In diritto, nel decidere la controversia il giudice forma il suo convincimento libero convincimento sui fatti relativi alla causa, quindi applica alla fattispecie la norma di riferimento. Una prima specificazione di questo principio generale consiste nel divieto a carico del giudice di utilizzare a fini decisori la propria scienza privata: così, pur avendo personale conoscenza di fatti o circostanze rilevanti ai fini della decisione, egli non dovrebbe tenerne conto, a meno che tali fatti e circostanze siano allegati e provati nel corso del giudizio. Fanno eccezione alla regola i fatti notori, che non necessitano né di allegazione né di prova. Per formare il proprio convincimento, il giudice procede a delimitare tra i fatti allegati quelli controversi, e dunque bisognosi di prova, mediante l’esame degli atti processuali nonché attraverso il libero interrogatorio delle parti (thema probandum).
Espletata la fase istruttoria, il giudice dispone di un quadro di riferimento complessivo, nel quale sono stati individuati tutti i fatti sui quali la decisione può essere fondata: si tratta dei fatti notori, dei fatti pacifici e dei fatti controversi sostenuti da appositi mezzi di prova. Con particolare riferimento a questi ultimi, il principio del libero convincimento consente al giudice – salvo che si tratti di prova legale – di valutare discrezionalmente l’efficacia probante del mezzo istruttorio espletato, con il solo obbligo di esplicitare le ragioni nella motivazione della sentenza (per esempio, chiarendo perché si è ritenuta attendibile una testimonianza piuttosto che un’altra di segno opposto). A questo punto, formatosi il libero convincimento sul fatto, il giudice procede alla qualificazione giuridica della fattispecie e alla dichiarazione degli effetti da questa prodotti: nella valutazione in diritto il giudice non soffre alcuna limitazione, e può individuare le norme di riferimento a prescindere da qualsiasi indicazione fornita al riguardo dalle parti (iura novit curia).
Prova. Diritto processuale civile