (γένη) sembrano essere una naturale formazione storica svoltasi attraverso il tempo, più che una suddivisione interna della fratria. La trasformazione della g. in una casta chiusa, di ‘origine divina’, coincide con il sorgere dei regimi politici aristocratici: nell’Elide, a Tebe, in Tessaglia, a Corinto si ha un numero fisso di famiglie ai cui capi è riservato l’accesso al governo. Anche quando la democrazia soppiantò l’antico ordinamento aristocratico, le g. resistettero come consorzi religiosi con i relativi privilegi. In Atene le g., che prendevano nome dal capostipite (Alcmeonidi), da divinità (Bacchiadi), luoghi (Cefisiesi), avevano a fondamento del proprio prestigio la proprietà fondiaria.
È probabile che anche a Roma le gentes si siano sviluppate non da suddivisioni interne di organismi più ampi (tribù), ma naturalmente come gruppi di famiglie che riconoscevano un ceppo comune. La potenza della gens si basava sul possesso fondiario, anticamente proprietà gentilizia più che privata; alla g., divenuta una casta chiusa, competevano nei comizi calati (➔ comizio) le decisioni relative alla adozione, emancipazione, cura dei minori ecc. Pare che i rappresentanti di 100 g. costituissero il senato romuleo, poi accresciuto a 300 durante il regno di Tarquinio Prisco. Le g. furono divise in maiores e minores, divisione originata o da una maggiore influenza delle prime o dal raggiungimento da parte delle seconde, originariamente non patrizie, di una potenza tale da essere ammesse nel novero dei patrizi. Dopo la conquista della parità politica da parte dei plebei, le più influenti g. plebee furono ammesse nel senato (4° sec. a.C.): la nuova nobiltà patrizio-plebea guidò da allora lo Stato romano sino alla fine dell’età repubblicana.