Elemento soggettivo del reato. È previsto in generale per i delitti (art. 42, comma 2 e 3, c.p.), salvo le ipotesi di responsabilità colposa, preterintenzionale e oggettiva espressamente disposte dalla legge, e in alternativa alla colpa per le contravvenzioni (art. 42, ult. co., c.p.).
Come si evince dall’art. 43 c.p., la struttura del dolo si compone di un momento intellettivo e di uno volitivo identificabili rispettivamente nella rappresentazione e nella risoluzione dell’evento.
Per quanto concerne l’oggetto del dolo, come afferma la dottrina dominante, è necessario superare la lettera dell’art. 43 c.p. e far riferimento anche agli artt. 47 e 59 c.p. La prima disposizione afferma che la punibilità (a titolo di dolo) è esclusa per errore sul fatto che costituisce reato, salvo sia previsto come delitto colposo; la seconda che le circostanze escludenti la pena sono sempre valutate a favore dell’agente anche se da lui erroneamente supposte. Tali norme sanciscono indirettamente il principio per cui l’oggetto del dolo non si identifica nel mero evento in senso naturalistico, risultato dell’azione od omissione da cui la legge fa dipendere l’esistenza del reato, bensì nell’intero fatto di reato privo di cause di giustificazioni. Ciò significa che per la configurazione del dolo il soggetto agente deve porre in essere tutti gli elementi costitutivi della fattispecie astratta di reato.
Tuttavia, la dottrina si è a lungo impegnata nel delineare con certezza quali componenti del fatto siano oggetto del momento intellettuale, di quello volitivo o piuttosto di entrambi. La teoria della rappresentazione, ad esempio, afferma che mentre la condotta può esser oggetto sia del momento intellettivo che di quello risolutivo, l’evento inerisce soltanto la fase della previsione; viceversa, i sostenitori della teoria della volontà, oggi dominante, affermano che anche l’evento è oggetto di volontà e non solo d rappresentazione.
A seguito della sentenza n. 364/1988 della Corte costituzionale, l’ignoranza della legge penale esclude il dolo solo se inevitabile; in caso contrario la non conoscenza della norma penale è irrilevante.
Ai fini dell’accertamento del dolo e della dosimetria della pena, il giudice, nell’applicare il criterio dell’intensità del dolo ex art. 133, comma 1, n. 3, c.p., deve considerare le varie forme di questo elemento soggettivo del reato: il dolo è specifico se lo scopo del reato previsto dalla norma corrisponde a quello rappresentato dal soggetto agente; è diretto se l’evento realizzato, pur essendo voluto, non costituisce lo scopo principale della sua condotta; è eventuale se l’evento è rappresentato, ma non voluto dall’agente che si limita ad accettare il rischio della sua verificazione; è alternativo quando tra la possibile verificazione di due o più reati è per l’agente indifferente quale effettivamente avrà luogo. In tal caso la giurisprudenza prevalente suole imputare al responsabile del reato soltanto il fatto effettivamente posto in essere. Il dolo può poi distinguersi in precedente, concomitante o successivo in base al momento in cui accompagna la condotta delittuosa; in dolo di danno o di pericolo a seconda che l’agente abbia voluto effettivamente ledere il bene giuridico protetto dalla norma o soltanto esporlo ad un pericolo.
L’intensità del dolo può poi mutare a seconda della chiarezza e della certezza della rappresentazione o rispetto alla complessità, all’adesione psicologica e alla durata della fase risolutiva. Sotto quest’ultimo aspetto il dolo può ulteriormente distinguersi in dolo d’impeto, se la realizzazione del fatto segue istantaneamente la sua rappresentazione tale da apparire improvvisa; di proposito nel caso in cui tra la rappresentazione e la realizzazione trascorra una considerevole lasso di tempo; se oltre al trascorrere del tempo sussiste anche un proposito criminoso fermo ed irrevocabile, il dolo è qualificabile in termini di premeditazione.
I limiti temporali all'analisi del dolo e della colpa nel giudizio sulla riparazione di Claudio Papagno