Processo logico-discorsivo (dal gr. apodissi) in virtù del quale si arriva a garantire la validità di un enunciato.
La nozione di d. venne introdotta da Aristotele che la definì come quella forma speciale di sillogismo che deduce una conclusione da principi primi e veri, distinta dal sillogismo dialettico perché produttiva di una conoscenza scientifica, cioè dimostrativa, dell’essenza delle cose attraverso un processo di conoscenza delle loro cause. Tale concetto si è sostanzialmente mantenuto, con vari approfondimenti nella filosofia medievale ed è successivamente passato nella filosofia moderna. Questa, a partire dal 17° sec., ne ha sottolineato ora l’aspetto gnoseologico, per cui la funzione della d. consiste nella giustificazione dei nessi di idee che non si rivelano immediatamente all’intuizione (J. Locke), ora l’aspetto logico, come processo di deduzione formale da premesse, modellato sul tipo della d. matematica (R. Descartes, G. Leibniz). Nuovo impulso ha ricevuto lo studio della d. con lo sviluppo dell’assiomatica (➔ assioma) e delle ricerche sui fondamenti della matematica fino al costituirsi di un espresso campo di ricerche, la teoria della d., elaborata da D. Hilbert e K. Gödel, che studia le capacità dimostrative dei sistemi formali, teoria che, dopo il fallimento del suo originale obiettivo, quello cioè di una fondazione razionale definitiva dell’aritmetica, ha stimolato tuttavia ulteriori sviluppi nel campo della logica contemporanea.
Catena di deduzioni che riconducono la validità di una proposizione A′ a quella di una proposizione A, già riconosciuta per vera. In questo modo si perviene necessariamente, in un certo momento, a un sistema di proposizioni ‘primitive’ (termini o definizioni, e assiomi), non ulteriormente riducibili a proposizioni più semplici. Esse possono essere considerate, da un punto di vista elementare, intuitivo, come proposizioni di per sé evidenti, relative a concetti primitivi pur essi di significato evidente (le ‘nozioni comuni’ di Euclide); ma da un punto di vista logicamente più rigoroso le proposizioni primitive (postulati, assiomi) devono invece essere considerate come delle relazioni formali, indipendenti da modelli concreti, che definiscono in modo implicito gli enti primitivi. Punto di partenza di una teoria è allora un qualsiasi sistema di postulati, purché non contraddittori (sistema coerente). Quest’ultima concezione, che è quella moderna, ha dimostrato, attraverso esempi ormai classici (geometrie non euclidee ecc.), l’insostenibilità della tesi che affermava essere la matematica scienza dimostrativa a priori (Aristotele, I. Kant), basata su principi immutabili, inerenti alle forme stesse della intuizione.
In logica matematica, una successione finita di espressioni A1,..., An di un linguaggio L di un sistema formale T si dice d. di un’espressione A di L se: a) ogni espressione Ai compresa tra A1 e An o è un assioma di T, o è ottenuta da espressioni precedenti nella successione per applicazione di regole di inferenza di T; b) A è l’ultima espressione della successione (cioè A=An).