Vedi Etiopia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La vastità, il complesso percorso storico e la molteplice identità etnica e culturale fanno dell’Etiopia un paese leader dalle enormi potenzialità ed allo stesso tempo ne rappresentano gli elementi di maggiore fragilità. In nome del principio di autodeterminazione, al quale tutte le comunità del paese possono potenzialmente appellarsi, il governo dell’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (Eprdf) ha guidato un processo di radicale mutamento sociale ed istituzionale, ispirato a un modello federale su base etnica. L’Etiopia è oggi costituita da nove regioni etniche, dette kililoch (Tigray, Afar, Amhara, Oromia, Somali, Benishangul-Gumuz, Regione delle nazioni, nazionalità e popoli del Sud, Gambela e Harar). Alle città di Addis Abeba e Diredaua è stato riconosciuto un particolare status di autonomia. Nel 1991 la guerriglia del Tigray People’s Liberation Front (Tplf) ebbe ragione dell’esercito del Derg, ormai in rotta, e occupò la capitale, Addis Abeba, ponendo fine al regime militare di ispirazione socialista che governava il paese dal 1974, quando fu deposto Hailè Selassiè, l’ultimo imperatore d’Etiopia. Insieme all’Eritrean People’s Liberation Front (Eplf), all’Ethiopian People’s Democratic Movement (Epdm), all’Oromo People’s Democratic Organisation (Opdo) e al Southern Ethiopia People’s Democratic Front (Sepdf), il Tplf fondò un partito di coalizione, l’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (Eprdf), in cui ogni partito rappresentava un’etnia. Attraverso il controllo dell’Eprdf, il Tplf ha preso il controllo della nuova repubblica federale, escludendo dal processo costituente l’opposizione panetiopica che godeva di un forte consenso nell’élite urbana della capitale e tra gli intellettuali amhara.
Il controllo esercitato dall’Eprdf si è mantenuto negli anni, riproducendo di fatto un sistema politico a partito unico e impedendo una reale transizione al multipartitismo. Il federalismo ha permesso l’emergere di nuove élite locali, ma non ha alterato una politica di governo paternalistica e autoritaria. La reale partecipazione delle diverse forze di opposizione alle elezioni federali e regionali, che si sono susseguite dal 1995 al 2010, è stata impedita o limitata da una serie di intimidazioni e discriminazioni riconducibili al partito di governo. L’opposizione anche su base etnica all’egemonia dell’Eprdf ha così progressivamente assunto un carattere violento. La morte del primo ministro Meles Zenawi, leader del Tplf dai tempi dell’opposizione al Derg, avvenuta nell’agosto del 2012 ha messo la leadership etiopica di fronte alle difficoltà di una transizione non attesa. I delicati equilibri etnici che sono alla base della tenuta dello stato sono stati così messi a rischio. Hailemariam Desalegn, di etnia wolayta, vice e successore di Meles secondo quanto previsto dalla Costituzione, è stato scelto per tenere sotto controllo le spinte esogene all’interno e fra i gruppi etnici. Alla fine del 2012, Hailemariam ha operato un rimpasto di governo che ha assegnato a esponenti di varie origini e fazioni un ruolo di rilievo: forse non si è trattato di una maggiore apertura verso un modello meno accentratore, ma della manifestazione dell’incapacità di Hailemariam di tenere unite le diverse anime del movimento e quindi del bisogno di fare concessioni ai principali attori sulla scena politica. Nell’ottobre 2013 Mulatu Teshome Wirtu è stato eletto nuovo presidente e ha così sostituito Girma Wolde Giorgis, in carica da 12 anni. Con le elezioni nel maggio del 2015 Hailemariam è stato confermato primo ministro e l’Eprdf e i suoi alleati hanno ottenuto l’intero controllo del parlamento, togliendo all’opposizione anche l’unico seggio vinto nel 2010. Nonostante la vittoria è possibile una sostituzione di Hailemariam già dal prossimo congresso, giustificata dalla sua incapacità di soddisfare le diverse fazioni del gruppo.
La riorganizzazione dell’Etiopia sulla base dell’autonomia locale ha costituito la premessa per la secessione dell’Eritrea già nel 1991. L’ex colonia italiana ha mantenuto un ruolo strategico importantissimo per l’Etiopia per la sua complementarietà culturale, economica e geopolitica: i porti eritrei di Massaua e Assab costituiscono lo sbocco naturale per i commerci dell’Etiopia.
L’uscita dell’Eritrea dall’area monetaria del birr nel 1997 non solo ha portato alla ritorsione da parte etiopica di non accettare pagamenti in nakfa, la nuova valuta eritrea, ma ha innescato una crisi sfociata in una vera e propria guerra. I combattimenti sono iniziati nel 1998, prendendo il via da una controversia confinaria, e sono terminati solo nel 2000 con l’intervento di una missione di interposizione delle Nazioni Unite. Nel 2008 si è conclusa anche la missione internazionale, per il ripetuto boicottaggio da parte eritrea. Da allora la tensione è andata nuovamente aumentando lungo il confine, fino a esplodere nel 2012, in seguito a un’azione dell’esercito etiopico all’interno dei confini eritrei. I rapporti tra i due paesi sono ulteriormente complicati dal fatto che l’Etiopia dà ospitalità al proprio interno a diversi gruppi dell’opposizione eritrea. A luglio 2015 Hailemariam ha dichiarato che il suo governo prenderà provvedimenti contro l’Eritrea se essa continuerà a destabilizzare la regione.
Il conflitto con l’Eritrea si è riprodotto indirettamente anche durante l’intervento militare che l’Etiopia ha compiuto in Somalia dal dicembre 2006 al gennaio 2009 e poi dalla fine del 2011, a tutela della propria sicurezza nazionale e a servizio della politica statunitense nella regione. Le truppe etiopiche sono intervenute in aiuto del governo federale di transizione somalo contro i gruppi islamisti appoggiati dal governo eritreo. Nell’ottobre 2013 due cittadini somali sono morti in seguito a un’esplosione presso lo stadio di Addis Abeba: si sospetta che stessero preparando un attentato. Il rischio di ritorsioni dei gruppi terroristici islamici somali, al-Shabaab in primis, rimane dunque alto e le norme di sicurezza sono state rafforzate.
Proprio il suo ruolo come argine al dilagare del terrorismo islamico nel Corno d’Africa fa dell’Etiopia il principale alleato degli Usa nella regione. L’Etiopia è membro delle Nazioni Unite, dell’Intergovernmental Agency for Development (Igad), l’organizzazione regionale del Corno d’Africa, e dell’Unione Africana (Au), che ha sede ad Addis Abeba.
La popolazione etiopica è composta da più di 70 gruppi etnici che parlano più di 200 tra lingue e dialetti. Tra i gruppi maggiori vi sono gli oromo e i somali, che parlano lingue cuscitiche, mentre gli amhara e coloro che parlano tigrino sono linguisticamente semiti. Almeno la metà della popolazione parla l’amarico come prima o seconda lingua. L’oromo e il somalo hanno acquistato una crescente importanza nelle province occidentali e meridionali. Nell’istruzione superiore l’inglese ha ampiamente sostituito il francese e l’italiano.
Nell’altopiano centrosettentrionale il cristianesimo ortodosso di rito copto è la religione più diffusa. La Chiesa copta d’Etiopia, storicamente uno dei pilastri del potere imperiale etiopico, è stata formalmente dipendente dal patriarcato di Alessandria d’Egitto fino al 1959, quando divenne autonoma sotto le pressioni dell’imperatore Hailè Selassiè. Il cristianesimo copto è stato la religione ufficiale dello stato fino alla rivoluzione del Derg, nel 1975. Secondo il censimento del 2007, circa il 43,5% della popolazione è cristiano-ortodossa, mentre il protestantesimo e il cattolicesimo costituiscono una minoranza. Le Chiese evangeliche però, negli ultimi anni, stanno guadagnando una crescente influenza. I musulmani, che secondo le stime ufficiali costituiscono circa il 34% della popolazione, sono concentrati soprattutto nelle regioni orientali, occidentali e meridionali. La comunità islamica etiopica sostiene di essere in realtà più numerosa di quanto affermato dalle stime ufficiali, auto-attestandosi attorno al 45-50% della popolazione.
I Beta Israel, denominati spregiativamente falasha (‘straniero’ in amarico), costituivano la comunità ebraica d’Etiopia: sono stati trasferiti in Israele, su iniziativa dello stesso governo israeliano, tra il 1984 e il 1991. I trasferimenti autorizzati sono continuati fino al 2013, quando Tel Aviv ha decretato la fine del provvedimento, suscitando molte proteste a proposito dell’arbitrarietà e della natura discriminatoria di tale decisione.
Il rispetto dei diritti civili rimane fortemente limitato per la repressione operata dal governo contro i diversi movimenti di opposizione e gli studenti universitari. Gravi violazioni dei diritti umani sono state inoltre perpetrate quando, a seguito della guerra del 1998-2000, tutti gli eritrei e gli etiopi di origine eritrea sono stati espulsi dal paese secondo la logica di una deportazione di massa che non ha risparmiato donne e bambini. La legge dell’anti-terrorismo, approvata nell’aprile 2014, è stata ampiamente utilizzata dal governo come mezzo per colpire l’opposizione. A fine 2013 il maggiore partito di opposizione Unity for Democracy and Justice (Udj), ha accusato le forze di polizia della detenzione e tortura di più di 150 affiliati in due anni. I mezzi di comunicazione e la stampa continuano a subire pesanti limitazioni, giustificate ufficialmente dalla necessità di misure eccezionali per combattere il terrorismo islamico. Numerosi sono gli arresti di giornalisti e blogger e la paura di ritorsioni non rende possibile un’informazione libera. Riguardo le ultime elezioni, gli osservatori dell’Unione Africana hanno dichiarato che il governo ha usato degli strumenti autoritari per garantirsi la vittoria.
Le guerre e l’instabilità politica hanno condizionato negativamente l’economia etiopica per tutti gli anni Novanta. La chiusura del confine con l’Eritrea ha spostato la maggior parte dei traffici ai porti di Gibuti, collegati con la capitale etiopica dalla linea ferroviaria di età coloniale ed ora in totale rifacimento. L’economia ha preso a crescere a ritmi elevati a partire dal 2004, grazie a un forte intervento statale e al robusto sostegno degli aiuti internazionali. Nonostante la crescita l’Etiopia resta uno dei paesi più poveri in riferimento al pil pro capite. Dal 2008 si è assistito ad una grande espansione del settore dei servizi, che ha trainato la crescita del settore industriale e delle costruzioni. Il settore principale resta quello agricolo che, grazie a politiche di sviluppo fortemente centralizzate, si è modernizzato, diversificato e orientato verso i prodotti d’esportazione (caffè, cereali e khat). La crescita del settore è anche connessa alla necessità dell’Etiopia di far fronte alle carestie cicliche che si abbattono ripetutamente sul paese. La crescita economica ha coinvolto in modo particolare anche il settore tessile.
La dipendenza da Sudan e Sud Sudan per l’approvvigionamento di petrolio e idrocarburi rappresenta un elemento di fragilità: tra il 2012 e il 2013 il presidente sudanese Al Bashir ha più volte minacciato di chiudere gli oleodotti, come ritorsione per i presunti aiuti del Sud Sudan ai gruppi ribelli sudanesi. Una tale decisione avrebbe danneggiato anche i paesi riforniti, come l’Etiopia. Nel marzo 2015 l’Etiopia ha raggiunto un accordo con Egitto e Sudan circa la costruzione della diga Grand Ethiopian Renaissance sul Nilo Blu, i cui lavori sono già a buon punto, superando le tensioni generate dalla richiesta di una più equa distribuzione delle risorse idriche. La costruzione di quello che sarà il più grande impianto idroelettrico dell’Africa dovrebbe essere completata entro il 2017. Il paese è da diversi anni in attesa di accettazione per divenire membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), per rispettare gli standard dell’organizzazione l’Etiopia dovrà fare delle riforme per ridurre il peso dello stato nei settori delle telecomunicazioni e dell’energia ed aprire alle banche straniere.
Con i suoi 138.000 effettivi l’esercito etiopico è uno dei più grandi dell’intero continente. La sicurezza nazionale è a rischio in diverse zone del paese dove sono attive forze antigovernative. Particolarmente critiche sono la regione dei Somali, dove opera il movimento armato dell’Ogaden National Liberation Front (Onlf), e l’Oromia, territorio d’azione dell’Oromo Liberation Front (Olf). A febbraio sono state riaperte le trattative con l’Onlf, le ultime risalivano al 2012, ma la negoziazione sarà lenta. Le truppe etiopiche sono state inviate a sostegno del governo federale di transizione in Somalia, suscitando la reazione violenta dei gruppi islamisti che operano nella regione. Un contingente di circa 6400 soldati etiopici è impegnato in due missioni di peacekeeping nelle regioni di Abyei, un territorio conteso e dunque smilitarizzato fra Sudan e Sud Sudan, e del Darfur.
La Costituzione federale del 1995 ha incluso nel nuovo stato le diverse nazionalità su base etnica, ridefinendo anche i contenuti della stessa cittadinanza alla luce del principio di autodeterminazione.
La nascita della Repubblica Federale Democratica d’Etiopia ha dunque incentivato il rafforzamento delle identità etniche a livello delle diverse province, disegnate secondo confini che riprendono in parte quelli dell’Africa Orientale Italiana (Aoi). Questa sistemazione territoriale sconta un’evidente semplificazione e riduzione della complessità sociale e culturale del paese. Gli Oromo, oggi la nazionalità più numerosa, sono solo in parte raggruppati nella regione etnica dell’Oromia, mentre la stessa denominazione data alla Regione delle nazioni, nazionalità e popoli del Sud (Snnpr) rinvia a una complessità evidentemente maggiore. Gli Amhara, che non sono propriamente un gruppo etnico, ma costituiscono l’élite culturale dominante nella storia del paese, sono stati costretti a identificarsi con un territorio e ad autodefinirsi in termini etnici. Essi hanno così perso gran parte del loro potere all’interno della nuova repubblica federale in favore delle popolazioni periferiche, almeno secondo gli antichi confini dell’Impero etiopico.