diagnosi
Medici a caccia di indizi
Fare una diagnosi vuol dire capire se una persona è malata e qual è la malattia. Per riuscirci bisogna raccogliere numerose informazioni. Il medico ascolta il paziente e lo visita. Per capire meglio può essere necessario fare diversi tipi di indagini: analisi del sangue e delle urine, radiografie, ecografie, esami che servono per vedere se funzionano bene il cuore o il cervello, e altre ancora. In base ai risultati degli esami si può diagnosticare la malattia e scegliere la cura più adatta
Il procedimento con il quale il medico identifica la malattia è chiamato diagnosi. Il termine diagnosi deriva dalla parola greca diàgnosis, che indica l'atto di "conoscere attraverso". Attraverso che cosa? Attraverso un gran numero di indizi diversi: alcuni possono essere colti direttamente dal medico quando visita un malato, altri richiedono l'uso di indagini anche molto complesse. Il primo passo per arrivare alla diagnosi consiste nell'avere informazioni sulla storia della salute del malato. Questa raccolta di informazioni si chiama anamnesi. Il medico chiede al malato o a un suo familiare quali malattie ha avuto in passato, quali cure ha fatto, se ha subito interventi chirurgici e così via. Ma non si tratta solo di questo: al medico è utile sapere anche se la persona che sta visitando è sportiva o sedentaria, se ha un'alimentazione corretta, se ha avuto allergie, se fuma e se abusa di sostanze che possono essere pericolose per l'organismo, come l'alcol.
Con la scoperta della genetica e della ereditarietà nello sviluppo di alcune malattie, è diventato sempre più importante per il medico sapere se i familiari del malato hanno avuto certe malattie, per scoprire se in quella famiglia c'è una predisposizione per questa o quella malattia. Altrettanto importante è poi sapere qual è il lavoro della persona visitata. Nell'attività lavorativa, infatti, si può entrare in contatto con sostanze potenzialmente pericolose, oppure compiere gesti che possono causare, soprattutto a lungo andare, disturbi delle ossa o delle articolazioni. Quest'ultimo è il caso di chi fa lavori manuali pesanti, come il muratore o il meccanico, ma anche di alcune occupazioni apparentemente innocue. È stato scoperto di recente, per esempio, che anche l'uso continuato della tastiera o del mouse del computer possono provocare alcuni disturbi del polso o del gomito.
Naturalmente il medico chiederà al malato ciò che prova in quel momento, come dolori, prurito, senso di gonfiore, stanchezza, come batte il cuore e così via. Inoltre farà attenzione a come il malato parla, perché questo gli potrà rivelare se esistono disturbi della parola, dello stato d'animo, del pensiero o della memoria.
Insomma, il medico può apparire come un gran curioso. Ma salvo alcuni casi in cui la diagnosi è immediatamente evidente (per esempio, se c'è l'eruzione tipica della varicella o del morbillo, o una gamba rotta) queste informazioni possono essergli di grande utilità.
Esistono anche altri elementi importanti da considerare e che possono essere osservati direttamente dal medico. Questa parte della visita è detta esame obiettivo, perché appunto si tratta di scoprire elementi concreti, obiettivi, e non di ascoltare un racconto. Il medico prende il polso con una mano, perché sotto le sue dita sente battere un'arteria e capisce come batte il cuore; guarda la gola, per capire se c'è un'infezione delle tonsille, e dà un'occhiata alla lingua, che è una spia di come funziona l'intestino. Poi abbassa una palpebra per controllare il colore della sclera ‒ la parte bianca dell'occhio ‒ che, se è giallastra, rivela l'esistenza di un ittero, che può essere dovuto a una malattia del fegato; e vedrà anche il colore della congiuntiva (una membrana con molti piccoli vasi sanguigni che protegge l'occhio) che potrà essere arrossata, se c'è un'infiammazione, o troppo pallida, se c'è un'anemia. Poi il medico compie altri gesti che possono sembrare più misteriosi. Per esempio, dà alcuni colpetti sulla schiena ‒ una manovra che si chiama percussione ‒, perché a seconda del rumore che provoca può capire se i polmoni sono pieni di aria come è giusto che siano, o se contengono liquido o tessuto infiammatorio, come in caso di polmonite o di pleurite (polmoni). Inoltre, palperà l'addome per capire se il fegato o la milza sono ingrossati e come sta l'intestino.
Un tempo avrebbe anche chiesto di vedere l'urina: il suo odore, il suo colore e la sua trasparenza fornivano molte informazioni!
Fin qui il medico ha usato soltanto i suoi sensi, ma potrà anche servirsi di strumenti relativamente semplici che porta con sé. Il più noto è il fonendoscopio (il nome significa "strumento che serve ad ascoltare i suoni interni"). Lo strumento contiene una piccola membrana che, quando viene appoggiata sul torace, amplifica i suoni prodotti dal respiro, nei bronchi e nei polmoni, e dal cuore che batte, e consente di comprendere eventuali disturbi in questi organi. Tra l'altro è proprio per cogliere certi suoni rivelatori che il medico fa tossire il malato o gli fa pronunciare la parola 'trentatré'. Un altro strumento di impiego comune, che il medico normalmente ha in borsa, è lo sfigmomanometro (il nome significa "misuratore della pressione delle pulsazioni"), che serve a misurare la pressione arteriosa (cuore e circolazione del sangue).
Esistono poi altri strumenti che di solito sono usati da medici specialisti: per esempio, uno strumento che serve a guardare dentro gli orecchi (otoscopio) o dentro gli occhi (oftalmoscopio). Si usano anche oggetti semplicissimi, come una sorta di martelletto che, se battuto sul ginocchio o sul gomito, darà informazioni sullo stato del sistema nervoso, oppure una torcia elettrica che, se introdotta nella bocca del malato in un ambiente buio, potrà rivelare l'esistenza di una sinusite (infiammazione di alcune cavità delle ossa del volto chiamate seni). Infatti quando c'è la sinusite le cavità attorno al naso (seni paranasali) sono riempite da pus e la luce della lampadina non è visibile dall'esterno.
Non tutti gli effetti di una malattia possono essere osservati con l'esame obiettivo. Prendiamo, per esempio, il diabete mellito, una malattia nella quale l'organismo non è più in grado di assimilare lo zucchero, che quindi resta in circolazione nel sangue e di qui passa nelle urine. Anticamente, di fronte a un malato che mostrava i segni del diabete ‒ per esempio la magrezza o la debolezza dovute a mancanza di energia ‒ per fare la diagnosi il medico assaggiava le urine: se erano dolci c'era la malattia. Tuttavia una quantità di zucchero così elevata da poter essere 'assaggiata' è segno di uno stato già avanzato della malattia e, comunque, non ci dice quanto zucchero è presente. Prima che nelle urine, il livello di zucchero sale nel sangue ed è lì che va cercato con opportuni esami di laboratorio.
L'evoluzione della chimica, della biologia e della fisiologia hanno consentito di mettere a punto la cosiddetta diagnostica di laboratorio. Alla base di tutti gli esami di laboratorio c'è il concetto che cellule, tessuti e organi, quando non funzionano regolarmente, possono aumentare o diminuire la produzione di certe sostanze, oppure possono produrne altre. Molte di queste alterazioni potranno essere rivelate misurando le quantità di tali sostanze presenti nel sangue, nelle cellule e nelle urine. Per esempio, in caso di infezioni o infiammazioni la composizione del sangue si modifica, e aumenta la velocità con cui le cellule che esso contiene sedimentano (cadono sul fondo di una provetta). Quando il fegato è malato, invece, comincia a produrre alcuni enzimi, chiamati transaminasi, che sono un segno diretto della sofferenza delle cellule di questo organo. Al contrario, in caso di anemia nel sangue diminuiscono i globuli rossi e l'emoglobina, cui spetta il compito di trasportare l'ossigeno ai tessuti. A volte è necessario scendere ancora più in dettaglio. In una particolare forma di anemia ereditaria, la talassemia o anemia mediterranea, non è tanto la mancanza di emoglobina a indicare la malattia, quanto la presenza di emoglobina alterata e di una forma insolita dei globuli rossi.
Al giorno d'oggi sono disponibili per la diagnosi di certe malattie strumentazioni complesse e raffinate, in particolare quelle che consentono di andare a vedere il corpo dall'interno. Per esempio, è possibile introdurre microscopici strumenti ottici nelle cavità degli organi (come le arterie, il cuore, lo stomaco, l'intestino, le principali articolazioni, i bronchi) e osservare direttamente lo stato dei tessuti. Questo metodo si chiama endoscopia. Altri tipi di strumentazione consentono di ottenere immagini (diagnostica per immagini) dettagliate del nostro corpo (radiografie, ecografie, TAC, risonanza magnetica).
Stabilire se il risultato ottenuto in un esame di laboratorio è normale o indica una malattia è un lavoro complesso. Una volta che si scopre l'importanza di una sostanza nel meccanismo di una malattia, occorre studiare i livelli che questa raggiunge nelle persone sane e in quelle malate mediante le cosiddette indagini epidemiologiche. Per esempio, misurando il livello di una determinata sostanza nel sangue di un gran numero di persone sane si nota quali oscillazioni può avere il livello 'normale' di quella sostanza. Variazioni in più o in meno rispetto a questi livelli sono rivelatrici di malattia. Quindi, non esiste un singolo valore normale, ma piuttosto un intervallo di riferimento, che può variare da un minimo a un massimo. Inoltre, l'intervallo di riferimento può cambiare nell'uomo rispetto alla donna, nei bambini rispetto agli adulti, negli anziani rispetto ai giovani.
Un altro aspetto delle indagini di laboratorio è dato dalla ricerca dei batteri e dei virus che provocano malattie infettive. Questo aspetto della diagnosi ha potuto svilupparsi solo dopo che si è appurato che alcune malattie sono causate dai microrganismi, una scoperta che risale al 19° secolo. A sua volta la nascita della microbiologia ‒ lo studio dei microbi ‒ è stata resa possibile dall'avvento dei moderni microscopi, che hanno consentito di vedere i microbi, oltre che le stesse cellule.
Le indagini microbiologiche si realizzano mettendo in coltura campioni prelevati dal malato (sangue, catarro, urine). Nel caso di una sospetta polmonite, per esempio, si preleva un piccola quantità di muco dai bronchi e la si pone in un recipiente in cui è presente un insieme di sostanze necessarie allo sviluppo degli eventuali batteri presenti. Dopo un certo periodo i batteri presenti si sono moltiplicati a sufficienza e possono essere osservati al microscopio, così da stabilire di che tipo sono. L'indagine microbiologica è fondamentale anche per scoprire quale antibiotico sia più adatto a uccidere il batterio o ad arrestarne la crescita. Nel caso dei virus è invece spesso più semplice determinarne indirettamente la presenza. Infatti i virus possono essere osservati soltanto con strumenti molto complessi ‒ microscopi elettronici ‒, perché sono molto più piccoli dei batteri, mentre è invece più semplice cercare gli anticorpi specifici per quel virus prodotti dal sistema immunitario. Infatti l'organismo produce per ciascun aggressore sostanze che hanno il compito di ucciderlo, chiamate anticorpi. Gli anticorpi sono specifici, cioè ne esiste uno per ciascun aggressore con cui nel tempo si è entrati in contatto. La ricerca degli anticorpi permette di solito di distinguere se il malato è stato colpito dall'infezione in passato e ne è guarito o se l'infezione è in atto. Questo perché quando l'infezione risale indietro nel tempo gli anticorpi sono presenti in quantità ridotte, mentre se è in atto un'infezione questi sono presenti in grandi quantità.
Le indagini diagnostiche possono riguardare anche le stesse cellule del corpo umano. È il caso della diagnosi dei tumori, dove l'esame della struttura dei tessuti ‒ esame istologico ‒ con il microscopio consente di distinguere il tessuto sano da quello tumorale. Quasi sempre per ottenere i tessuti è necessario effettuare una biopsia, cioè il prelievo di un piccolo frammento di tessuto vivente (biopsia è una parola che deriva dal greco e significa "visto dal vivo"). In taluni casi è possibile evitare la biopsia, per esempio in uno degli esami più diffusi per la diagnosi dei tumori, il pap-test, chiamato così dal suo inventore, Georgios Papanikolau. Nel pap-test la presenza del tumore del collo dell'utero (un organo dell'apparato riproduttivo femminile) può essere rivelata semplicemente esaminando al microscopio, dopo opportuna colorazione, le cellule prelevate con una piccola spatola dal collo dell'utero.
Gli sviluppi più recenti della diagnosi di laboratorio riguardano la biologia molecolare, chiamata così perché studia processi e meccanismi che si producono a livello di singole molecole e non di intere cellule. A seguito della scoperta del DNA, è infatti stato possibile identificare singoli geni responsabili di diverse malattie. Grazie a tecniche particolari che consentono di ottenere molte copie di un gene (amplificazione genica) è oggi possibile stabilire in poco tempo se una persona presenta certe anomalie genetiche che possono favorire lo sviluppo di una malattia. Sempre con le tecniche di amplificazione genica è oggi possibile dosare con grande precisione la presenza di un virus nell'organismo. Una delle prime applicazioni di queste tecniche riguarda l'epatite virale, nella quale l'andamento dell'infezione viene controllato analizzando la quantità di RNA virale presente nel sangue del malato.
Teoricamente la diagnosi potrebbe anche essere un procedimento automatizzato: basterebbe sottoporre il malato a tutti i possibili esami di laboratorio e a tutte le indagini strumentali. Prima o poi si troverebbe un risultato anomalo che potrebbe indicare se c'è una malattia. In realtà questo sistema non funzionerebbe: basare la diagnosi soltanto su esami di laboratorio e strumentali sarebbe molto lungo e spiacevole per il malato.
L'opera del medico, il suo giudizio e la sua esperienza sono tuttora indispensabili. L'esame diretto del malato serve già a scartare moltissime possibilità e a concentrare la ricerca verso le malattie più probabili. Lo stesso vale per la conoscenza delle sue abitudini e della sua storia. Ecco perché è necessaria la figura del medico di famiglia: grazie alla conoscenza approfondita delle persone che assiste, è in grado di sapere, ancora prima degli esami o delle radiografie, quali disturbi è più probabile che si presenteranno. Infine, una medicina che si basasse esclusivamente sulle indagini di laboratorio o strumentali sarebbe enormemente costosa.