Vedi Emirati Arabi Uniti dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Gli Emirati Arabi Uniti (Uae) sono una federazione di sette emirati riuniti in un’unica entità statuale, situati nel Golfo Arabico/Persico. La posizione strategica e le proprie caratteristiche economico-energetiche, rendono gli Uae tra gli attori più importanti nell’area. Grazie alle immense risorse petrolifere, che ne fanno uno dei maggiori paesi esportatori al mondo, gli Uae riescono a sostenere livelli di crescita e benessere elevati, soprattutto in considerazione della limitata estensione territoriale, come accade anche per i vicini Kuwait e Qatar. Inoltre, grazie soprattutto al dinamismo dell’emirato di Dubai (capitale economica e finanziaria), gli Uae sono diventati il più importante hub finanziario della regione. Fattori, questi, che rendono la federazione emiratina, un unicum di stabilità e di prosperità nell’area.
Gli Uae intrattengono rapporti amichevoli con quasi tutti i vicini, così come con le maggiori potenze occidentali e asiatiche. Nonostante le dispute con l’Arabia Saudita e l’Iran sulla sovranità territoriale di alcune isole del Golfo – come le piccole ma strategiche isole di Abu Musa e Grande e Piccola Tunb –, il paese è ben integrato nelle maggiori organizzazioni regionali, come la Lega Araba e il Consiglio per la cooperazione del Golfo (Gcc). Inoltre, sebbene siano un partner consolidato dell’Unione Europea e degli Usa, hanno con l’Iran un solido rapporto economico e commerciale. Proprio i rapporti con l’Iran, destinati a migliorare ulteriormente dopo l’accordo nucleare di Teheran e la fine del suo isolamento internazionale, costituiscono una specificità rispetto ad altri paesi del Golfo, che in generale hanno relazioni più tese con la Repubblica islamica. Dopo lo scoppio delle Primavere arabe nel 2011, il paese si è contraddistinto per una sostanziale stabilità all’interno del contesto regionale. Tuttavia gli Emirati hanno registrato alcune tensioni interne, causate dal difficile rapporto tra le autorità centrali e la Fratellanza musulmana locale, rappresentata dal partito islamista al-Islah. Tra il 2012 e il 2013, novantaquattro persone sono state arrestate con l’accusa di preparare un colpo di stato volto a portare al potere la Fratellanza musulmana. La situazione è stata acuita soprattutto dalle tensioni tutte interne alla regione del Golfo tra le monarchie di Uae, Arabia Saudita, Kuwait e Qatar a causa del supporto politico e finanziario fornito da quest’ultimo ai gruppi islamisti legati alla Fratellanza musulmana. Anche in conseguenza di ciò, il basso profilo e il ruolo di garante degli equilibri arabo-sunniti prestabiliti esercitati dagli Uae, soprattutto in Egitto e in Libia, sono molto simili alle azioni diplomatiche svolte dall’alleato saudita in tutti gli scenari di crisi post-rivoluzioni del 2011, al punto che Abu Dhabi può essere considerato il vero alleato dell’Arabia Saudita nella regione.
Gli Emirati sono divenuti uno stato indipendente nel 1971, contemporaneamente al Qatar e al Bahrain, a seguito del ritiro del Regno Unito. Inizialmente gli emirati che facevano parte dello stato federale erano sei, diventati sette nel 1972 con l’ingresso di quello di Ras al-Khaymah. Gli emirati si contraddistinguono per un alto livello di autonomia interna che indebolisce il governo federale centrale. Le dinamiche politiche hanno natura oligarchica. Il potere è in gran parte accentrato nel Consiglio supremo dei governanti, composto dai sette emiri del paese (che hanno cariche ereditarie), i quali nominano il presidente e il primo ministro. Gli emirati di Abu Dhabi e Dubai, per ragioni di estensione territoriale, peso demografico e rilevanza economica, sono i due più importanti. Il presidente degli Uae è l’emiro di Abu Dhabi, mentre il primo ministro (e vicepresidente) è quello di Dubai. L’organo legislativo è un parlamento unicamerale con funzioni meramente consultive e composto di quaranta membri, di cui solo la metà, e soltanto dal 2006, è eletta direttamente. I restanti membri sono nominati invece dai singoli emiri.
Il boom economico ed edilizio degli ultimi decenni ha attratto un volume di manodopera straniera tale da avere quasi quintuplicato la popolazione degli Uae: pur non esistendo dati precisi sul numero degli immigrati regolari e irregolari, un rapporto delle Nazioni Unite del 2015 stimava che gli stranieri residenti negli Uae fossero più dell’80% della popolazione totale, componendo anche la quasi totalità della forza lavoro.
La maggioranza degli stranieri è musulmana e proviene dai paesi della regione mediorientale (in particolare Egitto, Palestina e Iran) e dall’Asia meridionale e orientale (Pakistan, India, Bangladesh e Filippine). Negli ultimi anni è cresciuta anche la comunità degli occidentali, solitamente stanziata a Dubai. Si tratta di un fenomeno notevole, che ha viaggiato a un tasso di crescita medio del 6,3% annuo, tra i più alti al mondo, e che ha interessato soprattutto Dubai, diventato nel 2008 il più popoloso tra i sette emirati superando la stessa Abu Dhabi.
Un simile quadro, tanto variegato e sbilanciato nella composizione etnica, suscita oggi diverse preoccupazioni, tanto per la pesante riduzione della quota dei cittadini emiratini, quanto per la progressiva crescita delle rivendicazioni degli immigrati, politicamente sempre più impegnati per il miglioramento delle condizioni di lavoro. Nonostante l’assenza, sia a livello federale sia nelle istituzioni dei singoli stati federati, di partiti e di un’opposizione politica organizzata, gli Uae si attestano come uno dei paesi più virtuosi della regione mediorientale per il rispetto della libertà religiosa e dell’uguaglianza di genere. Un tale grado di apertura si ritrova anche nel campo dell’istruzione, dove il settore scolastico pubblico, che rappresenta il primo capitolo di spesa del budget federale, garantisce accesso gratuito soltanto ai cittadini. L’istruzione privata offre invece la possibilità di scegliere programmi modulati su quelli dei paesi di origine dei principali gruppi etnici presenti nel paese.
A fronte di questi dati positivi, gli Uae non possono essere tuttavia considerati un paese libero per i diritti civili e politici. Non vi è un sistema elettorale democratico e non è prevista la presenza di partiti politici; i media sono sottoposti a una rigida censura che non permette un’effettiva libertà di espressione. Sono previste multe esose per i giornalisti riconosciuti colpevoli di avere offeso la famiglia reale o i membri del governo. Tra il 2012 e il 2014, inoltre, sono stati arrestati molti attivisti che si erano resi protagonisti di manifestazioni per la promozione del pluralismo politico.
Gli Uae sono tra i principali produttori mondiali di gas e petrolio e tra i membri di peso di organizzazioni come l’Opec e il Gecf. Gli Emirati sono il sesto produttore di petrolio al mondo – il settimo per riserve, più di 100 miliardi di barili, di cui oltre il 90% si trova nel territorio di Abu Dhabi, con una produzione media giornaliera che nel 2014 ammontava a più di 3,4 milioni di barili. Le performance dell’economia degli Emirati sono storicamente legate all’andamento del prezzo del petrolio: cresciute costantemente durante gli anni Ottanta e Novanta, hanno registrato una notevole accelerazione nel quinquennio 2003-08, per poi subire una leggera flessione durante la crisi finanziaria del 2009. L’economia ha poi subito una nuova accelerata nel 2011 grazie ai picchi raggiunti dai prezzi degli idrocarburi dopo le Primavere arabe e per le tensioni riguardanti il programma nucleare dell’Iran e, tuttora, continua a crescere con regolarità.
Il governo è impegnato da diversi anni in un processo di diversificazione economica con l’obiettivo di attenuare la dipendenza dal settore petrolifero, riducendo al contempo la sua esposizione alle fluttuazioni dei prezzi del greggio. Il processo si è concentrato tanto in massicci investimenti nei settori non-oil come in quelli infrastrutturale, turistico, petrolchimico, edilizio e delle energie pulite, quanto nel tentativo di sviluppare la produzione manifatturiera e l’attività commerciale, specie la riesportazione nella regione mediorientale, tramite la creazione di zone franche e zone economiche speciali, pensate per attrarre e favorire l’afflusso di investimenti privati. Il settore non petrolifero è cresciuto quasi del 5% nel 2014, con il settore delle costruzioni che ha superato il 7% di crescita annua rispetto all’anno precedente.
Il crescente aumento dei consumi energetici interni ha convinto le autorità locali a sviluppare un programma nucleare civile. Abu Dhabi ha visto quasi raddoppiare nell’ultimo decennio il proprio consumo di elettricità. Il governo stima che ci sarà una nuova impennata della domanda di elettricità dagli attuali 15,5 gigawatt agli oltre 40 entro il 2020. Non potendo sopperire alla richiesta di energia solo con il gas naturale o con le fonti rinnovabili, il governo ha avviato nel 2012, grazie alla collaborazione con il consorzio sudcoreano Kepco, la costruzione della prima di quattro centrali nucleari, che dovrebbe essere pienamente operativa nel 2017.
Nonostante i successi, tra cui una notevole crescita del settore dei servizi (oggi oltre il 40% del pil nazionale), i proventi petroliferi continuano comunque a costituire una parte preponderante delle entrate governative e quindi a condizionare la spesa del settore pubblico e a stimolare i consumi privati, dai quali dipende buona parte dell’economia non-oil.
Esistono poi notevoli differenze tra i singoli emirati nelle rispettive strutture economiche e quindi anche nelle scelte intraprese in materia di politica economica. Abu Dhabi detiene il 94% delle riserve petrolifere totali degli Uae (97,8 miliardi di barili), una quantità che si stima possa garantire gli attuali livelli di estrazione per almeno altri novanta anni. Tale disponibilità ha fortemente frenato l’emirato nel perseguimento degli obiettivi di diversificazione economica, rendendolo il meno propenso ad aprirsi agli investimenti esteri. Le notevoli riserve di valuta di cui dispone (Abu Dhabi possiede il secondo fondo sovrano al mondo) permettono inoltre all’emirato di investire quantità rilevanti di risorse in programmi e progetti di sviluppo nei più diversi settori, da quello culturale a quello urbanistico, passando per quello infrastrutturale e dell’organizzazione di grandi eventi.
Con riserve petrolifere pari a meno di un ventesimo di quelle di Abu Dhabi, Dubai è stata il primo emirato a sentire l’esigenza di affrancarsi dalla dipendenza dal greggio. In questo modo Dubai si è progressivamente trasformata in uno degli hub commerciali e in uno dei centri finanziari più importanti della regione mediorientale. Gli ingenti investimenti nei settori dei servizi e del turismo hanno provocato negli ultimi vent’anni un rilevante aumento del valore della proprietà immobiliare, vero e proprio volano per il decollo del settore edilizio e quindi di una delle locomotive dell’economia dell’emirato. La costruzione su larga scala di grattacieli, complessi turistici e poli di servizi tecnologici hanno reso Dubai una delle città a maggiore sviluppo urbanistico del mondo. Nel dicembre 2009, l’implosione della bolla immobiliare ha svelato il grande indebitamento della holding Dubai World, la società a capitale pubblico che controlla i principali investimenti immobiliari dell’emirato, innescando una crisi di fiducia nei circuiti finanziari nazionali e internazionali. Il salvataggio di Dubai World, avvenuto attraverso la copertura finanziaria concessa dal governo federale e grazie alla rinegoziazione del debito, ha dimostrato come il governo emiratino, e in primis quello di Abu Dhabi, non sia disposto a permettere un ridimensionamento del ruolo di Dubai e punti a salvaguardarne la reputazione internazionale, garantendo i capitali posseduti dalle sue banche, tutte molto esposte rispetto al network finanziario locale. Il bailout finanziario e il recuperato protagonismo politico-economico hanno permesso all’emirato di Dubai di aggiudicarsi la prestigiosa manifestazione internazionale dell’Expo 2020. Con il tema ‘Connecting Minds, Creating the Future’, Dubai ha battuto le città concorrenti di San Paolo, Ekaterinburg e Izmir.
Gli Emirati Arabi Uniti occupano una posizione strategica nel Golfo Persico. Il paese si affaccia parzialmente sullo Stretto di Hormuz, una delle rotte più importanti per controllare i traffici petroliferi su scala globale. Solo questo fattore può spiegare la rilevanza del chokepoint negli equilibri regionali. D’altra parte, gli Uae appartengono alla Penisola Arabica che costituisce una regione di primaria importanza per gli equilibri regionali in Medio Oriente.
Durante la guerra del 1990-91, Abu Dhabi si è schierata con gli Usa e il Kuwait contro l’Iraq di Saddam Hussein e, da quel momento, ospita sul proprio territorio basi e truppe statunitensi. In particolar modo il porto di Jebel Ali, nei pressi di Dubai, è l’unico nella regione a raggiungere una tale profondità da permettere l’attracco delle portaerei. È anche il porto straniero più usato dagli Usa. Proprio negli Emirati, ad Abu Dhabi, anche la Francia ha inaugurato nel 2009 la sua prima base navale permanente nel Golfo Persico. Nel marzo del 2011, in seguito alle rivolte che hanno interessato il regime del Bahrain, gli Uae, insieme all’Arabia Saudita, hanno inviato proprie truppe sotto l’egida del Gcc a sostegno della famiglia reale bahrainita. Inoltre, dal 2014 gli Emirati sono direttamente impegnati nelle campagne aeree contro lo Stato islamico in Siria, mentre dal luglio del 2015 hanno dispiegato proprie truppe in Yemen, nell’ambito della coalizione a guida saudita contro i ribelli Houthi. Il 4 settembre del 2015, nell’ambito delle operazioni in Yemen, gli Houthi hanno attaccato una base utilizzata dai soldati emiratini nei pressi di Marib, uccidendone 45 (oltre ad altri 10 soldati sauditi e 5 del Bahrain) e causando la peggior perdita militare in un giorno solo nella storia del paese.
Le relazioni tra i paesi arabi del Golfo Persico e la Repubblica islamica dell’Iran sono generalmente tese a causa di divergenze politiche, religiose e strategiche che affondano le proprie radici nella rivoluzione iraniana del 1979. Se l’atteggiamento da Guerra fredda è stato una costante nel rapporto tra Arabia Saudita e Iran, altrettanto non può dirsi dei rapporti tra Teheran e gli Emirati, soprattutto Dubai. Sebbene le relazioni bilaterali siano state contrassegnate in passato da una forte tensione politica, soprattutto in merito alle isole contese nello Stretto di Hormuz e al programma nucleare iraniano, lo sblocco dell’accordo nel 2015 contribuirà quasi certamente al rilancio dei rapporti commerciali e di investimenti con Teheran. Già immediatamente dopo un primo accordo ad interim sul nucleare iraniano, del novembre 2013, i due paesi avevano intrapreso la strada della distensione nel tentativo di aprire un nuovo corso diplomatico. Un tentativo che ha riscontrato un certo successo con la visita nel dicembre 2013 negli Uae del ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. Durante l’incontro Zarif e il suo omologo emiratino, Abdullah bin Zayed al-Nahyan, hanno avanzato una duplice proposta volta a risolvere le controversie riguardanti le contese territoriali e a migliorare i rapporti politico-commerciali tra i due paesi. Gli Uae, infatti, sono tra i maggiori esportatori verso l’Iran, tanto da contare per il 10% delle importazioni iraniane totali e da rendere Teheran il quarto partner per le esportazioni. Al contempo, Teheran ha forti interessi economici e finanziari negli Uae. La federazione ha anche un ruolo nelle reimportazioni verso l’Iran da paesi terzi, altrimenti ostacolate dalle sanzioni internazionali. Con il progressivo allentamento delle sanzioni, si stima che l’economia emiratina possa giovare dei rinnovati rapporti finanziari e commerciali con l’Iran, al punto da far crescere l’economia di un ulteriore 1% annuo fino al 2018, secondo quanto stimato dal Fondo monetario internazionale. L’emirato più interessato dalle relazioni con l’Iran è Dubai, dove risiedono circa 400.000 iraniani ed è un tradizionale hub commerciale per la Repubblica islamica. Oltre a essere criticate dai maggiori attori arabi del Golfo e dagli Usa, le relazioni economiche tra Dubai e Iran creano divergenze anche all’interno degli Uae con l’altro emirato più importante, quello di Abu Dhabi.
Il 27 novembre 2013, Dubai è stata scelta dal Bureau International des Expositions (Bie) come sede della 67° esposizione universale. Dopo tre votazioni serrate, Dubai ha prevalso sulle candidate di Russia, Turchia e Brasile, che avevano presentato rispettivamente Ekaterinburg, Izmir e San Paolo. Si tratta di un’importante vittoria simbolica e politica per l’emirato di Dubai che nel 2009 era sull’orlo del collasso finanziario e che oggi spera attraverso questo grande evento di avere un importante ritorno in termini economici e di immagine.
L’Expo si svolgerà in un’area di 438 ettari a Jebel Ali, tra gli aeroporti di Dubai e Abu Dhabi. Le autorità federali – che prevedono dall’evento un ritorno economico pari a 23 miliardi di dollari – hanno pianificato un investimento pubblico totale di 7 miliardi di dollari, mentre altri 15-17 miliardi di dollari giungeranno da investitori privati nazionali e stranieri. Sempre stime governative prevedono l’arrivo nel paese di almeno 19 milioni di visitatori (il 70% dei quali provenienti da Europa, America e Asia) e la creazione di 277.000 nuovi posti di lavoro.
Nell’agosto del 2014 l’aviazione emiratina ha bombardato delle postazioni di Tripoli, in Libia, in mano alle milizie di Misurata, episodio che si sarebbe poi ripetuto nel settembre dello stesso anno. Con tali azioni militari, gli Uae per la prima volta hanno deciso di intervenire direttamente nel conflitto interno libico, dando man forte alle forze del Generale Haftar e, indirettamente, ribadendo il loro appoggio incondizionato al governo egiziano di al-Sisi. Da un lato, tale condotta è stata spiegata anche come effetto della competizione regionale con il Qatar, sostenitore di quella stessa Fratellanza musulmana che gli Uae hanno bandito insieme all’Arabia Saudita. D’altro canto, il ruolo militare degli Emirati nella regione è diventato ancora più importante nel corso del 2015, sia con i bombardamenti aerei in Siria, sia con la partecipazione alla coalizione a guida saudita nel conflitto in Yemen, dove le forze ribelli Houthi hanno preso il controllo della capitale. Nel luglio del 2015, infatti, Abu Dhabi ha deciso di dispiegare propri uomini direttamente sul campo, mentre inizialmente dava solo supporto aereo alle operazioni belliche. Nel settembre del 2015 un attacco dei ribelli Houthi contro una postazione emiratina nello Yemen ha provocato la morte di 45 soldati degli Uae, la più grave perdita in un giorno solo della storia del paese.