Economia
Durante il primo scorcio del 21° sec. il quadro che si presenta a una ricognizione dello stato della ricerca economica non fornisce indicazioni di mutamenti radicali rispetto al panorama del dibattito nell'ultimo quarto del secolo scorso. I temi affrontati sia a livello teorico sia a livello empirico restano fondamentalmente gli stessi. Pur tuttavia, a un esame più attento, emergono anche elementi di novità. Da un lato, si assiste a un certo cambiamento di tono nei dibattiti su temi e problemi già affrontati in passato. Dall'altro lato, emergono filoni di ricerca che possono collocarsi alla frontiera della disciplina, nel senso che, pur coinvolgendo un numero ancora relativamente ristretto di studiosi, mostrano grande vivacità e suscitano un crescente interesse da parte della professione nel suo complesso.
Gli ultimi decenni del 20° sec. avevano visto il sorgere e lo svilupparsi di dibattiti in seno alla disciplina, spesso caratterizzati da profonde divisioni e contrapposizioni che riguardavano non solo questioni analitiche e teoriche, ma anche più generali concezioni sia ideologiche sia politiche. In tal senso, l'esempio probabilmente più emblematico fu il dibattito che vide gli economisti keynesiani contrapporsi prima ai monetaristi e poi agli esponenti della cosiddetta Nuova macroeconomia classica. Il dibattito riguardava sì questioni analitiche concernenti la spiegazione di fenomeni quali l'inflazione o la disoccupazione, ma finiva per riflettere due diverse concezioni di fondo del funzionamento delle e. di mercato e della loro capacità di produrre risultati economici e sociali ottimali in assenza di significativi e sistematici interventi di politica economica. Così, spesso, le contrapposizioni disciplinari si traducevano nell'appartenenza a diversi schieramenti politici, favorevoli o meno alla ingerenza dello Stato nella sfera economica. Tra la fine del 20° sec. e l'inizio del successivo, il dibattito economico ha assunto generalmente toni per alcuni versi più distesi, attenuandosi le posizioni più estreme in un senso o nell'altro e realizzandosi una maggiore convergenza su alcuni punti.
Naturalmente continuano a esistere diverse posizioni, ma solitamente esse riguardano specifici punti analitici e/o risultati empirici piuttosto che questioni di fondo quali l'opportunità o meno di politiche economiche attive. In campo macroeconomico, ciò dipende soprattutto dall'ampio diffondersi della New Keynesian economics, che, pur sostenendo la necessità di politiche economiche attive, non trascura quanto prodotto dall'approccio monetarista e dalla Nuova macroeconomia classica. Per fare solo un esempio, tenendo conto dei contributi di quest'ultima, la quasi totalità dei modelli macroeconomici viene ora costruita ipotizzando che gli agenti formulino aspettative razionali e, quindi, forward looking (ossia, che non si basano esclusivamente sull'esperienza passata, come avviene per le cosiddette aspettative adattive).
Nell'ultima parte del secolo scorso la Nuova macroeconomia classica perse sostanzialmente l'egemonia culturale di cui aveva goduto negli anni precedenti, e si andò sempre più affermando tra i macroeconomisti la New Keynesian economics. Quest'ultima può definirsi un approccio teorico che produce risultati almeno analoghi a quelli dell'e. keynesiana degli anni Cinquanta e Sessanta; tra essi, in particolare, l'esistenza di equilibri caratterizzati da disoccupazione involontaria, un concetto di fatto scomparso sia dal quadro teorico monetarista sia da quello della Nuova macroeconomia classica. La New Keynesian economics è critica nei confronti della nuova macroeconomia classica, ma in genere accetta l'ipotesi delle aspettative razionali e l'idea che la macroeconomia debba basarsi su rigorosi fondamenti microeconomici. Le sue critiche si concentrano soprattutto sulle ipotesi della Nuova macroeconomia classica concernenti la natura e le caratteristiche dei mercati: viene rifiutata quella dei mercati sempre in equilibrio con prezzi perfettamente flessibili, e l'analisi viene indirizzata verso la ricerca dei fattori che danno vita all'esistenza di mercati caratterizzati da imperfezioni. La New Keynesian economycs rigetta l'ipotesi di concorrenza perfetta, e da ciò deriva la possibilità di ottenere risultati analitici di tipo keynesiano.
L'esplicita introduzione di un'ipotesi di concorrenza imperfetta è strettamente connessa alla questione dei fondamenti microeconomici della macroeconomia. Anche per l'e. keynesiana la spiegazione degli equilibri di sottoccupazione si basava fondamentalmente sull'esistenza di imperfezioni di mercato; in particolare sull'ipotesi di rigidità dei salari. Tuttavia gli economisti keynesiani erano stati criticati per avere semplicemente assunto tali imperfezioni e, soprattutto, per non aver realizzato che esse erano in contraddizione e non conciliabili con la concezione del funzionamento dei mercati derivante dall'analisi microeconomica. Se, a livello microeconomico, tutti gli agenti (imprese e individui) si comportano in modo razionale e ottimizzante, non è possibile che, a livello macroeconomico, emergano imperfezioni tali da giustificare i risultati keynesiani e quindi un intervento esterno per correggerle (la politica economica).
La New Keynesian economycs si è posta il compito di introdurre ipotesi microeconomiche consistenti con i risultati analitici a livello macroeconomico, ossia ipotesi non contraddittorie con le assunzioni sui comportamenti individuali; di qui, per es., l'accettazione dell'ipotesi di aspettative razionali. In questo quadro, un filone della New keynesian economycs si è mosso nella prospettiva di fornire spiegazioni soddisfacenti (basate su una rigorosa analisi microeconomica) della rigidità (sia reale sia nominale) dei salari. A tale riguardo sono state offerte varie spiegazioni, tra cui il tipo di contratti di lavoro stipulati, la logica di comportamento di imprese e lavoratori in condizioni d'informazione imperfetta, il ruolo dei sindacati. Nel contesto dell'analisi del mercato del lavoro, un concetto importante è il non-accelerating inflation rate of unemployment, il tasso di disoccupazione al quale l'e. non è soggetta a un'accelerazione del tasso di crescita del livello generale dei prezzi. Quando ci si trova a tale livello di disoccupazione, l'e. è al suo livello naturale o normale. In concorrenza imperfetta, sul mercato del lavoro può determinarsi un saggio del salario reale superiore a quello che, in concorrenza perfetta, garantirebbe il pieno impiego di tutti i lavoratori. Il saggio salariale associato a questo tasso di disoccupazione è non inflazionistico: né i lavoratori occupati né le imprese cercano di aumentare i propri redditi reali attraverso tentativi di aumento dei salari monetari oppure di aumento dei prezzi dei beni. Un altro filone di ricerca della New Keynesian economycs si concentra soprattutto su un'analisi più generale della flessibilità dei prezzi, riprendendo e rielaborando un'idea di J.M. Keynes secondo il quale la piena flessibilità di prezzi e salari può rendere più instabile l'e. piuttosto che rappresentare la cura contro la disoccupazione. Questa classe di modelli considera e. con informazione imperfetta e contratti incompleti, prestando particolare attenzione al mercato dei capitali caratterizzati da fenomeni di razionamento del credito. Le banche, in particolare, possono razionare il volume di credito all'e., incidendo così su investimenti, output e occupazione. Tale comportamento è pienamente razionale e massimizzante in condizioni caratterizzate da asimmetrie informative fra le banche e i prenditori di prestiti (v. anche informazione: Economia).
Su queste basi analitiche i modelli della New Keynesian economycs producono generalmente risultati diversi da quelli tipici della Nuova macroeconomia classica; in particolare, conducono al rifiuto dell'ipotesi d'inefficacia delle politiche economiche. Le politiche proposte, tuttavia, tengono conto delle precedenti critiche alle politiche keynesiane ortodosse, e s'indirizzano piuttosto a incidere sui fattori di rigidità dei mercati. Per questo, la New Keynesian economycs non può essere interpretata come un mero ritorno alla macroeconomia keynesiana del dopoguerra.
Gli anni Novanta del 20° sec. avevano visto emergere anche un nuovo approccio alla teoria del ciclo, la cosiddetta real business cycle school. Secondo questo approccio, largamente influenzato dalla Nuova macroeconomia classica per quanto riguarda l'equilibrio dei mercati e l'uso di aspettative razionali, i principali shock che l'e. subisce sono di natura tecnologica, ossia variazioni di natura casuale del tasso di progresso tecnico. Questi shock producono cambiamenti dei prezzi relativi ai quali gli agenti razionali rispondono modificando produzione, occupazione e consumi. Un'e. sottoposta a ripetuti disturbi tecnologici sarà soggetta a fluttuazioni delle principali variabili macroeconomiche (in particolare del prodotto interno lordo) di segno positivo o negativo. Anche in questo campo la New Keynesian economycs ha prodotto importanti contributi. Più in particolare, essa si è concentrata non tanto sull'origine degli shock (che comunque possono provenire anche dal lato della domanda) quanto sugli effetti che essi producono in e. caratterizzate da imperfezioni e rigidità.
L'affermarsi della Nuova macroeconomia keynesiana rappresenta una forma di convergenza della professione: i contributi del monetarismo e della Nuova macroeconomia classica vengono incorporati in un quadro teorico da cui emerge la necessità e l'efficacia delle politiche economiche, precedentemente ribadite dagli economisti keynesiani degli anni Cinquanta e Sessanta. Un esempio significativo di tale convergenza è quanto avviene nel campo dell'e. e della politica monetaria, dove si registra un consenso molto ampio su una serie di ipotesi analitiche e indicazioni di politica economica, tanto che si parla di un new monetary consensus. Dopo contrapposizioni anche assai aspre sull'origine e sulle cause dell'inflazione e, soprattutto, sui principi di fondo ai quali deve ispirarsi la politica monetaria, si è ampiamente affermata una posizione che, da un lato, non nega l'efficacia delle politiche monetarie almeno nel breve periodo e, dall'altro, non considera più il controllo dell'offerta di moneta come lo strumento adeguato al fine di realizzare gli obiettivi della Banca centrale. Il nuovo consenso giunge dopo il fallimento delle ricette di politica economica più rigidamente ispirate dal monetarismo (controllo dell'offerta di moneta) e dalla presa d'atto che le maggiori Banche centrali attuano le loro politiche attraverso il controllo diretto dei tassi d'interesse ufficiali, non usando l'offerta di moneta come variabile strumentale (v. moneta).
In generale, si può affermare che buona parte della professione sia giunta a una maggiore consapevolezza che spiegazioni sul funzionamento del sistema economico possono essere fornite solo ricorrendo all'elaborazione di modelli interpretativi più complessi di quelli tradizionalmente impiegati in passato, sia a livello teorico sia a livello applicato. Molte tradizionali assunzioni e semplificazioni sono ritenute troppo restrittive e inadeguate a rappresentare la realtà economica. Ipotesi come quelle di perfetta concorrenza e perfetta informazione degli agenti lasciano sempre più di frequente il posto ad altre ipotesi, più vicine e conformi ai fenomeni economici da studiare e interpretare (mercati in condizioni di concorrenza monopolistica, esistenza di asimmetrie informative ecc.). Più in particolare, tende a essere più frequentemente rimossa un'altra tipica ipotesi di gran parte dell'analisi economica soprattutto a livello macro, ossia l'ipotesi dell'esistenza di un cosiddetto agente rappresentativo, vale a dire un ideale soggetto economico (sia esso un'impresa o un consumatore) con caratteristiche che si assumono in grado di rappresentare tutti gli agenti appartenenti allo stesso gruppo. Tale ipotesi è spesso ritenuta fortemente inadeguata, essendo la realtà economica caratterizzata dall'esistenza di agenti eterogenei fra loro. Di conseguenza, si assiste a una crescente produzione di modelli interpretativi basati sull'ipotesi di agenti che si differenziano da diversi possibili punti di vista (ammontare e qualità delle informazioni in loro possesso, caratteristiche tecnologiche ecc.). L'ipotesi di eterogeneità degli agenti è particolarmente significativa nel campo degli studi di finanza, dove l'esistenza di operatori con caratteristiche comportamentali diverse è sfruttata per spiegare alcuni fenomeni dei mercati finanziari che non corrispondono a quanto predetto da modelli più tradizionali. La tendenza a introdurre ipotesi comportamentali e ipotesi concernenti la natura e l'organizzazione dei mercati più vicine alla concreta realtà economica si può registrare anche in filoni di ricerca più squisitamente microeconomici. Diversi studiosi tentano di affrontare il modello d'equilibrio economico generale Arrow-Debreu introducendo ipotesi diverse da quelle originarie, per es., l'ipotesi che non esistono tutti i mercati per tutti i possibili Stati del mondo (ipotesi d'incompletezza dei mercati).
Un altro elemento interessante che vale la pena di sottolineare è un crescente interesse per lo studio dei fenomeni economici nel loro aspetto dinamico piuttosto che per l'analisi di posizioni d'equilibrio statico. Sin dagli anni Ottanta e Novanta, l'analisi della crescita economica si basa sull'ipotesi che i fattori di crescita sono di natura essenzialmente endogena (teoria della crescita endogena), ponendo particolare attenzione al capitale umano e al progresso tecnico. Lo studio degli aspetti dinamici e di evoluzione nel tempo dei fenomeni economici implica, in alcuni casi, che l'analisi si sviluppi confrontando posizioni d'equilibrio intertemporale, mentre, in altri casi, si procede più radicalmente concentrandosi sull'analisi dinamica di e. fuori dall'equilibrio. Tutto ciò comporta un crescente ricorso a modelli interpretativi che impiegano tecniche analitiche più complesse e sofisticate che in passato. L'analisi dei processi dinamici, in condizioni d'incertezza, informazione imperfetta e cambiamento tecnologico richiede spesso l'impiego di modelli che, per es., incorporano la possibilità d'apprendimento degli agenti e, quindi, il cambiamento delle loro preferenze e scelte. Questa classe di modelli è frequentemente caratterizzata dalla presenza di non-linearità. I vari aspetti dell'analisi di fenomeni economici di questa natura sono affrontati in modo più dettagliato e approfondito in un altro lemma cui si rimanda (v. complessità).
I vari tentativi di analizzare comportamenti degli agenti più complessi e articolati e di analizzare forme di mercato non perfettamente concorrenziali fa sì che diverse branche della disciplina economica facciano un crescente uso della teoria dei giochi, che consente di studiare comportamenti strategici degli agenti (comportamenti che sono basati su ipotesi e aspettative concernenti le decisioni e le azioni di altri agenti). Nel 2005, il premio Nobel per l'e. è stato conferito a R.J. Aumann e a Th.C. Schelling per aver contribuito a una migliore comprensione dei conflitti e della cooperazione fra agenti attraverso la teoria dei giochi.
Lo sviluppo della disciplina in queste direzioni spiega non solo l'impiego di tecniche matematiche più avanzate e complesse che in passato, ma genera anche un crescente interesse per contributi teorici e analitici provenienti da altre discipline. Lo studio di processi dinamici suscita l'interesse per quelle branche della biologia che si concentrano sullo studio di processi evolutivi, così come per le branche della fisica che studiano sistemi complessi. Il tentativo di analizzare e modellizzare comportamenti degli agenti individuali più complessi di quelli ottimizzanti tradizionalmente ipotizzati suscita un crescente interesse anche per alcune branche della psicologia. Il premio Nobel per l'e. nel 2002 è stato infatti insignito a D. Kahneman per avere integrato nell'analisi economica contributi dalla psicologia e a V.L. Smith per il suo impiego in e. del metodo sperimentale da laboratorio.
Accanto alle ricerche e ai dibattiti più vivaci e innovativi, si ha anche un'ampia parte della disciplina che resta essenzialmente in alvei più consolidati, adattando e raffinando ipotesi e modelli emersi nel corso della seconda parte del secolo scorso. In questo caso, sembrano prevalere fra gli studiosi interessi di politica economica piuttosto che squisitamente teorici e un significativo sviluppo delle analisi empiriche, favorite dagli avanzamenti nelle tecniche di analisi quantitativa (v. econometria). Per quanto riguarda l'insegnamento dell'e., esso è ormai ampiamente basato su quanto si è affermato e consolidato nel corso della seconda metà del 20° secolo. L'insegnamento della microeconomia, a livello sia introduttivo sia avanzato, pur continuando a basarsi largamente sulle classiche ipotesi di agenti massimizzanti che operano in mercati perfettamente concorrenziali, dedica attenzione crescente al problema delle decisioni in condizioni d'incertezza e informazione asimmetrica. Le forme di mercato non perfettamente concorrenziali, come l'oligopolio, sono studiate con uso intenso della teoria dei giochi. L'insegnamento della macroeconomia si basa su modelli ampiamente influenzati dai contributi provenienti dalla New Keynesian economycs, anche se molti libri di testo fanno ancora ampio riferimento al modello keynesiano tradizionale come anche alle susseguenti critiche del monetarismo e della Nuova macroeconomia classica.
Se la riflessione e la ricerca teorica costituiscono i fondamenti su cui si basano le analisi empiriche per interpretare la realtà circostante e proporre politiche adeguate per la sua trasformazione, resta pur vero che la ricerca applicata non può non essere influenzata dagli sviluppi dell'ambiente economico e sociale. Negli ultimi anni il fenomeno della cosiddetta globalizzazione e le sue implicazioni sono state al centro di molte analisi che affrontano il problema generale e aspetti più specifici come quello della concorrenza internazionale e il ruolo crescente svolto da Paesi emergenti, tra cui le grandi e. asiatiche (v. competitività). Mentre di grande interesse risultano i fenomeni di decentramento e delocalizzazione che caratterizzano il settore industriale nell'epoca della globalizzazione (per questo aspetto v. industria). L'integrazione a livello mondiale è stata spesso accompagnata da significativi fenomeni di crisi e instabilità finanziaria (per i quali v. stabilità) che destano forti preoccupazioni nelle istituzioni preposte al controllo del funzionamento dei mercati finanziari mondiali come il Fondo monetario internazionale. La globalizzazione spesso si accompagna anche a crescenti divari, fra Paesi e all'interno di essi, in termini di redditi e ricchezza (per l'approfondimento di questo tema v. povertà e impoverimento) e in questo panorama complessivo estremo rilievo assume la situazione dei Paesi meno avanzati e i formidabili problemi economici, sociali e culturali che essi si trovano a fronteggiare nell'imboccare la via di una crescita stabile ed equilibrata. Un'altra caratteristica saliente del periodo che va dall'ultima parte del secolo scorso al primo scorcio dell'attuale è la forte accelerazione del processo d'innovazione tecnologica, che ha investito soprattutto i settori dell'informazione e della comunicazione (information and communication technology). Le nuove tecnologie hanno un impatto pervasivo e profondo su tutta la realtà economica: produzione e distribuzione di beni e servizi, funzionamento dei settori monetari e creditizi, processi di crescita e sviluppo nei Paesi meno avanzati ecc. Il problema dell'impatto economico delle nuove tecnologie viene affrontato in misura più o meno estesa nelle varie voci su temi specifici (si vedano, per es., le voci lavoro e moneta) e, naturalmente in quelle che affrontano direttamente i problemi del progresso tecnico.
Ma la questione dell'impatto economico delle nuove tecnologie dell'informazione si collega anche a problemi di natura più squisitamente teorica (per i quali v. informazione, economia della).
bibliografia
I risultati della ricerca in campo economico sono generalmente pubblicati su riviste e sotto forma di discussion papers, in collane pubblicate a cura dei dipartimenti universitari di e. o di importanti istituti di ricerca. Il numero di queste pubblicazioni continua a crescere, mostrando allo stesso tempo una forte tendenza alla specializzazione tematica. Ciò rende non facile fornire una bibliografia sintetica dei lavori recenti più significativi nei vari campi. È pertanto preferibile fornire alcuni titoli di volumi che possono dare al lettore una panoramica più precisa dello stato attuale della disciplina.
Un tentativo di integrare diversi approcci e linee di ricerca (equilibrio economico generale, concorrenza imperfetta, aspettative razionali, teoria keynesiana) nello sviluppo di modelli macroeconomici dinamici è costituito da J.-P. Benassy, The macroeconomics of imperfect competition and nonclearing markets: a dynamic general equilibrium approach, Cambridge (Mass.)-London 2002.
Due descrizioni dello stato attuale della ricerca e dell'insegnamento si ritrovano, per la microeconomia, in A. Mas-Colell, M.D. Whinston, J.R. Green, Microeconomic theory, Oxford-New York 1995, per la macroeconomia, in B.J. Heijdra, F. van Der Ploeg, The foundations of modern macroeconomics, Oxford-New York 2002.
Una raccolta dei contributi più significativi della Nuova economia keynesiana in vari settori di ricerca è in New Keynesian economics, ed. N.G. Mankiw, D. Romer, Cambridge (Mass.) 1991.
Sui problemi delle aspettative e dell'apprendimento in e.: G.W. Evans, S. Honkapohja, Learning and expectations in macroeconomics, Princeton (NJ)-Oxford 2001.
Su quelli della crescita: Ph. Aghion, P. Howitt, Endogenous growth theory, Cambridge (Mass.)-London 1998.
Sui problemi connessi all'eterogeneità degli agenti economici: Interaction and market structure: essays on heterogeneity in economics, ed. D. Delli Gatti, M. Gallegati, A.P. Kirman, Berlin-New York 2000.
Per una panoramica dei filoni e dei principali protagonisti dei campi di ricerca più avanzati, messi in relazione e confronto con filoni più consolidati: D. Colander, R.P.F. Holt, J.B. Rosser Jr, The changing face of economics: conversations with cutting edge economists, Ann Arbor (MI) 2004.
Sui problemi della globalizzazione: J.E. Stiglitz, Globalization and its discontents, London-New York 2002 (trad. it. Torino 2002); J. Bhagwati, In defense of globalization, Oxford 2004 (trad. it. Elogio della globalizzazione, Roma-Bari 2005).