Nel significato più generico, stato di isolamento e d’innalzamento mentale dell’individuo assorbito in un’idea unica o in un’emozione particolare; più propriamente, nella mistica, il rapimento dell’anima in diretta comunicazione con il soprannaturale. Come esperienza mistico-religiosa, l’e. si ritrova in tutti gli stadi culturali; nelle società tribali può avere parte nelle cerimonie d’iniziazione e viene per lo più provocata con mezzi fisici e meccanici.
Un ruolo importante assume l’e. nella filosofia alessandrina e nella filosofia neoplatonica, soprattutto in Plotino, per il quale l’e. è l’atto semplice e intuitivo con cui l’anima, abbandonati le forme e gli intelligibili che ha in sé, ritorna alla ‘patria celeste’ e si unisce all’Uno, uscendo da sé. Attraverso le opere di Dionigi l’Areopagita, la concezione neoplatonica dell’e., cristianizzata e identificata con il più alto grado dell’ascesa mistica a Dio, si ritrova nei mistici medievali (s. Bernardo, Ugo e Riccardo di S. Vittore, s. Bonaventura, Eckhart Hochheim e J. Tauler), e in autori rinascimentali, come G. Bruno che fa dell’e. la meta ultima del processo filosofico ed etico (➔ misticismo).
In psichiatria, più o meno impropriamente, spesso sono denominate e., per la similitudine dei loro caratteri esteriori, manifestazioni accessionali stuporose che possono osservarsi in soggetti nevrotici (isterici, mitomani) o psicotici (schizofrenici, paranoici).