Metodo curativo, complementare di altri trattamenti somatici o psicoterapici, in cui l’agente terapeutico è costituito da un’attività lavorativa razionalmente ordinata. Pionieri dell’e. sono considerati i due grandi riformatori delle tecniche manicomiali F. Pinel e V. Chiarugi, che, sul finire del 18° sec., l’applicarono con successo ai malati di mente degli asili di Bicêtre (Parigi) e di S. Bonifacio (Firenze) in sostituzione dei metodi inumani allora in vigore. Fra i perfezionatori dell’e. vanno ricordati B. Rush (USA), S. Tuke (Gran Bretagna) e H. Simon (Germania) che, precorrendo la moderna socioterapia, dimostrarono la possibilità e l’utilità di ricorrere a un vero e proprio lavoro costruttivo, anziché a un elementare esercizio lavorativo.
Nei malati di mente agisce come psicoterapia: mantiene deste le attitudini sociali compromesse dalla malattia, stimola le residue capacità psichiche dell’individuo e tende a limitare la perdita del contatto tra il malato e la realtà obiettiva. Nei portatori di invalidità fisica, agisce prevalentemente come fisioterapia, provocando la messa in opera di segmenti corporei minorati o addestrando segmenti che in condizioni normali non sarebbero utilizzati in quelle determinate prestazioni. Nei malati cronici tende a prevenire le sovrastrutture ipocondriache.