Donna gentile
Personaggio della Vita Nuova e poi del Convivio, non distinto tra l'una opera e l'altra, ovvero in qualche modo corrispondente come dapprima figura reale e poi simbolo, ovvero (come poi si vedrà) due personaggi senza strettissimo rapporto l'uno con l'altro: da designare il primo come " Donna pietosa " e soltanto il secondo come " Donna gentile ".
In Vn XXXV D. narra che dopo alquanto tempo dal primo anniversario della morte di Beatrice (nel precedente capitolo, com'è noto, egli ha descritto la scena in cui stava disegnando uno angelo sopra certe tavolette, e l'episodio era avvenuto in quello giorno nel quale si compiea l'anno che questa donna era fatta de li cittadini di vita eterna), mentre se ne stava molto... pensoso, e con dolorosi pensamenti, levò gli occhi per vedere se altri mi vedesse, e vide allora una gentile donna giovane e bella molto, la quale da una finestra mi riguardava sì pietosamente, quanto a la vista, che tutta la pietà parea in lei accolta. Nel sentir che le lacrime gli vengono agli occhi, temendo di non mostrare la mia vile vita, D. si allontana (e dicea poi fra me medesimo: " E' non puote essere che con quella pietosa donna non sia nobilissimo amore "), e propone di scrivere di ciò in un sonetto: Videro li occhi miei quanta pietate. Nel capitolo seguente è narrato che là ovunque questa donna mi vedea, sì si facea d'una vista pietosa e d'un colore palido quasi come d'amore, il che fa ricordare a D. Beatrice, e non potendo lagrimare né disfogare la mia tristizia, io andava per vedere questa pietosa donna (onde il sonetto Color d'amore e di pietà sembianti). D. s'accorge di provare troppo diletto alla vista della donna pietosa (Vn XXXVII 6 ss. L'amaro lagrimar che voi faceste); il frequente pensare a lei, lo fa riflettere alla sua stessa condizione: Deo, che pensero è questo, che in così vile modo vuole consolare me e non mi lascia quasi altro pensare? (Vn XXXVIII 2); e per l'eccessivo compiacersi di lei, sentendo che si sta straniando dal suo stesso dolore, contrappone la ragione dell'anima, la quale prova tristezza per ciò che le è venuto a mancare, alla ragione del cuore, il quale si concede al nuovo compiacendosi del conforto che esso gli dà (e dissi questo sonetto, lo quale comincia: Gentil pensero; e dico ‛ gentile ' in quanto ragionava di gentile donna, ché per altro era vilissimo). Contro questo sentimento d'amore si levoe.., una forte imaginazione in me, che mi parve vedere questa gloriosa Beatrice (XXXIX 1): onde D. si pente di essere stato infedele alla memoria di Beatrice: lo mio cuore cominciò dolorosamente a pentere de lo desiderio a cui sì vilmente s'avea lasciato possedere alquanti die contra la costanzia de la ragione (XXXIX 2). Col ritorno di D. al pensiero e al compianto di Beatrice si chiude l'episodio della Donna g. nella Vita Nuova (il sonetto che consacra il ritorno a Beatrice è Lasso! per forza di molti sospiri).
In Cv II II 1-2 si legge che erano passati tre anni, due mesi e più, dalla morte di Beatrice (la stella di Venere due fiate rivolta era in quello suo cerchio, ecc.), quando apparve a D. quella gentile donna, cui feci menzione ne la fine de la Vita Nuova; il poeta soggiunge: E sì come è ragionato per me ne lo allegato libello, più da sua gentilezza che da mia elezione venne ch'io ad essere suo consentisse. Vi fu lunga battaglia nell'animo di D. prima che questo nuovo amore fosse perfetto (§ 3), perché l'amore per la Donna g. era alimentato dalla vista di lei e quindi poteva crescere, al contrario del pensiero per Beatrice; per celebrare la vittoria del nuovo pensiero, ch'era virtuosissimo sì come vertù celestiale (§ 5), D. scrive Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete. Inoltre D. rivela il significato della donna, e dell'amore per lei, nella spiegazione letterale della prima stanza della canzone (E a pieno intendimento di queste parole, dico che questo [spirito] non è altro che uno frequente pensiero a questa nuova donna commendare e abbellire, Cv II VI 7; infatti, ricordato che, secondo quanto gl'insegnavano i filosofi antichi, egli immaginava la filosofia come una donna gentile (Cv II XII 6), e per meglio conoscerla aveva preso a frequentare i luoghi dov'ella si dimostrava veracemente, cioè ne le scuole de li religiosi e a le disputazioni de li filosofanti, afferma (II XII 9): questa donna fu figlia di Dio, regina di tutto, nobilissima e bellissima Filosofia; e ribadisce, sempre a proposito di questa donna gentilissima Filosofia (II XV 1), che essa è donna piena di dolcezza, ornata d'onestade, mirabile di savere, gloriosa di libertade (II XV 3), e conclude con la ben nota proposizione: dico e affermo che la donna di cu'io innamorai appresso lo primo amore fu la bellissima e onestissima figlia de lo Imperadore de lo universo, a la quale Pittagora pose nome Filosofia (II XV 12). Per meglio lodare questa donna (III I 12) scriverà la canzone Amor che ne la mente mi ragiona (cfr. poi IV I 3 ss.).
L'esame dei due testi pone in luce le indubbie diversità che tra la Vita Nuova e il Convivio intercorrono quanto all'episodio (per più diretta conoscenza dell'importanza della donna pietosa o gentile all'interno della singola opera, vedi sotto le relative voci Convivio e Vita Nuova; cfr. anche Beatrice; Amore § 15; e le voci riguardanti i sonetti e le canzoni citate). È stato sforzo costante della critica dantesca, tuttavia, quello di studiare il necessario coordinamento tra i due ritratti della Donna g., necessario perché perentoriamente richiamato dallo stesso D. con l'esplicito riferimento alla Vita Nuova nel luogo di Cv II II 1. Sì che voler fare della Donna g. due distinti personaggi verrebbe a urtare contro l'indicazione così precisa dell'autore stesso, e in un certo senso contro le testimonianze esterne, se è da ammettere che Cino, sollecitando D. a continuare nel lavoro e a non farsi abbattere dalle aspre difficoltà del momento, propriamente all'esaltazione della Donna g. si riferisce ("merzè per quella donna che tu miri: / d'opra non star, se di fè non se' sciolto ", in Dante, i' non so in qual albergo soni, 13-14).
Un primo interrogativo è consistito nel chiedersi per qual motivo la datazione dell'episodio ha forme cronologiche diverse; ma la risposta non è qui difficile, sol che si badi che nel giovanile libello l'alquanto tempo dopo l'annovale di Beatrice è indeterminatezza che ben si giustifica nel clima di totale lode di Beatrice che vuol essere la Vita Nuova, mentre la puntigliosa precisione del Convivio tende a consacrare, con la tanto maggiore importanza dell'episodio, una più esatta collocazione di esso nel tempo: la fine dell'agosto del 1293, dato che la morte di Beatrice cade l'8 giugno del 1290 (Vn XXIX 1); peraltro sono state proposte anche le date dell'agosto 1291 (ma vedi Lubin) e gennaio 1292 (Torraca). Ma non è tanto la data dell'episodio a contare, quanto piuttosto la durata di esso: un breve smarrimento nella Vita Nuova, subito vinto dal trionfale ritorno di Beatrice, mentre un lunghissimo periodo nel Convivio, contraddistinto da altra e non meno trionfale conclusione: la vittoria ‛ definitiva ' della Donna gentile. Vero è che la Commedia riaprirà il problema, per la ‛ totale ' esaltazione che ivi sarà di Beatrice, e l'assenza di qualsiasi ricordo della Donna g., ché in alcun modo potrà correlarsi a quest'ultima il luogo famoso di If II 94 Donna è gentil nel ciel, che si compiange..., anche se è legittimo quel che segnalava F. Mazzoni: " Non sarà inutile sottolineare la progressiva transvalutazione del significato entro uno stesso significante: dalla ‛ donna gentile ' della Vita Nuova al suo farsi simbolo della Filosofia nel Convivio, infine alla attuale perifrasi mariana " (Saggio di un nuovo commento alla D. C., Firenze 1967, 284).
Altro dato su cui si è industriata la dantologia, è quello dell'identificazione della Donna g. nella Vita Nuova. Si potrà dir subito che, tra le varie ipotesi proposte, quella che meno regge è relativa a Gemma Donati, e non è chi non ne veda le ragioni: almeno il riferimento alla viltà di D. e alla sua vita oscura (Videro li occhi miei, 6) ! La proposta partiva dalla coincidenza temporale dell'episodio con l'epoca presumibile del matrimonio di Dante. Altrettanto generiche restano le indicazioni a Pietra, alla Pargoletta, persino a Lisetta, a proposito della qual ultima, tuttavia, c'è da far i conti con l'autorità del primo proponente, il Barbi, e di chi poi ha voluto sviluppare oltre il lecito l'ipotesi, il Pietrobono. Ma lo stesso Barbi, più tardi (La questione di Lisetta, cit. in bibl.) è tornato a ripensare alla proposta non più puntando sulla coincidenza cronologica tra l'episodio della Donna pietosa e la corrispondenza poetica con Aldobrandino Mezzabati (che col sonetto Lisetta voi de la vergogna storre risponde al dantesco Per quella via che la bellezza corre), ma sulle differenze narrative e concettuali tra i due libri. Che è, infatti, il tema critico fondamentale, sin dal primo scritto del Barbi: " Evidentemente per Dante mentre scrive il Convivio il racconto della Vita Nuova, in quella parte che riguarda la pietosa consolatrice, non è che una bella menzogna (II, 1): la verità ascosa, la vera sentenza (I, 2) si trova soltanto nel Convivio. Così la dichiarazione di non voler in parte alcuna derogare alla Vita Nuova va intesa in un modo diverso da quello che ordinariamente si fa. È vero che in quell'operetta (così doveva ragionar l'Alighieri quando scriveva il Convivio) l'amore per la pietosa consolatrice, che in realtà è la Filosofia, è narrato con forma sì viva e passionata, da parere un amore per donna reale. Ma questo è fatto a studio, appunto, perché un'opera scritta all'entrata della gioventù, come riassunto della vita antecedente, deve esser fervida e passionata " (" Bull. " II [1894] 11); e più tardi, recensendo P. Chistoni, La seconda fase del pensiero dantesco (Livorno 1903), in " Bull. " X (1903) 322: " la lettera altro non era che una bella menzogna, e ... la verità veniva data solo dal senso allegorico, come appunto afferma quando dichiara teoricamente i quattro sensi secondo cui vanno intese le scritture ".
Il Barbi e gli studiosi della sua generazione dovevano infatti annullare il sospetto che gravava su D., di aver " operato una deformazione retrospettiva della verità di fatto con l'asserita allegoricità dell'episodio della Vita Nuova " (Mattalia), retrodatando all'epoca di composizione dei sonetti per la donna pietosa le rime del Convivio. In tal direzione s'era mosso il Pietrobono con la sua ipotesi di una doppia redazione della Vita Nuova (vedi di lui Il Poema sacro, Bologna 1915, e poi i Saggi danteschi, Torino 1954, 1-24), secondo cui originariamente il libello si concludeva con l'episodio della Donna g., e soltanto in un secondo momento, addirittura dopo il 1312, D. all'atto d'interrompere il Convivio, avrebbe rimaneggiato la Vita Nuova con l'aggiunta delle parti finali, celebranti il trionfo di Beatrice (a definitiva eliminazione dell'ipotesi pietroboniana vedi ora M. Marti, Vita e morte della presunta doppia redazione della Vita nuova, in Studi in onore di A. Schiaffini, " Rivista di cultura classica e medievale " VII [1965] 657-669). In appoggio al Pietrobono, sebbene con una personale visione dell'episodio, possono essere escusse le argomentazioni del Nardi, che pone alcuni estremi cronologici quale primaria base di dibattito: nel 1291-1292 la prima stesura della Vita Nuova; verso la fine del 1293 la composizione di Voi che 'ntendendo e subito dopo quella di Amor che ne la mente; dal 1304 al 1306 la redazione delle prose del Convivio; dopo il 1306 la rielaborazione della Vita Nuova. Quanto alla Donna g. il Nardi, dopo un primo momento in cui sembrava all'incirca convenire col Barbi, in polemica col Camilli (Le figurazioni allegoriche, in " Archiv für das Studium der neuren Sprachen " vol. 182, fasc. 3-4, 115-118, secondo cui D. aveva " incrostato post factum la Filosofia alla D.G. ") riaffermerà recisamente che " la realtà puramente allegorica di questa donna, la quale, secondo D., non è altro che la Sapienza di cui parlano Aristotele e i libri salomonici, diventa così trasparente che il dubitare è assurdo; ché non solo essa non ha neppur uno dei tratti che si convengono a donna mortale, ma si rivela veramente figlia e sposa di Dio... La d.g., nelle rime ad essa dedicate, alle quali serviva di preludio la canzone Voi che intendendo, non meno che nelle dichiarazioni del Convivio, è nata nella fantasia del poeta come donna allegorica. E come donna allegorica va " (Nel mondo di D., pp. 37, 40); concludendo infine con le parole del Barbi (D. e G. Cavalcanti, p. 495) che nella Vita Nuova " abbiamo una donna tratta dalla realtà della vita ordinaria, bella e gentile ecc. ecc., mentre nelle rime allegoriche abbiamo una donna che è immaginata sin dal primo momento (cioè sulla fine del 1293 o in principio del 1294) come qualcosa di superiore alla condizione della donna reale ". Insomma la diversità tra i due testi si andava accentuando man mano che si poneva in rilievo l'assoluta allegoricità del personaggio del Convivio rispetto alle ineliminabili parvenze d'esperienza reale della Vita Nuova; e per questa via s'è mossa una parte notevole della recente critica dantesca, di cui s'è fatta interprete la Simonelli, ribadendo i caratteri propri e autonomi della donna pietosa della Vita Nuova (" La donna pietosa è dunque questo novo spiritel d'amore che spinge verso un'affermazione della vita, ma con un movimento quasi convulso, a ritroso, per un cammino che non conduce al porto ") nei riguardi della Donna g. del Convivio, la quale " ha similitudine con l'antica: entrambe rispondono infatti a un desiderio di vita e di consolazione. Solo che adesso il cammino è quello provvidenzialmente segnato verso la perfezione e la felicità ". Per la Simonelli la narrazione del Convivio è un nuovo tentativo, da parte di D., di raccontare la propria vita, ora che finalmente ha imboccato la strada della salvezza; e la narrazione si completa coi canti XXX-XXXI del Purgatorio, sì che in definitiva " la donna pietosa rappresenterebbe così la crisi dantesca che la Donna gentile avvia a risoluzione ". Ma altra parte della critica contemporanea, pur non negando le aporie implicite alla lettura dei due testi, sembra piuttosto attenta a negare l'allegoria originaria delle rime, soprattutto di Amor che ne la mente, provvedendo ad avanzare la tesi che l'esperienza inerente all'episodio della Vita Nuova debba intendersi molto più ampia nel tempo e coinvolgere (propriamente secondo il dettato ‛ reale ' del libello) varie rime, tra le quali senza alcun dubbio le prime due del Convivio (così nel Pézard, nel Renucci, nel Montanari, nel De Robertis), e per Voi che 'ntendendo, ad esempio, il Montanari dirà che essa fu scritta originariamente per " la Donna Gentile quale è rappresentata nella Vita Nuova, donna reale ", ma non venne inserita in questo libro in quanto " troppo ampia ed impegnativa in senso diverso dall'idea centrale della Vita Nuova: e più tardi ne diede un'interpretazione allegorica quando, nell'esilio, pensò di scrivere un'opera filosofica che rimuovesse da lui l'infamia di troppo passionati amori ". L'esplicito riferimento che D. nel Convivio fa al libello, non andrà dunque, si tende a concludere, sopravalutato, e (ancora il Montanari) " il contrasto tra Beatrice e la Donna Gentile era dunque vero nella Vita nuova poiché là si trattava ancora di due donne terrene: è più vero nel profondo significato del Convivio perché qui ogni donna è allegoria dell'amore di conoscenza e cioè della filosofia ". Su posizioni di pari equilibrio si muove il più recente critico del problema della Donna g., il Pernicone (nell'ediz. delle Rime della maturità e dell'esilio, e cfr. anche in questa Enciclopedia la già citata voce su Amor che ne la mente): D., appassionatosi degli studi filosofici, volle utilizzare l'esperienza sia d'arte che di modi psicologici del capitolo dedicato alla Donna g. nel libello: " La Filosofia poteva essere lodata più di Beatrice e D. poteva essere scusato del mutamento del suo animo ". Ma già in questa direzione si era messo sin dal 1951 il Bosco nel suo saggio su Tendenza al concreto e allegorismo nell'espressione poetica medievale, ribadendo poi, in un poscritto del '65, la mancanza di vera e propria contraddizione tra i due episodi, poiché, " nel libello, Dante ci dà un racconto psicologico: quel che allora lo interessava era approfondire la complessità e le contraddizioni intime del cuore umano. In seguito... non si contenta perciò più della " ragione " psicologica del suo racconto; ne vuol dare una allegorico-morale che valga a guidare gli uomini " a scienza e a vertù " mostrando loro come proprio la scienza e la virtù, e non una donna, per " gentile " che sia, possono consolare ". Certo si è che D. ha creato, in entrambi i versanti narrativi e dottrinari dell'episodio, un capitolo fondamentale anche del proprio itinerario espressivo e poetico, là, nella Vita Nuova, nell'immediatezza stilistica e nella caldezza emotiva dell'apparizione della ‛ pietosa ', e ora, nel Convivio, nella sapiente rappresentazione dottrinaria, sia morale che gnoseologica, e soltanto allegoricamente evocativa, della stessa esperienza, ulteriormente arricchita dai dati offerti dalla ballata Voi che savete ragionar d'Amore (Rime LXXX), dove il motivo del disdegno e della crudeltà che la donna amata manifesta verso il poeta, si addolcisce nella contemplazione della figura di Amore che è riflessa all'interno di quegli occhi solo apparentemente disdegnosi, poiché la severità dello sguardo della donna simboleggia la durezza stessa della scienza, " restia a concedersi, ma che alla fine premierà il perseverante " (Contini, Rime, ad l.), capace di comprendere che tanta asprezza di tratto serve ad allontanare D. dalle dolci rime d'amor, sì che potrà alla fine affermare: E poi che tempo mi par d'aspettare, / diporrò giù lo mio soave stile, / ch'i' ho tenuto nel trattar d'amore; / e dirò del valore, / per lo qual veramente omo è gentile, / con rima aspr' e sottile (Le dolci rime 9-14), consacrando la propria dedizione alla poesia dottrinale attorno alla Nobiltà e alla Leggiadria (la prima delle quali è proclamata amica della Donna g.). E con tale dedizione, dopo un breve momento di stasi rappresentato dal sonetto Parole mie che per lo mondo siete (Rime LXXXIV; ove affermava l'intendimento di non comporre altre rime per la Donna g.: Con lei non state, ché non v'è Amore), e dopo la conseguente palinodia di O dolci rime che parlando andate (Rime LXXXV; " esso sonetto non va obbedito, perché dice il falso, ma se ne deve ascoltare l'invito a recarsi dalla donna gentile ", Contini, ad l.) si deve intendere concluso l'episodio: E se voi foste per le sue parole / mosse a venire inver la donna vostra, / non v'arrestate, ma venite a lei. / Dite: "Madonna, la venuta nostra / è per raccomandarvi un che si dole, / dicendo: ov'è 'l disio de li occhi miei?", vv. 9-14.
Bibliografia
Si vedano le opere citate nelle bibliografie delle voci Beatrice, Convivio, Vita Nuova, e quelle relative ai sonetti e alle canzoni ricordati nella presente voce. In particolare giova ricordare, oltre quelli citati nel testo, i seguenti studi: S. De Chiara, La Pietra di D. e la donna gentile, in " L'Alighieri " III (1891-1892) 418-437; B. Nogara, La donna pietosa nella Vita nuova e nel Convito, in Nozze Marietti-Brini, Milano 1895; A. Lubin, D. e la donna gentile, in D. e gli astronomi italiani. D. e la Donna G., Trieste 1895; C. Ferrari, Di alcuni pareri di critici esimi intorno a D., Beatrice, Gemma Donati e la Donna G. ed esame dell'opinione manifestata da uno di essi circa le cagioni determinatrici dei maritaggi di quel tempo, Firenze 1897; G. Curto, La Beatrice e la Donna G. di D.A., Pola 1897; A. Scrocca, Il peccato di D. - Con un'appendice intorno alla Donna G., Roma 1900; G. Manacorda, Lisetta è la Donna G.?, in " Giorn. d. " VIII (1900) 105-108; E. Lamma, Madonna Lisetta e la Donna G., in Questioni dantesche, Bologna 1902; A. Corbellini, Un passo del Convivio e la data della Vita nuova. Le indicazioni cronologiche di D. sull'amore filosofico della Gentile, Pavia 1905; G. Brunacci, Il rimprovero di Beatrice e le rime per la Donna G., in " L'Apollo " I (1909) 2; A. Santi, Il ravvedimento di D. e l'inganno del Convivio, in " Giorn. d. " XXII (1914) 117-129, 173-181; J.E. Shaw, Dante's gentile donna, in " The Modern Language Review " X (1915) 2; E. Ciafardini, Tra gli amori e tra le rime di D., Napoli 1919, ripubbl. in Problemi di critica dantesca, Napoli 19502, 33-188; M. Barbi, La questione di Lisetta, in " Studi d. " I (1920) 17-63 (rist. in Problemi II 215-251; del Barbi vedi dapprima " Bull. " Il [1894] 11; X [1903] 322; poi " Studi d. " XV [1931] 105-107; XVII [1933] 13-18); G. Zuccante, La Donna G. e la filosofia nel Convivio, in Figure e dottrine nell'opera di D., Milano 1921, 3-28; F. Beck, Ueber die Wesensähnlichkeit zwischen Beatrice und der ‛ donna gentile ' nach Dante's Vita nova und Convito, in " Deutsches Dante-Jahrbuch " IX (1925) 68-97; L. Di Benedetto, Tra gli amori di D. e del Cavalcanti, Napoli 1928; C. Schloss, D. e il suo secondo amore, Bologna 1928; F. Torraca, Due enigmi danteschi, in " Studi medievali " II (1929) 275-288; U. Cosmo, Vita di D., Bari 1930, 36-53; L. Pietrobono, Il rifacimento della Vita Nuova e le due fasi del pensiero dantesco, in " Giorn. d. " XXXV (1934) 1-82, poi in Saggi danteschi, Torino 1954, 25-98 (oltre al cit. Poema sacro); G. Busnelli, Le contraddizioni tra la Vita Nuova e il Convivio intorno alla Donna G., in " La civiltà Cattolica " LXXXV (1934) 147-153; J.E. Shaw, The Lady Philosophy in the Convivio, Londra 1938; B. Nardi, Le figurazioni allegoriche e l'allegoria della Donna G., in Nel mondo di D., Roma 1944, 21-40; ID., D. e la cultura medievale, Bari 1942; ID., Dal Convivio alla Commedia (Sei saggi danteschi), Roma 1960, 1-6; ID., D. e G. Cavalcanti, in " Giorn. stor. " CXXXIX (1962) 481-512 (rist. in Saggi e note di critica dantesca, Milano-Napoli 1966, 190-219); D. Mattalia, La critica dantesca, Firenze 1950, 123-136; A. Pézard, Avatars de la Donna G., in " Bull. Société d'Etudes dant. du C.U.M. " II (1947-48) 173-185; P. Caligaris, La Donna G., in " Lettere italiane " V (1953) 126-128; T. Van Der Loos, Beatrice en Donna G., in " Critish Bulletin " XXI (1954) 289-300; P. Renucci, D., Parigi 1958, 49-51; U. Bosco, Tendenza al concreto e allegorismo nell'espressione poetica medievale, in Atti del Congresso internazionale di poesia e di filologia per il VII centenario della poesia e della lingua italiana, Palermo 1953, 3-14 (rist. in D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 13-17); F. Montanari, L'esperienza poetica di D., Firenze 1959, 60-75; D. De Robertis, Il libro della Vita Nuova, ibid. 1961, 171-173; ID., Le Rime di D., in Nuove lett. 1311; S. Caramella, La filosofia della donna pietosa, in " Labor " VI (1965) 71-78; M. Simonelli, Donna pietosa e Donna G. fra Vita Nuova e Convivio, in Atti del Convegno di studi su aspetti e problemi della critica dantesca, Roma 1967, 146-159.