DE FILIPPI, Filippo
Nacque a Milano il 20 apr. 1814 in una famiglia di origine piemontese. Il D. compì gli studi liceali nel collegio S. Alessandro di Milano e quindi passò nel collegio Ghislieri di Pavia a studiare medicina. All'università, grazie anche all'insegnamento di anatomia di B. Panizza, maturò uno spiccato interesse più per le scienze naturali che per la clinica medica. Cosicché, dopo la laurea, invece di tornare a Milano ad esercitare la professione nello studio paterno, preferì rimanere a Pavia come assistente alla cattedra di zoologia di A. Zendrini.
I primi lavori, peraltro di scarso rilievo, riguardarono l'elmintologia; ad essi fecero seguito due scritti in favore della generazione spontanea (Esperimenti in favore della generazione equivoca, Pavia 1838; Dell'eterogenesi, ibid. 1838), che più tardi il D. sconfesserà, ed altri di mineralogia, geologia e paleontologia (Sulla costituzione geologica della pianura e delle colline della Lombardia, Milano 1839; Memoria geologica sul Tirolo meridionale, ibid. 1840).
Dall'università di Pavia il D. fu chiamato al Museo civico di storia naturale di Milano come assistente del direttore e fondatore Giorgio Jan; qui tenne anche pubbliche lezioni di scienze naturali, svolgendo corsi molto aggiornati di geologia e zoologia.
Pubblicò in questi anni lavori di argomento vario; importanti sono soprattutto le osservazioni sullo sviluppo embriologico dei pesci: Memoria sullo sviluppo del Ghiozzo d'acqua dolce (Gobius fluviatilis), Milano 1841; Osservazioni intorno all'embriogenia dei Salmonidi dei signor C. Vogt, ibid. 1842; Sunto di alcune osservazioni sulla embriologia dei pesci, ibid. 1845, trad. tedesca Weimar 1846; Nouvelles recherches sur l'embryogénie des poissons. Lettre adressée à M. Albert Koelliker, Paris 1847, trad. tedesca Weimar 1847.
Le ricerche e l'attività didattica svolte a Milano attirarono sul D. l'attenzione e la stima di J. Moleschott e di G. Genè, professore di zoologia e successore di F. A. Bonelli a Torino. In questa città, nel frattempo, si era deciso di istituire una cattedra dì anatomia comparata, per la quale il Genè aveva indicato il D.; ma in seguito alla morte del Genè (1847), il D. fu chiamato a succedergli nella cattedra di zoologia e nella direzione del Museo zoologico.
Le lezioni all'università di Torino, iniziate nel 1848 con la prelezione Importanza degli studi zoologici (Torino 1848), furono impostate sulla sistematica di Linneo e di Cuvier, e arricchite con nozioni di anatomia comparata, di embriologia e di istologia, disciplina che tenne aggiornata sempre con la letteratura tedesca. Il D. ampliò anche le collezioni zoologiche del Museo (fondato alla metà del '700 da Vitaliano Donati), specialmente quelle di ornitologia e di ittiologia; e aprì una sezione di anatomia comparata.
In quegli anni pubblicò, in riviste italiane e straniere, numerosissimi lavori su argomenti vari, molti dei quali tradotti in tedesco e in francese. Scrisse di geologia, mineralogia, zoologia, sistematica, embriologia, anatomia e fisiologia comparate, scienze applicate, ecc.; lasciò resoconti e ricordi dei suoi viaggi scientifici, e opere di "scienza popolare", come allora si chiamavano i lavori a carattere didattico e divulgativo. Nessun ramo delle scienze naturali gli era estraneo, ed egli, alla metà del secolo, era uno dei maggiori naturalisti italiani, conosciuto e apprezzato anche all'estero.
I contributi più notevoli riguardano la zoologia e l'embriologia descrittiva. Introdusse e descrisse nuove specie e generi di animali (Note zoologiche e Osservazioni zoologiche pubblicate nell'Archivio perla zoologia, l'anatomia e la fisiologia, I [1861], 1, pp. 52-76; 2, pp. 200-227), approfondi i problemi di tassonomia e propose variazioni significative nei criteri di classificazione, accentuando in essi il valore dei caratteri embriologici (Sulla classificazione degli animali, in Atti d. R. Acc. d. scienze di Torino, I [1865-66], pp. 107-130). Nel campo dell'embriologia, dopo le ricerche sui pesci, si impegnò in osservazioni più delicate sui vermi, i Crostacei e i Celenterati, pervenendo in particolare a risultati di rilievo nello studio dello sviluppo dei Trematodi (Mémoire pour servir à l'histoire génétique des Trématodes, in Mem. della R. Acc. delle scienze di Torino, s. 2, XV [1855], pp. 331-358; Deuxième mémoire pour servir à l'histoire génétique des Trématodes, ibid., XVI [1857], pp. 09-442; Troisième mémoire pour servir à l'histoire génétique des Trématodes, ibid., XVIII [1859], pp. 201-232; Nouvelles observations sur le développement des Trématodes, in Annales des sciences naturelles, s. 4, Zoologie, III [1855], pp. 111 ss.; Quelques nouvelles observations sur les larves des Trématodes, ibid., VI [1856], pp. 83-86). Da ricordare anche lo scritto Sulla origine delle perle (Torino 1852, tr. tedesca Berlin 1856), che destò molta attenzione e nel quale il D. avanzò l'ipotesi della formazione delle perle ad opera di un parassita; e il lavoro Ricerche anatomo-fisiologiche sul baco da seta o larva del Bombyx mori (Torino 1854, trad. tedesca Stettin 1854), in cui identificò e descrisse le spore di uno sporozoo, spore che in seguito B. Cornalia collegò con la pebrina dei baco da seta e Pasteur chiamò "corpuscoli del Cornalia".
Pubblicò inoltre un volumetto sulla fisiologia della riproduzione degli animali (Delle funzioni riproduttive degli animali, Milano 1850; 2 ed. rielab. e accresc., ibid. 1856), col quale si proponeva di completare l'edizione italiana del Corso elementare di zoologia di A. Milne Edwards.
Dimostrando di Possedere una conoscenza molto approfondita e aggiornata, ma priva di sostanziali novità, toccò argomenti come la generazione agamica e sessuale, la fisiologia dell'apparato maschile e femminile, la fecondazione, gli ibridi, lo sviluppo dell'uovo e il processo embriologico, la cura della prole, la metamorfosi, e, infine, la questione della generazione spontanea. Capovolgendo completamente le sue opinioni giovanili, argomentò a favore della tesi Ex nihilo nihil. Omne vivum ex ovo, anche nei casi più dubbi come quelli della formazione dei vermi intestinalì e degli infusori, e sviluppò osservazioni e ragionamenti che anticiparono il dibattito Pasteur-Pouchet (1859-1864).
Oltre ai lavori più propriamente scientifici, il D. scrisse opere a carattere didattico e di alta divulgazione, dalle quali soprattutto emergono le sue idee generali sulle scienze della vita. Il regno animale (Milano 1852, 2 ed. a cura di M. Lessona, ibid. 1868), Il diluvio Noetico (Torino 1855, trad. francese Paris 1858), La creazione terrestre. Lettere a mia figlia (Milano 1856, tr. franc. Paris 1859), e la famosa conferenza L'uomo e le scimie sono i testi più significativi di questo suo impegno.
Nella prima metà del secolo anche in Italia le scienze naturali erano dominate dall'opera e dall'autorità di Cuvier e della sua scuola. Non mancavano eccezioni, rappresentate da naturalisti che avevano trovato accettabile l'idea di una più o meno ampia trasformazione delle specie e, in vario modo, si erano ricollegati a Lamarck, a Geoffroy Saint-Hilaire e alla Naturphilosophie. A. Bonelli a Torino, F. C. Marmocchi a Siena, G. Sangiovanni a Napoli, M. Foderà a Palermo, tra gli altri, avevano in generale rifiutato la rigida alternativa finismo-trasformismo, avevano criticato alcuni aspetti della teoria di Cuvier e avevano preferito percorrere, ciascuno a suo modo, una "terza via" che potesse conciliare entrambe le esigenze.
A una simile posizione "intermedia" si era avvicinato anche il D., che aveva letto Lamarck ed era stato probabilmente influenzato dalla scuola torinese del Bonelli. Il D. si era posto il problema dei limiti della variabilità delle specie e aveva espresso opinioni che, oscillavano tra alcune concessioni alle ipotesi trasformiste (per esempio, nella prolusione al corso di zoologia del '48) e alcuni fermi richiami alle tesi della stabilità (per esempio, nel cap. VIII sulla "geografia zoologica" del Regno animale del '52). Con il volume Il diluvio Noetico (1855) aveva infine proposto un compromesso che inseriva elementi evolutivi nel modello di Cuvier.
L'opera affrontava il problema dell'origine dei viventi sulla base della teoria delle catastrofi di Cuvier. All'interno di questa te?ria, però, trovava spazio una timida ipotesi di trasformazione della specie. Dall'analisi dei reperti fossili, infatti, è possibile affermare - secondo il D. - che non tutte le specie sono state cancellate dalla "catastrofe" che chiude un'epoca, ma che alcune sono sopravvissute e si sono modificate (fino a dar vita a nuove specie) per adattarsi alle mutate condizioni ambientali. La possibilità di un processo evolutivo per alcune specie, tuttavia, non può giungere, per il D., "a far derivare l'uomo da una scimia, come pretesero Lamarck e Geoffroy de Saint-Hilaire, non certo per nobilitame l'origine", Il D. prospettava correttamente l'ipotesi che l'uomo, probabilmente coevo alle grandi faune del Pleistocene, fosse più antico di quanto non avesse sostenuto Cuvier, e certamente molto più dei seimila anni biblici; ma da ciò non inferiva per esso alcuna conclusione trasformista. Riprendendo le idee di J.-L-A. de Quatrefages, affermava che l'uomo non può essere considerato come una delle tante specie di mammiferi, anche se la più perfetta, ma deve essere posto su un piano diverso. A parte le differenze di ordine fisico, possiede infatti tali caratteristiche psichiche da rendere la distanza che lo separa dagli animali superiori di gran lunga maggiore di quella che può intercorrere tra questi ultimi e le specie più infime. Per l'uomo si deve allora parlare di un "regno" (e di una creazione) a parte, di un "regno umano" separato dal regno animale. Questa idea di distinguere essenzialmente l'uomo dagli animali per le facoltà mentali tornerà in seguito molto utile al D., in quanto gli permetterà di conciliare la teoria di Darwin con l'insegnamento della Chiesa.
Il diluvio Noetico appare come l'opera di un naturalista aggiornato sulla produzione scientifica dell'epoca, aperto alle novità, sensibile allo "spirito dei tempi", proteso a superare il passato senza tuttavia avere gli elementi per tracciare il futuro e perciò potenzialmente pronto ad accogliere l'imminente teoria darwiniana.
Le idee espresse ne Il diluvio Noetico affiorano anche nel volume La creazione terrestre, in cui sono esposte, in forma di lettere alla figlia, le principali nozioni di fisica terrestre, geologia, mineralogia e biologia.
Il D. si impegnò anche nella pubblica amministrazione, sedendo nel Consiglio superiore della Pubblica Istruzione (vi fu eletto il 3 genn. 1858). Socio della R. Accademia delle scienze di Torino, commendatore dell'Ordine Mauriziano, fu anche nommato senatore del Regno.
Nel 1862 al D. si offrì l'occasione di partecipare a un viaggio in Persia, al seguito di una "ambasciata straordinaria" in ata allo scià dal ministero Rattazzi, e di vivere un'esperienza che lo accomunò ai grandi naturalisti viaggiatori dell'Ottocento. La missione diplomatica e scientifica (di cui faceva parte anche M. Lessona) partì da Genova in aprile, navigò sul mar Nero, risalì il fiume Rioni fino a Marani, da dove ebbe inizio un lungo e faticoso viaggio a cavallo. Attraversata l'Armenia e la Persia settentrionale, giunse infine a Teheran nei primi di agosto. Dopo un'escursione sul vulcano Dernavend nella catena dell'Elburz, un piccolo gruppo di scienziati, tra cui il D. ammalato. si separò dal resto della delegazione per intraprendere un difficile viaggio di ritorno attraverso il mar Caspio e la Russia, e rientrare in Italia nel mese di novembre. Gli avvenimenti di questa straordinaria esperienza, vissuta con spirito di avventura e con un'inesauribile curiosità per tutti gli aspetti della natura poco noti o sconosciuti, furono dal D. narrati nel volume di quasi 400 pagine Note di un viaggio in Persia nel 1862 (Milano 1865), in parte anticipato da alcuni articoli usciti su II Politecnico di Milano. Il libro, che è, come il D. lo definì, "un miscuglio di impressioni, di notizie raccolte e di osservazioni scientifiche", è ancora oggi di piacevole lettura. Il resoconto delle osservazioni zoologiche fu dato nelle memorie: Nuove o poco note specie di animali vertebrati raccolte in un viaggio in Persia nell'estate del 1862 (in Arch. p. la zool. l'anat. e la fisiol., II [1863], 2, pp. 377-394); Riassunto di alcune osservazioni sulla Persia occidentale (in Atti d. Soc. ital. di scienze nat., VII [1864], 3, pp. 279-284).
Dopo aver iniziato la sua attività di ricerca muovendosi entro il paradigma di Cuvier e dopo essersi cautamente discostato da esso negli anni '50 ammettendo la possibilità di limitati processi di trasformazione delle specie, con l'uscita dell'Origine delle specie di Darwin il D. finì per accogliere la teoria darwiniana e convincersi che i limiti al mutamento delle specie sono molto più ampi di quelli da lui posti ne Il diluvio Noetico. La conversione fu facilitata dal fatto che poté presentare la nuova teoria come una maturazione, e non come un ribaltamento, delle sue precedenti idee e soprattutto come un risultato perfettamente conciliabile con la fede religiosa.
L'accettazione della teoria dell'evoluzione spinse il D. a discutere direttamente il problema più spinoso, quello dell'origine dell'uomo, che era stato evitato dallo stesso Darwin e affrontato solo da pochi (Darwin tratterà il problema solo nel 1871 con On the origin of man, preceduto da Lyell, Wallace, Huxley e dallo stesso De Filippi). Ne parlò in una famosa conferenza tenuta a Torino nel 1864, per la quale soprattutto il suo nome è conosciuto e ricordato da un largo pubblico. Preannunciata in due lettere indirizzate a Lessona, L'uomo e le scimie; lezione publica detta in Torino la sera dell'11 genn. 1864 (pubblicata dapprima su Il Politecnico, s. 3., XXI [1864]) 93, pp. 5-32; ristampata come opuscolo da G. Daelli e comp. editori, Milano 1864; e di nuovo edita nel 1865 con "aggiunte dell'autore" sempre da Daelli) destò subito scalpore e divenne oggetto di vivaci discussioni.
L'apparire nel 1859 del capolavoro di Darwin rappresentò, per moltì naturalisti, la soluzione di tanti problemi e l'indicazione della nuova via da seguire, ma suscitò anche, come è noto, aspre polemiche tra sostenitori e detrattori della teoria dell'evoluzione. Il dibattito uscì dai temi strettamente scientifici, per coinvolgere questioni ideologiche, filosofiche e religiose, specialmente quando si toccava il problema dell'origine dell'uomo.
In Italia, dopo alcuni brevi resoconti della teoria di Darwin che seguirono la pubblicazione dell'Origine delle specie e che per lo più passarono inosservati, il tema dell'evoluzione si pose al centro dell'attenzione proprio grazie alla conferenza del D., che rappresentò perciò l'apertura ufficiale del dibattito sul darwinismo nel nostro paese. Tale conferenza, infatti, non solo cadeva su un terreno già pronto allo scontro (dopo l'unificazione, si era accentuato e diffuso un clima di tensione tra cultura laica e cattolica, in cui facilmente si accendevano e alimentavano le ostilità), ma assumeva un valore particolare in quanto era la prima presa di posizione pubblica a favore della teoria di Darwin da parte di uno scienziato illustre e autorevole.
Nella lezione di Torino, che anticipava di un anno la prima traduzione italiana del capolavoro di Darwin (a cura di G. Canestrini e L. Salimbeni, Modena-Torino 1865), il D. confutava dapprima la teoria fissista delle catastrofi di Cuvier e argomentava a favore della tesi di una trasformazione delle specie lungo le varie "epoche della natura" fino all'epoca attuale, a favore della "teoria della continuata produzione genealogica delle specie" contro "quella delle creazioni dirette e successive": un punto di partenza ormai indiscutibile; accennava poi alla teoria di Darwin e si mostrava favorevole, senza tanti commenti, al principio della selezione naturale.
Affrontava quindi il problema centrale della sua lezione e cioè se anche l'uomo, come gli altri animali, dovesse essere considerato frutto di un processo evolutivo. Esaminate dettagliatamente differenze e analogie nei caratteri morfologici, e in particolare nell'anatomia cerebrale, tra la specie umana e le cosiddette scimmie "antropoidi", concludeva che, per quanto riguarda la morfologia, vi sono più analogie che differenze, e che queste ukime sono solo di carattere quantitativo e non qualitativo. Affermava: "l'uomo non dista dalle scimie più di quanto le principali famiglie sistematiche di queste distino tra loro"; ed è quindi ragionevole classificarlo nel loro stesso ordine (nell'antico ordine dei primati, così come avevano già fatto Linneo, Buffon e Geoffroy Saint-Hilaire, ma contrariamente a quanto avevano sostenuto Cuvier e Blumenbach, che avevano distinto un ordine dei Bimanì per l'uomo ed uno dei Quadrumani per le scimmie) e pensare ad uno stretto rapporto filogenetico. "Se l'uomo per la sua compage, per la sua configurazione, è un animale dell'ordine dei primati, appena separato dalle scimie per quella distanza che separa un genere dall'altro in un ordine zoologico; se è razionale il far derivare tutti i primati da un unico stipite; se, nella successione cronologica degli esserì viventi, le scimie hanno preceduto l'uomo, la ultima conseguenza si presenta da se stessa, senza cercarla". "Dire che l'uorno deriva da una scimia, non è altro che esprimere un fatto anatomico".
Ammessa tale derivazione, il D. riteneva tuttavia che l'anello precedente la specie umana non dovesse essere tanto ricercato in una delle scimmie antropoidi prese in esame, quanto "in una forma perduta nelle epoche preumane; in altre parole, le scimie attuali sono il ramo cadetto, e noi il ramo principale del comune tronco genealogico". È questa una intuizione originale di grande modernità, che si discostava dalla diffusa opinione dei darwiniani più ortodossi che tendevano a vedere nell'uomo un discendente diretto della scimmia.
Dopo questa chiara presa di posizione il D. continuava la sua conferenza con una "seconda parte", a cui attribuiva la massima importanza e che fu invece mal compresa sia dagli evoluzionisti sia dagli avversari. Il naturalista - a suo parere - non può fermarsi a considerare solo gli aspetti anatomici, ma deve prendere in esame il comportamento degli animali, in particolare delle scimmie, le loro "manifestazioni istintive e intellettuali", le loro "virtualità o potenzialità", e confrontarle con quelle umane; troverà tali profonde differenze qualitative che la distanza non è più quella che corre tra due specie, né tra due generi o ordini o tipi, ma è di gran lunga superiore, assolutamente incolmabile; si può solo pensare - riprendendo la tesi formulata ne Il diluvio Noetico -che l'uomo formi un regno a sé, un "regno umano" caratterizzato da una dimensione "morale" e "teleologica", distinto dal regno animale, così come questo è separato dal regno vegetale. Tutto ciò conduce a una conclusione apparentemente contradditoria: se è ragionevole supporre che l'uomo derivi dalla scimmia per quanto riguarda il suo aspetto fisico, certamente è impensabile che egli vi derivi per quanto attiene alla sua sfera psichica. Le capacità intellettuali, morali, estetiche dell'uomo non possono essere frutto, come i caratteri morfologici, di una pressione selettiva, di un adattamento all'ambiente, in una parola di un processo evolutivo.
In tal modo la conferenza si chiuse con un margine d'incertezza e ambiguità. L'uditorio (così come è descritto in una lettera dello stesso D. a Lessona), rimase perplesso e manifestò il suo dissenso; il clamore rimbalzò sulla stampa e la lezione divenne un "caso" giornalistico. Da alcuni il D. fu accusato di incoerenza per non aver portato alle estreme conseguenze l'assunto evoluzionistico e fatto derivare in toto l'uomo dalle scimmie; ma dai più, per aver osato solo supporre una stretta parentela, fu tacciato di materialismo, empietà, ateismo. In realtà., come testimonia M. Lessona, che fu suo discepolo, amico e compagno di viaggio, e come dimostrano anche i suoi scritti, tra cui in particolare il volume La creazione terrestre, il D. era sinceramente religioso e praticante; ma era anche uno scienziato, nutrito dell'ideale positivistico del progresso della scienza; non poteva rinunciare a quella che gli sembrava una "verità" scientifica sull'origine fisica dell'uomo, tanto più che pensava di poterla conciliare con la fede cattolica. E anche l'accordo da lui prospettato tra rivelazione e scienza non era frutto di un compromesso o di una naturale prudenza, ma tra una salda convinzione, rafforzata dal fatto che non c'era alcun elemento che potesse allora appoggiare un'ipotesi di evoluzione delle facoltà intellettuali.
Rispondendo ai suoi critici nella "aggiunta" alla 3 edizione, e in particolare a G. G. Bianconi, ribadiva come la sua conclusione, che era parsa ambigua, fosse invece capace di conciliare il "fatto scientifico" dell'evoluzione con la fede religiosa. Infatti - chiariva - da un lato si può ammettere che la specie umana, per quanto riguarda il suo corpo, appartenga all'ordine dei primati e sia il frutto di una lunga storia filogenetica, ma dall'altro lato si può pensare che, in un dato momento, sia stata dotata di facoltà psichiche (le sia stata infusa un'anima, come direbbero i cristiani), affrancata dallo stato animale e proiettata in un altro regno.
Mostrare che l'intelligenza è stata impressa in una particolare specie di primati - ragionava il D. -, piuttosto che in un "pezzo di impuro fango", non sminuisce certo la dignità umana, né pone in dubbio l'intervento di Dio. "L'origine dell'uomo sarà forse meno divina quando la biblica zolla diventi tutta la creazione organica?". "Io sono d'accordo nel riconoscere - scriveva - che l'uomo è una creazione a parte, ma soltanto come essere intelligente e morale. In questo senso io lo credo, e profondamente" (L'uomo e le scimie).
La lezione del D. è un testo chiaro, denso, bene argomentato, che mostra un'approfondita conoscenza di tutte le più recenti acquisizioni zoologiche, primatologiche e antropologiche; ed è uno dei primi lavori che affronta scientificamente, in modo ampio, il problema dell'origine dell'uomo, affiancandosi con grande dignità ai più importanti libri sull'argomento pubblicati in quegli anni da Lyell, Huxley, Wallace. Tra tutti gli interventi della pubblicistica italiana sulla questione dell'evoluzione, quello del D. è uno dei pochi che tenti di rimanere sul piano strettamente scientifico (e per questo fu apprezzato particolarmente anche all'estero) ed è anche uno dei pochi che cerchi di comporre la polemica.
Non si era ancora placata l'eco della conferenza sull'origine dell'uomo che il governo, forse anche per allontanare temporaneamente un personaggio scomodo, invitò il D., che accettò con entusiasmo, a partecipare a un viaggio scientifico di circuninavigazione del globo, il primo del genere del giovane Regno d'Italia. Nel novembre del 1865, il D. partì da Napoli sulla nave "Regina" per raggiungere in Sudamerica la pirofregata "Magenta", cui era affidata l'impresa. Da Rio de janeiro, la "Magenta" toccò successivamente Montevideo, Batavia (oggi Djakarta), Singapore, Saigon, Yokohama, Shanghai. Di qui, dopo una puntata a Pechino, la spedizione raggiunse Hong Kong. Nel corso del viaggio, il D. fece pervenire all'Accademia delle scienze di Torino tre "lettere" di osservazioni scientifiche (negli Atti..., I [1866], pp. 376-390, 601-610; II [1867], pp. 227-238). Intrattenne anche una fitta corrispondenza con Lessona. A Hong Kong il D. fu colpito da una grave malattia al fegato che gli impedì di rientrare in Italia e lo portò rapidamente alla morte, sopraggiunta il 9 febbr. 1867. La salma fu rimpatriata nel 1879 e tumulata nel cimitero di Pisa, città dove viveva la figlia Elisa col genero S. Richiardi, suo allievo.
La conferenza del D., L'uomo e le scimie, è stata di recente ristampata in appendice a C. Darwin, L'origine dell'uomo, a cura di B. Chiarelli, Milano 1982; in Il darwinismo in Italia, a cura di G. Giacobini-G. L. Panattoni, Torino 1983, pp. 43-80; e a cura di V. Martucci, in Physis, XXV (1983), 1, pp. 183-209.
Fonti e Bibl.: Necrol. in Atti della R. Accad. delle scienze di Torino, II (1867), pp. 431-53; in Nuova Antologia, dicembre 1867, pp. 631-60; in Il Giro del mondo. Giornale di viaggi, geografia e costumi, VIII (1867), pp. 403 ss.; M. Lessona, Convers. scient., Milano 1873; Id., Degli studi zool. in Piemonte, Torino 1878; Id., Vent'annifa, Roma 1884; Id., F. D., in Naturalisti ital., Roma 1884, pp. 161-206; T. Salvadori, Studio intorno ai lavori ornitologici del professore F. D., in Arti della R. Accad. delle scienze di Torino, III (1867-68), pp. 257-296; E. H. Giglioli, Viaggio intorno al mondo nella R. Pirocorvetta Magenta, Milano 1876. Sull'evoluzionismo in Italia, con notizie sul D., cfr.: G. Canestrini, Per l'evoluzione. Recensioni e nuovi studi, Torino 1894; C. Fenizia, Storia dell'evoluzione, Milano 1901; G. Montalenti, L'evoluzionismo ieri e oggi, intr. a C. Darwin, L'origine delle specie, Torino 1964; G. Benasso, Da Bonelli a D. (1811-1864). Materiali per una storia dell'evoluzionismo ital., in Atti della Acc. roveretana degli Agiati, XIV-XV (1976), pp. 3-106; G. Giacobini, Il problema dell'origine dell'uomo e la critica postdarwiniana a Torino, 1864-1900, in Studi piemontesi, VI (1977), pp. 76-95; G. Landucci, Darwinismo a Firenze. Tra scienza e ideologia (1860-1900), Firenze 1977; G. Pancaldi, Darwinismo ed evoluzionismo in Italia. 1860-1900, in Charles Darwin: "storia" ed "economia" della natura, Firenze 1977, pp. 161-206; G. Landucci, Il darwinismo in Italia, in La cultura ital. tra Otto e Novecento e le origini del nazionalismo, Firenze 1981, pp. 103-187; G. Montalenti, Ildarwinismo in Italia, in Belfagor, XXXVIII (1983), pp. 65-78; F. M. Scudo, Darwin e i vari darwinismi: nota storico-bibliografica con particolar riguardo all'Italia, in Riv. della libreria, XCVI (1983), pp. 188-202; G. Pancaldi, Darwin in Italia, Bologna 1983; G. Giacobini-G. L. Panattoni, introduzione a Il darwinismo in Italia, Torino 1983, pp. 7-41; P. Corsi, Lamarckiens et darwiniens a Turin (1812-1894), in De Darwin audarwinisme: science et idéologie, a cura di Y. Conry, Paris 1983, pp. 49-67.