Depersonalizzazione
Con il termine depersonalizzazione si indica una condizione psicopatologica, più o meno marcata e persistente, in cui il soggetto vive, quasi sempre penosamente, l'esperienza di sentirsi distaccato dal mondo delle percezioni, privato di ogni possibilità di comunicazione simpatetica e disancorato anche da sé stesso. Alla depersonalizzazione si accompagna spesso la derealizzazione, cioè il senso di estraneità del mondo esterno, che appare privato del carattere di realtà.
Nella depersonalizzazione il soggetto osserva come un estraneo o uno spettatore i propri processi mentali, le proprie azioni, il proprio corpo, gli altri, al punto che il proprio fare gli sembra privato del carattere di 'Io'. C'è in tali casi sia il predominio del senso di automatismo, sia la perdita (temporanea) del senso di spontaneità; persino i sentimenti possono essere vissuti come non spontanei, cioè appaiono non investiti da quella proprietà essenziale che li fa avvertire come propri.
Nella sua analisi, a tutt'oggi insuperata, E. Störring (1933) sottolinea la tendenza marcata all'autosservazione, la scissione tra Io-soggetto e Io-oggetto, e un senso atmosferico di 'ottundimento sognante', per cui le cose vengono viste (oppure percepite) come in una nebbia, pervase da un carattere di irrealtà, con l'impressione di agire come in un sogno. Questo stato può investire gli oggetti, anche i più abituali, con la caduta della 'qualità dell'esser-noto': un esempio tipico è la sensazione di estraneità provata nel vedere una fotografia. Notevole è anche la perdita della familiarità con sé stesso, il guardarsi allo specchio come se l'immagine riflessa fosse di un'altra persona o, comunque, diversa, con relativo senso di sorpresa, di inquietudine, di timore e di trepidazione angosciosa o impaurita, solo raramente indifferente o piacevole. È importante notare che tale impressione di estraneità viene sempre resa da parte del soggetto con l'espressione 'come se'.
Anche nel 'normale' si possono avere a volte sentimenti di depersonalizzazione, sempre fugaci e per lo più conseguenti a stati di affaticamento o di prolungata tensione psichica, fisica e pure affettiva. Ciò si verifica soprattutto durante la pubertà, quando l'esperienza della depersonalizzazione sembra pronta a emergere anche per motivi di scarso rilievo. Molte persone normali vanno incontro a esperienze di depersonalizzazione in particolari condizioni di solitudine; lo stesso S. Freud, in una lettera a R. Rolland, riferisce una siffatta esperienza, vissuta sull'Acropoli di Atene.
La sindrome di depersonalizzazione si osserva tipicamente nelle depressioni, ma è rilevabile anche come lungo prodromo nelle schizofrenie o nelle epilessie temporali. Per l'insorgenza di questo fenomeno ha molta importanza la personalità premorbosa (Follin 1950). Viene generalmente riconosciuta una netta differenza fra le sindromi di depersonalizzazione nei nevrotici, nei depressivi, negli schizofrenici: ciò ha innegabile rilevanza pratica, anche se non è sempre ben verificabile. Dal punto di vista psicoanalitico la depersonalizzazione è inquadrabile fra i disturbi dell'Io (Federn 1926), sia centrali sia periferici (Tolentino-Callieri 1957); H. Nunberg (1924) ha impostato la grande tematica della depersonalizzazione come meccanismo di difesa (ritiro retroattivo della libido), mentre C.P. Oberndorf (1934) ha richiamato energicamente l'attenzione su tre meccanismi di base: l'erotizzazione del pensiero, l'identificazione parentale, la rimozione del pensiero. Successivamente l'erotizzazione del pensiero è stata sempre più intesa come il primo passo nella difesa contro l'ansia, da cui deriva un'intermittente sentimento di irrealtà. N. Perrotti (1960) e A.M. Bouvet (1960) hanno ricondotto la depersonalizzazione a un meccanismo di negazione che si manifesta nei soggetti che presentano una regressione favorita da una fissazione pregenitale importante. In tal senso la depersonalizzazione è da considerarsi come uno stato di destrutturazione dell'Io con molteplici funzioni difensive.
Si è attribuito, inoltre, grande rilievo allo studio della struttura del mondo percettivo e dell'esperienza spazio-temporale (Minkowski 1966; Callieri-Felici 1968). In particolare, per l'esperienza temporale del depersonalizzato, si tratta di qualcosa di vago, di sfuggente; domina nel depersonalizzato il 'come se', senza più concordanza e armonia fra il tempo soggettivo e quello oggettivo, fra il vissuto precedente e quello attuale; anzi, a volte, l'esperienza di depersonalizzazione si proietta nel passato, il ricordo appare estraneo, come se non concernesse il soggetto. Tal modo di esperire il tempo facilita di molto lo stato d'ansia che quasi sempre si accompagna agli stati di depersonalizzazione.
Classica è la distinzione fra depersonalizzazione somatopsichica (Wernicke 1900), che investe l'esperienza del corpo proprio (Merleau-Ponty 1949; Cargnello 1964), allopsichica, con disturbo del rapporto Io-mondo, per cui il mondo appare derealizzato (v. oltre), e autopsichica. Quest'ultima, la più difficilmente descrivibile, interessa più direttamente la coscienza dell'Io, in quanto molti o tutti i contenuti di coscienza assumono un senso di estraneità, di non-appartenenza, di automatismo, espresso con frasi del tipo: come se non fossi io a pensare, come se i miei sentimenti non fossero più miei, come se io fossi diventato un automa (nel delirante, invece, scompare il 'come se'). Assistiamo qui alla perdita del sentimento dell'Io, di cui sono compromesse soprattutto l'identità e l'attività, di conseguenza scompare quel personale tono del mio, che K. Schneider (1950) indica come 'meità' o 'me-concernente' (Meinhaftigkeit).
Comunque, in tutte queste trasformazioni del sentire e del rapportarsi al mondo (che, bisogna sottolinearlo, non è solo l'ambiente) rimane integra la possibilità della valutazione critica della realtà; proprio per questo non si può dire che il depersonalizzato sia un delirante. Clinicamente (Callieri-Semerari 1953) la depersonalizzazione propriamente detta potrebbe ridursi a quella autopsichica, come "incapacità a vivere la coscienza dell'esserci". È comunque innegabile che la depersonalizzazione autopsichica occupa clinicamente una delicata posizione intermedia fra delirio e non-delirio (delirio). Sulla base dell'esame delle forme cliniche in cui appare la depersonalizzazione, è possibile sostenere, in conclusione, che essa, presente sia nelle psicosi sia nelle nevrosi e nelle reazioni conflittuali (Faust 1995), può essere intesa come espressione di un'insufficiente integrazione Io-me e Io-mondo (in senso schiettamente fenomenologico) e soprattutto che essa deve essere inquadrata fra i grandi meccanismi psicodinamici di alterazione degli investimenti libidici e del corpo vissuto. Come si è detto precedentemente, la depersonalizzazione si accompagna spesso alla derealizzazione, che si riscontra negli stati psicopatologici in cui la realtà dell'ambiente appare vaga, lontana, estranea, con un senso penoso di risonanza; si parla anche di senso di estraneamento o di stato sognante (dreamy state); la concomitanza di uno stato delirante confabulatorio si indica come onirofrenia.
La derealizzazione dura spesso a lungo, settimane e anche mesi; è per lo più di natura malinconica, ma spesso è anche psicoreattiva, legata a intenso spavento, oppure isterica (Meyer 1963), e si accompagna a inquietudine, ansia, soprattutto depressione. A volte sopravviene a crisi (per es., nei tumori del lobo temporale, con paraosmie, oppure in situazioni di spavento, di panico, di estrema tensione emotiva) e può essere indotta dall'assunzione di particolari sostanze, specialmente aromatiche (per es. trielina) e da allucinogeni, soprattutto dietilammide dell'acido lisergico e psilocibina (Faust 1994). Nelle descrizioni classiche, accanto al senso di irrealtà, si rileva molto spesso un affievolimento percettivo, anche del campo sonoro e, più raramente, di quello olfattivo e gustativo, e spesso l'esperienza del mai-visto, mai-provato, di una rarefatta atmosfera pseudomistica. Nella derealizzazione è singolarmente compromessa l'esperienza dello spazio e del tempo vissuti, con lo svanire dei legami fra sé e il mondo. Esperienze analoghe si possono riscontrare negli stati sognanti e in quelli oniroidi, anche a genesi organica, con concomitanti stati di profonda perplessità.
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