(gr. ῾Εκάβη, lat. Hecŭba o Hecŭbe) Mitica figlia del re frigio Dimante o di Cisseo, re di Tracia (ma vi furono altre versioni sulla sua discendenza), moglie di Priamo e regina di Troia, madre di 19 figli fra cui i più noti sono: Ettore, Paride, Deifobo, Eleno, Polidoro, Troilo, Polite, Cassandra, Polissena. Della leggenda di E. tre punti sono specialmente noti dalle tragedie greche: il sogno, la vendetta su Polimestore, la morte. Quando E. era incinta di Paride, le parve di partorire una face che incendiava tutta Troia; il sogno fu interpretato come preannunzio della rovina che Paride avrebbe causato alla città. Anche tale leggenda aveva delle varianti. Con la rovina di Troia la misera regina, cui i figli erano stati uccisi per mano del nemico, le figlie trascinate in schiavitù come Cassandra o uccise come Polissena (sacrificata sulla tomba di Achille), dovette seguire Ulisse come schiava; ma venuta nel Chersoneso Tracico, scoprì il cadavere del suo ultimo figlio Polidoro, da lei e Priamo affidato prima con molte ricchezze al re Polimestore e da questo assassinato. Perciò furente di vendetta trasse con un pretesto nella propria tenda Polimestore coi figli, e con l'aiuto delle donne troiane prigioniere uccise quelli, accecò lui; poi, furibonda e disperata, trasformata in cagna si gettò in mare. Il nome può intendersi come una pronuncia frigia di Ecale; ed è probabile che dietro la figura di E., quale appare nel mito eroico, si debba intravedere quella di una divinità, probabilmente legata ad Ecate, alla quale va ricondotta originariamente anche Ecale.
La figura di E., ricca di elementi drammatici, fu trattata soprattutto dai tragici; fra i greci: Sofocle in tragedie perdute, Euripide nell'Ecuba (424 a. C.), nelle Troiane (415 a. C.), nell'Alessandro (perduta); fra i latini: Ennio, Accio e Seneca (le Troadi). Nell'età moderna sono da ricordare l'Hécube di J. Bochetel, rifacimento della tragedia euripidea (1544), l'Ecuba, tragedia di L. Dolce (1560 circa), e, tra le opere musicali, l'Ecuba di N. A. Manfroce (1812), e quella di G. F. Malipiero (1941).