Epilessia
L'epilessia (dal greco ἐπιληψία, derivato di ἐπιλαμβάνω, "cogliere di sorpresa") è una sindrome neurologica complessa, caratterizzata dal periodico ripetersi di manifestazioni psicofisiche improvvise, quali sospensione o perdita della coscienza, stato confusionale, movimenti automatici e, nelle forme più gravi, convulsioni muscolari, dilatazione delle pupille, cianosi del volto, emissione di bava ecc. Chiamata morbo sacro dagli antichi che la consideravano di origine divina, è stata anche detta mal caduco o sindrome comiziale perché, se una crisi avveniva durante un comizio, questo doveva essere sospeso. L'epilessia come malattia va distinta dalla crisi epilettica, che è un evento clinico transitorio, privo di quella tendenza al ripetersi delle crisi che è un criterio fondamentale della diagnosi. La classificazione moderna distingue numerose forme di epilessia, la cui terapia è in genere di tipo farmacologico.
L'epilessia colpisce l'1% della popolazione: in Italia ne sono portatori oltre 500.000 individui e ogni anno si verificano oltre 25.000 nuovi casi. Il termine sta a indicare una modalità di reagire del sistema nervoso centrale ai più svariati stimoli, che si traduce clinicamente nella comparsa di crisi di cui si conoscono oltre 40 tipi diversi (per questo è preferibile parlare di epilessie, al plurale). La dimensione del problema risulta più grande di quella cui si è accennato: il 5% della popolazione, infatti, in circostanze particolari presenta una crisi che resta unica nel corso della vita, mentre il 2-4% dei bambini di età inferiore ai 6 anni manifesta convulsioni febbrili, le quali non sono altro che crisi epilettiche benigne (in quanto tendono a sparire con l'età) che traducono una predisposizione del soggetto a sviluppare un'epilessia.
L'epilessia era nota già in tempi antichi (è menzionata nel Codice di Hammurabi, 2000 a.C.) e chi ne era affetto non poteva contrarre matrimonio o testimoniare in giudizio; inoltre, il contratto d'acquisto di uno schiavo era considerato nullo qualora quest'ultimo avesse presentato una crisi entro tre mesi dalla sua stipula. Ne sono stati affetti personaggi famosi (Buddha, Maometto, Cambise, Alessandro Magno, Pietro il Grande, Giulio Cesare, Händel, van Gogh, Redon, Alfieri, Maupassant, Flaubert, Byron, Dostoevskij, Napoleone, Nobel), nonché atleti di fama internazionale. La malattia non impedisce infatti di raggiungere traguardi prestigiosi, malgrado i risvolti sociali negativi che essa comporta. Per W.G. Lennox, grande epilettologo statunitense degli anni Sessanta del 20° secolo, i soggetti con epilessia soffrono di più a causa dell'atteggiamento che la gente ha nei loro confronti che non a causa della malattia stessa.
La crisi epilettica è un evento clinico transitorio, dovuto a un'improvvisa alterazione dello stato di equilibrio delle membrane neuronali che, attraverso un meccanismo di depolarizzazione, determina una scarica improvvisa, ipersincrona di una popolazione di neuroni. Il fenomeno si traduce clinicamente in un attacco epilettico, in una delle sue forme (che sono, come si è detto, più di 40), legate alla sede e al numero di neuroni coinvolti dalla scarica anomala, nonché al grado di maturazione cerebrale del soggetto che la presenta. La denominazione di crisi epilettica deve essere riservata ai singoli eventi derivanti da specifici meccanismi neurofisiologici, di contro il termine epilessia deve essere utilizzato solamente quando vengano soddisfatti due criteri: il primo, clinico, costituito dalla presenza di crisi con le caratteristiche sopra riportate; il secondo, evolutivo, implica, invece, la tendenza al ripetersi delle crisi; questo significa che un'unica crisi, anche se di natura sicuramente epilettica, non consente di formulare una diagnosi di epilessia.
La diagnosi di epilessia si basa su dati clinici ricavati dalle informazioni che il paziente è in grado di fornire sulle proprie crisi, e soprattutto da ciò che possono riferire testimoni oculari opportunamente interrogati. Può essere di sussidio diagnostico l'elettroencefalogramma (EEG), che consente di avere informazioni sulla funzionalità elettrica di diverse aree neuronali e di registrare le scariche abnormi responsabili delle crisi. Queste possono essere circoscritte, oppure generalizzate, scatenate da particolari manovre, quali l'iperventilazione o la stimolazione luminosa intermittente, e possono essere correlate con l'evento critico (EEG critico), oppure costituire un elemento del tracciato di base (EEG intercritico). La valutazione dell'EEG intercritico deve, quindi, necessariamente essere riportata nell'ambito del contesto clinico, in quanto la registrazione di anomalie non consente di per sé di formulare la diagnosi di epilessia: anomalie di tipo epilettico possono essere registrate anche in soggetti che non abbiano mai presentato crisi epilettiche nel corso della loro vita. Recentemente ha acquistato molta importanza il video-EEG, un metodo che permette la contemporanea registrazione su video del segnale elettroencefalografico e della fenomenologia clinica presentata dal paziente; l'analisi simultanea dei dati acquisiti rende possibile studiare la crisi epilettica nella sua globalità. Tale metodo si è inoltre rivelato molto utile nel discernere tra eventi di natura epilettica ed eventi critici di altra natura.
Stabilita la natura epilettica delle crisi, un corretto inquadramento della sindrome consente non solo di attuare la terapia migliore, ma anche di formulare indicazioni prognostiche sull'evoluzione della forma di epilessia diagnosticata. Una prima classificazione delle crisi epilettiche, approvata nel 1969 da una commissione dell'International league against epilepsy, si basava sulla fenomenologia clinica e sugli aspetti topografici registrati dall'EEG. Venivano così distinte due categorie sindromiche principali: quella delle epilessie generalizzate (EG), in cui la scarica anomala coinvolge fin dall'inizio in modo sincrono e simmetrico entrambi gli emisferi cerebrali, e quella delle epilessie parziali (EP), in cui la scarica neuronale rimane circoscritta a una zona più o meno estesa del cervello. Nel 1981, tale classificazione fu rivista e, in particolare, venne definito lo 'stato di coscienza', che consentì di distinguere tra crisi parziali semplici e complesse. Nel 1989, nell'ambito del 18° Congresso internazionale di epilettologia, è stata adottata una nuova classificazione delle crisi epilettiche e delle sindromi con esse correlate che, rispetto alle precedenti, valuta anche i criteri eziologici (ovvero delle cause), così da individuare tre categorie principali: le epilessie idiopatiche, che sono dipendenti dall'età e la cui causa non è una lesione, ma è presente una predisposizione genetica; le epilessie criptogenetiche, in cui non è dimostrabile una causa (che comunque deve essere esistita) e le epilessie sintomatiche, in cui è documentabile una lesione responsabile delle crisi. La nuova classificazione adotta inoltre criteri topografici per la diagnosi di sede delle epilessie parziali, così da individuare la localizzazione anatomica delle crisi (lobo temporale, parietale, frontale, occipitale); tali criteri si basano anche sui risultati di studi effettuati con metodiche stereotassiche (che prevedono l'inserimento di elettrodi nella zona del cervello ritenuta sede della crisi, al fine di determinare con precisione l'origine della scarica anomala).
Il ruolo dell'ereditarietà, già ipotizzato da Ippocrate nel 5° secolo a.C., è confermato da studi familiari, che indicano un rischio di malattia molto più elevato nei discendenti di soggetti affetti da epilessia: 10-15% nel caso delle forme idiopatiche e 2-5% nelle forme sintomatiche e criptogenetiche. La malattia può essere dovuta a un solo gene, dominante o recessivo, o multifattoriale, non legata cioè all'azione, nello stesso individuo, di un solo gene, bensì alla cooperazione di più geni e di fattori ambientali non ancora identificati. Le ricerche condotte in questo ambito hanno permesso di identificare molti geni, fra cui, per es., il gene responsabile delle convulsioni neonatali familiari benigne, sito sul cromosoma 20, e il gene dell'epilessia mioclonica giovanile, sito sul braccio corto del cromosoma 6.
Sono forme di epilessia a elevata predisposizione genetica, prive di deficit neurologici, con esordio legato all'età del soggetto, quindi condizionato dal diverso grado di maturazione cerebrale: si distinguono quindi EGI dell'infanzia, dell'adolescenza, e della giovinezza. Le EGI includono diverse sindromi, caratterizzate da tre tipi di crisi, che possono manifestarsi in modo variabile anche nello stesso soggetto: crisi convulsive tonicocloniche, consistenti in scosse ritmiche della muscolatura somatica (grande male); assenze tipiche; mioclonie (brusche contrazioni muscolari involontarie). Svolgono spesso un ruolo fattori scatenanti, quali alterazione del ritmo sonno-veglia (deprivazione di sonno, risvegli precoci, veglie prolungate), eventi stressanti, stimolazione luminosa intermittente, televisione, videogiochi o altre sorgenti luminose; tali fattori rappresentano un utile sussidio diagnostico e vanno ricercati interrogando il paziente e utilizzando le comuni metodiche di attivazione nel corso di registrazioni elettroencefalografiche (EEG in deprivazione di sonno, stimolazione luminosa intermittente, iperventilazione). Le caratteristiche cliniche delle sindromi più frequenti sono quelle di seguito elencate.
a) Convulsioni neonatali familiari benigne. Sindrome rara, ereditaria, a trasmissione autosomica dominante (il gene alterato si esprime anche se presente in un solo cromosoma di una coppia di cromosomi omologhi), che si manifesta tra il secondo e terzo giorno di vita con crisi cloniche e di apnea (arresto involontario del respiro); nel 14% dei casi insorge successivamente un'epilessia.
b) Convulsioni neonatali benigne. Le convulsioni insorgono intorno al quinto giorno di vita e si presentano con frequenti crisi miocloniche o di apnea.
c) Epilessia mioclonica benigna dell'infanzia. Forma rara, caratterizzata da crisi miocloniche di breve durata, che esordisce tra il primo e il secondo anno di vita in bambini che non presentano deficit intellettivi e/o neurologici, ma che in età scolare possono manifestare lievi disturbi di apprendimento e/o disturbi comportamentali.
d) Piccolo male a tipo assenza dell'infanzia. È una delle forme più frequenti di EGI, prevalente negli individui di sesso femminile. Insorge in bambini normali in età scolare, con un picco tra i 6 e i 7 anni. Le assenze sono caratterizzate da un'improvvisa sospensione della coscienza di breve durata (5-10 s); sia l'inizio sia la fine sono bruschi, e il bambino riprende prontamente l'attività interrotta; la frequenza delle assenze è molto elevata (10-200 al giorno) con evidenti ripercussioni sul livello di attenzione e sul rendimento scolastico; vi possono essere associate crisi di grande male.
e) Piccolo male a tipo assenza giovanile. Le assenze sono le stesse del piccolo male, ma compaiono in età puberale e si manifestano in modo più sporadico; più frequente è l'associazione con crisi di grande male, le quali si verificano generalmente dopo il risveglio e, all'esordio della sindrome, di solito precedono la comparsa delle assenze.
f) Epilessia mioclonica giovanile. Si manifesta intorno alla pubertà con mioclonie bilaterali agli arti, soprattutto superiori; l'intensità delle mioclonie può essere elevata e provocare la caduta di oggetti dalle mani o la caduta a terra del soggetto; non vi è disturbo della coscienza. Le crisi compaiono in genere dopo il risveglio e spesso la privazione di sonno o i risvegli precoci costituiscono fattori scatenanti. Spesso il paziente presenta crisi di grande male, meno frequentemente assenze.
g) Epilessia con crisi di grande male al risveglio. Insorge generalmente tra i 10 e i 20 anni. Le crisi si verificano prevalentemente poco dopo il risveglio, indipendentemente dall'ora della giornata in cui questo avvenga, con un secondo picco nel periodo serale di relax. L'evento critico inizia con improvvisa perdita di coscienza, seguita da caduta a terra, talora accompagnata da urlo (dovuto alla violenta contrazione dei muscoli respiratori), con una fase tonica (contrazione della muscolatura di collo, tronco e arti) caratterizzata da arresto del respiro, spesso cianosi, contrattura dei muscoli masticatori, con conseguente blocco delle mascelle, e morsicatura della lingua; segue la fase clonica, caratterizzata da scosse ritmiche agli arti. La crisi è accompagnata da fenomeni neurovegetativi e viscerali, quali tachicardia, dilatazione della pupilla e assenza del riflesso corneale, emissione di saliva e perdita di urine; la durata è di circa un minuto, cui segue di frequente un coma postcritico, di pochi minuti o anche ore, oppure uno stato confusionale spesso agitato; possono esservi cefalea, vomito e dolori muscolari. Le crisi possono essere precipitate da privazione di sonno e associarsi a crisi a tipo assenza o miocloniche. Durante una crisi di grande male, è necessario inserire un cuscino o qualcosa di morbido sotto il capo del paziente, non introdurgli nulla tra i denti, non bloccargli i movimenti degli arti. Dopo la crisi bisogna girare il soggetto su un fianco per consentire la fuoriuscita della saliva e vigilare su di esso fino alla ripresa completa di coscienza ed evitare l'assunzione di liquidi e di cibo. Se il soggetto dopo la crisi non riprende a respirare, o se a una crisi ne segue un'altra, o se il soggetto è ferito, è necessario il trasporto in ospedale.
Il gruppo delle epilessie generalizzate criptogenetiche e sintomatiche è rappresentato da forme gravi, con crisi molto frequenti, resistenti alla terapia.
a) Sindrome di West. Insorge tra i 4 e i 7 mesi ed è contraddistinta da spasmi della muscolatura degli arti e del tronco, che si presentano in salve (30-50 volte) soprattutto dopo il risveglio, spesso accompagnate da pianto, da arresto dello sviluppo psicomotorio e da EEG caratteristico, chiamato ipsaritmico (ovvero onde lente e punte di alto voltaggio le quali si susseguono in maniera caotica). Le forme sintomatiche possono avere cause prenatali (ovvero complicanze durante la gravidanza, malformazioni cerebrali congenite), perinatali (traumi da parto, anossia), oppure postnatali (meningiti, encefaliti, malattie metaboliche). La prognosi è sfavorevole (soprattutto per le forme sintomatiche) ed è condizionata dalla tempestività della diagnosi e della terapia (corticosteroidi, vigabatrin).
b) Sindrome di Lennox-Gastaut. Insorge tra 1 e 8 anni, unita a ritardo mentale, con crisi toniche (ossia aumento del tono muscolare) di breve durata, che si verifica soprattutto nel sonno, crisi atoniche (ossia diminuzione del tono muscolare), spesso associate a cadute a terra e ad assenze atipiche (le quali hanno un inizio e una fine poco definiti rispetto alle assenze del piccolo male a tipo assenza).
c) Epilessia con crisi mioclono-astatiche. Insorge tra i 6 mesi e i 6 anni, prevalentemente nei maschi (con un rapporto rispetto alle femmine di 2 a 1), con mioclonie diffuse agli arti e alle spalle, talora così intense da provocare la caduta del soggetto; lo sviluppo psicomotorio è normale.
d) Epilessia con assenze miocloniche. Forma rara (1% delle epilessie dell'infanzia e dell'adolescenza), insorge tra i 2 e i 12 anni prevalentemente nei maschi (65%), con più crisi giornaliere, rappresentate da assenze accompagnate da mioclonie e contrazione tonica del tronco, di spalle e capo, con sollevamento degli arti superiori; a queste manifestazioni è spesso associata la perdita di urine.
Comprendono quelle forme in cui la scarica che le sottende interessa una popolazione di cellule cerebrali circoscritta, dando origine a una crisi parziale semplice o complessa, o anche generalizzata se, pur avendo un inizio localizzato, sfugge poi al controllo dei meccanismi inibitori e si diffonde a entrambi gli emisferi cerebrali.
Le forme idiopatiche, che hanno un esordio legato all'età e una predisposizione genetica, sono prive di lesioni anatomiche e spesso soggette a remissione spontanea. A questa categoria appartiene l'epilessia rolandica, o epilessia benigna dell'infanzia con punte centrotemporali, così detta per il tipico tracciato elettroencefalografico, che presenta punte localizzate nelle regioni centrotemporali di un emisfero, più evidenti nelle fasi di addormentamento. La sindrome è caratterizzata da crisi parziali semplici motorie coinvolgenti un lato del volto o l'arto superiore, che nel 75% dei casi si verificano durante il sonno, determinando il risveglio del paziente, talvolta associate a crisi generalizzate tonico-cloniche. Essa rappresenta il 15% delle epilessie dell'età evolutiva e ha una prognosi favorevole, in quanto le crisi tendono a scomparire con la pubertà, indipendentemente dall'impiego di farmaci.
Le forme criptogenetiche e quelle sintomatiche, che differiscono unicamente per l'evidenza eziologica, assente nelle prime e presente nelle seconde, costituiscono la maggior parte delle epilessie parziali, e possono comparire a qualsiasi età, anche se nella maggior parte dei casi iniziano nell'adolescenza o nella gioventù. Le cause sono numerose e possono verificarsi in epoca prenatale, perinatale o postnatale. I fattori prenatali sono per lo più legati a una inadeguata ossigenazione intrauterina (per es., per traumi, malformazioni cerebrali ecc.); i fattori perinatali comprendono le emorragie intracraniche su base traumatica, oppure la sofferenza ipossica che può derivare da un parto difficoltoso; i fattori postnatali includono le patologie infettive (in particolare, encefaliti, meningiti e ascessi cerebrali), quelle vascolari (più spesso ischemie che emorragie), i traumi cranici e i tumori, più frequentemente nel caso delle neoplasie a lento sviluppo (meningiomi, astrocitomi). I sintomi possono essere diversi, in quanto sono legati all'area della corteccia cerebrale che viene interessata dalla scarica, ma sono costanti nel singolo paziente.
Le crisi parziali semplici, che insorgono nel lobo temporale, sono molto frequentemente caratterizzate da sintomi vegetativi (sudorazione, ipersalivazione), psichici (déjà-vu, stati sognanti) e di tipo sensitivo (allucinazioni uditive od olfattive); in numerose evenienze l'inizio si manifesta con una strana sensazione a livello epigastrico che tende a risalire, oppure con paura o ansia. Le crisi possono essere seguite da una perdita di contatto con l'ambiente, diventando in questo caso crisi parziali complesse; frequentemente sono accompagnate da una fenomenologia motoria, con automatismi oroalimentari (movimenti afinalistici dei muscoli facciali), e sono seguite da amnesia e lieve confusione con ripresa graduale dello stato di coscienza. Una crisi parziale semplice o complessa può presentare una secondaria generalizzazione. Le crisi che insorgono nel lobo frontale sono caratterizzate da automatismi gestuali complessi, frequenti manifestazioni motorie, possibilità di una caduta improvvisa per la rapidità di diffusione della scarica, che diventa bilaterale, e frequente generalizzazione secondaria. Un particolare tipo di crisi è quello che si verifica quando viene coinvolta la corteccia motoria, con crisi parziali semplici motorie, che iniziano con contrazioni muscolari ritmiche, limitate a un solo segmento corporeo oppure coinvolgenti in sequenza un intero lato del corpo (crisi Jacksoniana con marcia), e sono spesso seguite da una paralisi postcritica, detta anche paralisi di Todd. Caratteristiche sono anche le crisi che insorgono nella zona denominata opercolo, che includono frequenti allucinazioni gustative. Le crisi che insorgono nel lobo parietale sono per la maggior parte crisi parziali semplici, con eventuale generalizzazione secondaria; spesso si caratterizzano per una sintomatologia sensoriale (parestesie), un'alterata percezione spaziale, talvolta vertigine; se è coinvolto il lobo parietale dell'emisfero dominante, si verificano disturbi a carico del linguaggio. Le crisi che insorgono nel lobo occipitale, infine, sono caratterizzate da manifestazioni cliniche visive, che possono essere rappresentate da fenomeni sia positivi, quali lampi, scintille, sia negativi, quali scotomi; possono verificarsi anche illusioni visive, per cui si vedono gli oggetti più grandi, più piccoli, deformati ecc.; solitamente le crisi sono parziali semplici, con possibile diffusione al lobo occipitale opposto, o anche generalizzazione secondaria.
Per formulare una diagnosi di epilessia parziale, una volta stabilita la natura epilettica e il carattere parziale o focale delle crisi, occorre stabilire la causa di tali episodi e quindi sottoporre il paziente a indagini neuroradiologiche, quali la tomografia assiale computerizzata (TAC) e la risonanza magnetica nucleare (RMN), che potranno chiarire l'eventuale natura sintomatica, oppure, se negative, criptogenetica dell'epilessia.
La terapia delle epilessie è per lo più di tipo farmacologico. Nelle epilessie parziali resistenti ai farmaci, in particolare se esse sono connesse a un sito cerebrale la cui asportazione non comporta deficit neurologici post-operatori permanenti, può essere indicata una terapia neurochirurgica, la quale conduce molto frequentemente a una completa guarigione del paziente, vale a dire a un controllo totale delle crisi, anche successivamente alla sospensione della terapia antiepilettica in atto.
Formulata la diagnosi di epilessia, il medico deve fornire al paziente e ai suoi familiari ogni tipo di indicazione, riguardante in modo particolare il tipo di epilessia da cui è affetto, la prognosi del medesimo, il tipo di terapia e l'iter terapeutico che quel tipo di epilessia comporta, nonché i possibili effetti collaterali secondari all'utilizzazione dei diversi farmaci. Sin dall'inizio il paziente deve essere invitato a seguire regolarmente la terapia, sotto il controllo del medico curante, assumendo la posologia quotidiana prescritta senza interruzione alcuna, e sin dall'inizio deve essere informato che la terapia potrebbe durare per tutta la vita, che la guarigione viene raggiunta non appena si è ottenuto un controllo delle crisi, anche se la terapia non può essere ridotta o interrotta, e infine, se la diagnosi formulata è di epilessia parziale, che esiste, oltre alla terapia farmacologica, una terapia chirurgica.
La terapia farmacologica va iniziata con un unico farmaco (vale a dire con una monoterapia) di prima scelta per il tipo di epilessia diagnosticato. Se non si ottiene un completo controllo delle crisi, è necessario aumentare la posologia del farmaco sino alla dose massima tollerata e, in caso di insuccesso, si procede a un cambio della terapia in atto con un secondo farmaco. Va sottolineato che l'obiettivo della terapia è sempre quello di ottenere un completo controllo delle crisi e non una parziale riduzione delle medesime; e ancora, come soltanto con una monoterapia si possano valutare appieno l'efficacia o meno del farmaco prescritto, nonché gli eventuali effetti collaterali da questo indotti. Un eventuale insuccesso con un secondo farmaco comporta necessariamente un ulteriore tentativo con un terzo farmaco che, se inefficace in casi di epilessia parziale, necessita della verifica dell'ipotesi neurochirurgica, vale a dire della possibilità o meno di intervenire chirurgicamente. Qualora ciò non sia possibile, o in casi di epilessia generalizzata, debbono essere prese in considerazione delle biterapie, ovvero la prescrizione di due farmaci in associazione, per alcuni dei quali è stato dimostrato un sinergismo terapeutico. Nel caso in cui la diagnosi formulata sia esatta e l'iter terapeutico sia stato correttamente seguito, si ottiene un controllo delle crisi in circa il 70% dei casi. A questo punto il soggetto si può considerare clinicamente guarito, ma la terapia non deve essere interrotta. L'ottimismo con il quale alcuni anni fa si suggeriva ai pazienti di iniziare una graduale riduzione della terapia dopo soli due anni di controllo delle crisi è stato infatti ridimensionato dall'osservazione di troppe ricadute.
Non si ha ricaduta solamente nei soggetti affetti da epilessia rolandica, che guarisce spontaneamente durante la pubertà; nel piccolo male a tipo assenza le ricadute riguardano circa il l0% dei casi, mentre nelle altre forme esse vanno dal 50 al l00%. Una ricaduta, che si verifica magari dopo anni di benessere, comporta rilevanti risvolti psicologici, insieme alla necessità di evitare situazioni potenzialmente pericolose per sé e per gli altri.
Nella trattazione della terapia farmacologica delle epilessie una considerazione particolare merita il fatto che per quasi tutti i farmaci antiepilettici è possibile determinare il livello dagli stessi raggiunto nel sangue (tasso plasmatico). Per ciascun farmaco esiste un intervallo terapeutico, entro il quale la maggioranza dei pazienti mostra una risposta alla terapia in assenza di fenomeni indesiderati. A tale proposito è bene tuttavia sottolineare che il dato ha un significato esclusivamente statistico, e che in pochi casi esso può indirizzare il medico nella scelta della corretta posologia. Questo significa, pertanto, che ogni soggetto ha un suo tasso plasmatico, e che esistono pazienti nei quali si ottiene un completo controllo delle crisi con tassi plasmatici al di sotto del cosiddetto range terapeutico e, al contrario, che per non pochi tale controllo si ottiene soltanto con valori superiori a quelli considerati come limite superiore. Qualunque modificazione della posologia, deve essere basata, quindi, esclusivamente su considerazioni cliniche, indipendentemente dai valori del tasso plasmatico.
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