Un contratto nullo (se la nullità non è dovuta ad illiceità: v. Nullità. Diritto civile) può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di forma e di sostanza, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità. Nonostante che l’inciso finale dell’art. 1424 c.c. abbia un chiaro fondamento volontaristico («volizione ipotetica»), esso viene prevalentemente interpretato in senso obiettivo, vale a dire come congruenza tra gli effetti giuridici codificati e lo scopo delle parti. La conversione, inoltre, opera di diritto; pertanto la sentenza che la pronuncia è di mero accertamento. Proposta l’azione di nullità il giudice deve rilevarla d’ufficio. Inesattamente si parla di conversione formale, in quanto non si ha una modifica del contratto, ma una diversa qualificazione formale, rimanendo unico il negozio. Ad es. è conversione in senso proprio quella di un contratto costitutivo di usufrutto immobiliare in contratto di locazione, ma si ha impropriamente conversione quando il testamento segreto, invalido per mancanza dei requisiti richiesti dalla legge, può valere come testamento olografo. Diverso è il fenomeno della conversione legale, che si ha quando determina automaticamente il tipo negoziale, prescindendo da un giudizio di congruenza tra lo scopo originario delle parti e quello realizzabile mediante il contratto convertito. Si adduce l’esempio della girata tardiva della cambiale che produce gli effetti della cessione ordinaria del credito (art. 24 l. camb.).
La conversione dell’atto pubblico si ha quando un documento, formato da un ufficiale pubblico incompetente o incapace ovvero senza l’osservanza delle formalità prescritte, e quindi invalido come atto pubblico, viene fatto valere come scrittura privata se ne contiene gli elementi (art. 2701 c.c.).
Interpretazione del negozio giuridico