Fenomeno per cui una parola, priva di accento proprio, si appoggia a quella precedente in modo da formare con essa un’unità fonetica e spesso anche grafica (per es., parlami, salvalo ecc.). La parola atona, che è per lo più monosillaba ma può essere anche bisillaba, si dice enclitica e viene posposta. In italiano sono enclitiche le particelle pronominali atone mi, ti, si, ci, vi, lo, la, ne ecc., e gli avverbi ci, vi, che si uniscono all’esclamazione ecco e ad alcune forme verbali (oggi solo l’imperativo, l’infinito, il gerundio, il participio passato, ma anticamente anche a forme diverse, ora sentite arcaiche e pedantesche, come per es. dicesi, diconsi) e talvolta ad altre parti del discorso. Quando segue a parola tronca e alla 2a persona dell’imperativo di andare, fare, dare, dire, stare, la consonante iniziale dell’enclitica si rafforza (dammi; ant. farollo). Come le proclitiche, così le enclitiche possono anche essere accoppiate: dammelo; diglielo. In italiano, diversamente che nel latino e nel greco, le enclitiche non fanno spostare l’accento nelle parole a cui si appoggiano; di conseguenza, se le enclitiche sono più d’una, esso può venirsi a trovare eccezionalmente arretrato: es.: incàricatene.