Abstract
Per illustrare la struttura della contrattazione collettiva nel pubblico impiego, si passano in rassegna, tentando di ricondurle a sistema, le regole riguardanti i soggetti, l’oggetto, le procedure e gli effetti di tale contrattazione: sia di quella nazionale, sia di quella integrativa.
Nel pubblico impiego, non diversamente dal settore privato, la contrattazione collettiva ha una struttura complessa. Anzi, per certi aspetti più complessa di quella del lavoro privato. Se non altro perché sono assai numerose e tra loro assai diverse le funzioni, l’organizzazione, i comparti e le aree professionali delle varie pubbliche amministrazioni (si pensi alla differenza tra amministrazioni dello Stato, delle regioni, degli enti locali e della miriade di enti pubblici). Sono, quindi, altrettanto numerosi e diversi i sindacati: non di rado “sindacati autonomi” – e, a volte, “sindacati di mestiere” – pur mantenendo i sindacati confederali, in linea di massima, la “maggiore rappresentatività”. A ciò bisogna aggiungere, per intuibili ragioni, altri due fattori di complessità. a) Il primo è la inevitabile presenza – e spesso la vera e propria invadenza – della dirigenza politica. Nonostante il principio fondamentale della distinzione, introdotta a chiare lettere dal legislatore (art. 3, d.lgs. 3.2.1993, n. 29 e s.m.i.), tra “politica” e “amministrazione”, difficilmente la dirigenza politica di questa o quella amministrazione resiste alla tentazione di entrare nel merito tanto delle scelte organizzative quanto delle procedure di selezione e di carriera del personale. b) Il secondo fattore di complessità è dato dalla frequente confluenza, nella stessa amministrazione, di personale dalla più diversa professionalità: non soltanto in senso verticale e gerarchico (tradizionale è la distinzione tra dirigenti, quadri, impiegati, operai), ma anche in senso orizzontale (personale amministrativo in senso stretto; personale tecnico: come, ad esempio, avvocati, ingegneri, architetti, archivisti, medici e personale sanitario, chimici ecc., categorie di ispettori e controllori in genere ecc.). Spesso ciascuna di queste categorie tenta di far valere, più o meno a ragione, la sua tipicità professionale per richiedere una specifica area di contrattazione.
Si può immaginare quanto questa complessità incida sulle trattative e sulla conclusione dei contratti. Se ne ha una lampante manifestazione, oltre che nella normale contrattazione, ancora di più nella conclusione degli accordi sindacali sui cd. “servizi minimi” e sulle cd. “prestazioni indispensabili”, previsti dalla l. 12.6.1990, n. 146 sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Per non parlare poi dell’esperienza dei conflitti collettivi: quando capita che scioperino “a scacchiera” aree professionali differenti, bloccando ogni volta interi servizi essenziali.
Volendo ora descrivere la struttura della contrattazione, va anzitutto considerata la posizione della parte datoriale. Essa, per ogni attività riguardante le relazioni sindacali, la contrattazione e l’assistenza delle pubbliche amministrazioni (art. 46, co. 1, d.lgs. 30.3.2001, n. 165), è rappresentata a livello nazionale, e in base agli indirizzi ricevuti dai comitati di settore, dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran), il cui Presidente è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, previo parere favorevole delle competenti Commissioni parlamentari.
Si tratta di un organo tecnico, ideato, all’origine, appositamente come “negoziatore” in grado di superare le resistenze degli organi politici a fare da autentica controparte dei sindacati e a perseguire nel contempo l’obiettivo di ridurre la disomogeneità della disciplina collettiva. Ciò nonostante esso, nella pratica, viene fin dall’inizio puntualmente scavalcato dalle dirette intese tra sindacati e Governo (fino ad esser messo fuori gioco nella contrattazione decentrata). La riduzione di ruolo dell’Aran consegue inoltre sia alla frammentazione dovuta al numero eccessivo di comitati di settore e di comparti, sia alla singolare circostanza che la quantità di risorse pubbliche disponibile si conosce prima della formale apertura del negoziato. Il che pregiudica ovviamente ogni strategia dell’Aran quando va a trattare con una controparte che ha già visto le carte avversarie (Talamo, V., Gli assetti della contrattazione integrativa dopo il d.lgs. n. 150 del 2009 e la finanziaria «d'estate»: ratio di una riforma, in Lav. pub. amm., 2010, 757).
Una parziale rivisitazione dell’agente negoziale pubblico avviene nel 2009 (art. 2, co. 1, lett. b, della l. delega) nell’intento di superare la non felice esperienza precedente, quando alcuni membri dell’Agenzia venivano addirittura designati dagli stessi sindacati, che in pratica decidevano la composizione della controparte datoriale. Per salvaguardare l’Agenzia dall’ingerenza politica e sindacale, viene ora irrobustito il regime delle preclusioni alla nomina di Presidente dell'Agenzia e di membro del Collegio di indirizzo e controllo (il co. 7-bis dell’art. 46, d.lgs. n. 165/2001 non consente la nomina di chi abbia incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti e sindacati).
Con la riduzione dei comparti e delle aree di contrattazione, e il correlativo dimezzamento dei comitati di settore (da sei a tre: art. 41, d.lgs. n. 165/2001), si determina una ricentralizzazione negoziale di segno opposto alle scelte operate in passato dal legislatore. Il quale, con il d.lgs. 4.11.1997, n. 396, aveva introdotto i comitati di settore proprio per far emergere le specificità organizzative ed ordinamentali delle singole amministrazioni (Fiorillo, L., Il primato della legge ed il ruolo subalterno della contrattazione collettiva, in Lav. pub. amm., 2012, 31 ss.).
La riforma del 2009, inoltre, intende rendere più penetrante, in sede di contrattazione nazionale, l’intervento dell’attore politico rispetto all’agente negoziale: prevedendosi, in particolare, (con la copertura formale di una prassi già in atto) che «rappresentanti designati dai Comitati di settore possono assistere l’Aran nello svolgimento delle trattative» (art. 41, co. 4, d.lgs. n. 165/2001). È previsto poi un controllo in forma di parere sull’ipotesi di accordo. Senza entrare ora troppo in dettagli ulteriori, sta di fatto che, attraverso i complicati meccanismi delle designazioni e delle nomine, appare ormai schiacciante il controllo del Governo sugli organi direttivi dell’Aran, con buona pace dell’idea di fondo, probabilmente illuministica, di fare dell’Agenzia una vera “controparte datoriale” (una sorta di Confindustria delle pubbliche amministrazioni) capace di condurre con competenza e soprattutto autonomia – pur nell’ambito delle direttive governative – vere e proprie trattative sindacali (Zoppoli, L.-Delfino, M., La rappresentanza delle Pubbliche Amministrazioni, in Proia, G., a cura di, Organizzazione sindacale e contrattazione collettiva, in Trattato di Diritto del lavoro, Persiani, M.-Carinci, F., diretto da Padova 2014, II).
Dal lato dei lavoratori, quale altro aspetto di diversità dal lavoro privato, è legittimata alla contrattazione soltanto l’organizzazione sindacale che sia dotata di una specifica “rappresentatività”, misurata in termini prettamente quantitativi. Il fondamento di tale limitazione viene rinvenuto sia nel canone di imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 co. 1, Cost.), sia nel fine di “giustificare l’efficacia generale attribuita alla contrattazione collettiva” (Carinci, Contratto collettivo (lavoro pubblico), in Enc. dir. Annali, VI, 2013, 218 ss.).
Nel dettaglio, l’Aran ammette alla contrattazione collettiva nazionale i sindacati che abbiano, nel comparto o nell'area, una rappresentatività non inferiore al 5 per cento, considerando la media tra dato associativo e dato elettorale. Il dato associativo è espresso dalla percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali rispetto al totale delle deleghe nell'ambito considerato. Il dato elettorale è espresso dalla percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle rappresentanze unitarie del personale rispetto al totale dei voti espressi nell'ambito considerato (art. 43, d.lgs. n. 165/2001). Alla contrattazione collettiva nazionale per il relativo comparto o area partecipano altresì le Confederazioni alle quali le organizzazioni ammesse alla contrattazione siano affiliate. L’Aran sottoscrive i contratti collettivi verificando previamente, sulla base della rappresentatività accertata per l’ammissione alle trattative ai sensi del co. 1, che le organizzazioni sindacali aderenti all'ipotesi di accordo rappresentino nel loro complesso almeno il 51 per cento come media tra dato associativo e dato elettorale nel comparto o nell'area contrattuale, o almeno il 60 per cento del dato elettorale nel medesimo ambito. L’Aran ammette alla contrattazione collettiva per la stipulazione degli accordi o contratti collettivi che definiscono o modificano i comparti o le aree o che regolano istituti comuni a tutte le pubbliche amministrazioni o riguardanti più comparti, le Confederazioni sindacali alle quali, in almeno due comparti o due aree contrattuali, siano affiliate le organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi del co. 1.
Il legislatore articola la contrattazione in due livelli: quello nazionale e quello integrativo. Stabilisce poi che la stessa contrattazione collettiva, nel disciplinare la durata dei contratti nazionali e integrativi, preveda la coincidenza tra vigenza della disciplina giuridica e della disciplina economica (art. 40, co. 3, d.lgs. n. 165/2001). A livello interconfederale si concludono “accordi-quadro”, che definiscono o modificano comparti e aree dirigenziali o regolano istituti comuni a più comparti (art. 40, co. 2, d.lgs. n. 165/2001).
Il numero dei comparti (salva la residua competenza della contrattazione collettiva rispetto alla individuazione della relativa composizione) è fissato in quattro (ai quali corrispondono non più di quattro separate aree per la dirigenza), fermo restando che, nell'ambito dei comparti, possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità (art. 40, co. 2, d.lgs. n. 165/2001). La riduzione degli ambiti di contrattazione, pur con il rischio di un’eccessiva uniformità dei trattamenti rispetto alle diversità strutturali e funzionali delle pubbliche amministrazioni, dovrebbe, da un lato, rendere più controllabile ed omogenea la normativa contrattuale applicabile alle diverse amministrazioni e, dall’altro, evitare che la parte pubblica si faccia portatrice di interessi eccessivamente parcellizzati e differenziati. L’accorpamento dei comparti, inoltre, determina con ogni probabilità anche una riduzione del numero delle organizzazioni in grado di raggiungere la soglia prevista dall’art. 43, d.lgs. n. 165/2001.
Maggiore autonomia, invece, è accordata alle parti negoziali nell’individuazione e composizione di ciascun comparto, dal momento che scompare il precedente vincolo di definire i comparti per «settori omogenei e affini», secondo la vecchia formulazione dell’art. 40, co. 2, d.lgs. n. 165/2001.
Al fine di scongiurare il consueto superamento del termine biennale per il rinnovo, vengono legalmente scanditi i tempi di presentazione delle proposte sindacali (sei mesi dalla scadenza del contratto) e quelli di apertura delle trattative (tre mesi dalla scadenza del contratto). Viene poi fissato un «obbligo di tregua sindacale» per un periodo di sette mesi dalla presentazione delle proposte: coerente con la più nobile prassi sindacale, per cui «mentre si tratta non si combatte».
Ispirate a ragioni di tutela retributiva dei lavoratori sono le due norme (co. 1 e 2, art. 47bis, d.lgs. n. 165/2001) in materia di contrattazione nazionale, volte ad evitare che i ritardi nel rinnovo dei contratti impediscano ai dipendenti pubblici di ricevere in tempi congrui gli aumenti contrattuali. Il co. 1 prevede che, decorsi 60 giorni dalla data di entrata in vigore delle disposizioni della legge finanziaria sui rinnovi contrattuali, «gli incrementi previsti per il trattamento stipendiale possono essere erogati in via provvisoria previa deliberazione dei rispettivi comitati di settore, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative, salvo conguaglio all’atto della stipulazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro». E il co. 2 dispone che «in ogni caso, a decorrere dal mese di aprile dell’anno successivo alla scadenza del contratto, qualora lo stesso non sia ancora stato rinnovato e non sia stata disposta l'erogazione di cui al co. 1, è riconosciuta ai dipendenti dei rispettivi comparti di contrattazione, nella misura e con le modalità stabilite dai contratti nazionali, e comunque entro i limiti previsti dalla legge finanziaria in sede di definizione delle risorse contrattuali, una copertura economica che costituisce un'anticipazione dei benefici complessivi che saranno attribuiti al momento del rinnovo del CCNL».
L’attribuzione di siffatti poteri di determinazione unilaterale dei trattamenti, per quanto provvisori, senza dubbio incide sul principio della esclusiva competenza dei contratti collettivi a determinare il trattamento economico (art. 45, co. 1, e art. 2, co. 3, d.lgs. n. 165/2001). Ci si trova così di fronte al dilemma se rischiare di svilire la capacità conflittuale dei sindacati ovvero salvaguardare i dipendenti delle amministrazioni interessate dai ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi (Carabelli, U., La riforma Brunetta': un breve quadro sistematico delle novità legislative e alcune considerazioni critiche, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 101/2010, 13; Sordi, P., Commento art. 45, d.lgs. n. 165/2001, in Amoroso, G.-Di Cerbo, V.-Fiorillo, L.-Maresca, A., Diritto del lavoro, III, Il lavoro pubblico, Fiorillo, L., a cura di, Milano, 2011, 719; Topo, A., La contrattazione integrativa, in La Terza Riforma del Lavoro Pubblico, Carinci, F.-Mainardi, S., a cura di, Milano, 2011, 422.). Ed è appena il caso di ricordare che da cinque anni tuttora perdura il blocco (iniziato con il d.l. 31.5.2010, n. 78, conv. dalla l. 30.7.2010, n. 122) della contrattazione collettiva nazionale (da ultimo: art. 1, co. 256, l. 23.12.2014, n. 190, cd. legge di stabilità 2015), con intuibili ripercussioni sulla motivazione personale, e dunque sulla produttività, dei lavoratori pubblici e, alla fine, sull’efficienza degli apparati pubblici.
Abbastanza prevedibile, allora, può considerarsi la dichiarazione di “illegittimità costituzionale sopravvenuta” del regime di blocco della contrattazione collettiva nel pubblico impiego – soprattutto perché “reiterato” dalle varie leggi di stabilizzazione finanziaria – ad opera della sentenza della C. cost., 23.7.2015, n. 78 nella quale si pone in luce il contrasto di tali leggi con il co. 1 dell’art. 39 Cost. e con numerose altre norme sovranazionali sul diritto di libertà sindacale e di contrattazione collettiva.
L’atteggiamento del legislatore di fronte alla contrattazione di secondo livello è altalenante. Nella prima fase della privatizzazione, infatti, la legge (nella vecchia formula dell’art. 45, co. 4) consente al livello decentrato di contrattazione un ambito di azione assai limitato e, soprattutto, volto «al contemperamento tra le esigenze organizzative, la tutela dei dipendenti e l'interesse degli utenti». Successivamente (dal 1998), alla contrattazione integrativa si riconosce sì maggiore spazio, ma a patto di incentivare la produttività attraverso l’erogazione selettiva della retribuzione accessoria, nei limiti delle quote di finanziamento fissate dalla contrattazione nazionale. Difatti, la contrattazione integrativa è andata progressivamente fissando il sistema di inquadramento professionale, le progressioni verticali ed economiche e la gestione delle dotazioni per la retribuzione accessoria.
La necessità di sottodimensionare la dinamica di crescita retributiva spinge poi il legislatore, a partire dal 2006, a circoscrivere lo spazio negoziale della contrattazione integrativa (D’Iorio, D., La costituzione dei fondi per la contrattazione integrativa dopo la legge n. 133/2008 e gli oneri di comunicazione a carico delle amministrazioni, in Lav. pubbl. amm, 2009, 897). Seguendo lo stesso “trend”, la riforma del 2009 potenzia limiti e vincoli finalizzati a scongiurare incrementi imprevisti di spesa, attraverso: la riduzione delle risorse disponibili; la predeterminazione dei contenuti; l’imposizione di oneri di trasparenza; il riordino dei sistema dei controlli (Talamo, V., Gli assetti della contrattazione integrativa dopo il d.lgs. 150 del 2009 e la finanziaria «d'estate»: ratio di una riforma, in Lav. pub. amm., 2010, 757; Alaimo, A., La contrattazione collettiva nel settore pubblico tra vincoli, controlli e blocchi: dalla riforma Brunetta alla manovra finanziaria 2010, in Lav. pub. amm., 2010, 293).
La contrattazione integrativa ha carattere “derivato” rispetto al livello nazionale: nel senso che è il livello nazionale a definire lo spazio negoziale della prima, determinando così il cd. “decentramento centralizzato” (Natullo, G.-Saracini, P., Vincoli e ruoli della contrattazione integrativa, in Zoppoli, L., a cura di, Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, Napoli, 2009, 75). I contratti di primo livello sono tenuti, infatti, a individuare limiti, vincoli, materie, soggetti, procedimento e risorse della contrattazione integrativa, la quale deve anche rispettare i vincoli di bilancio derivanti dalla programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione.
Oggi come oggi, è vistosa la differenza tra settore privato e settore pubblico quanto alla contrattazione di secondo livello. Nel settore privato, infatti, è in atto un processo di “destrutturazione” del (vecchio) sistema contrattuale, fondato sulla prevalenza gerarchica dei contratti nazionali, fino al punto che, ai sensi dell’art. 8 d.l. 13.8.2011, n. 138, conv. della l. 14.9.2011, n. 148, di assai dubbia costituzionalità (Rusciano, M., L’articolo 8 è contro la Costituzione, in Eguaglianza & Libertà – rivista di critica sociale on line, 8.8.2011, www.eguaglianzaeliberta.it), la contrattazione aziendale può addirittura derogare in peius, in più materie, a quanto previsto da norme inderogabili di legge e di contratti nazionali. Laddove nel lavoro pubblico la contrattazione integrativa non può apportare deroghe alle disposizioni dei contratti nazionali, salvo espressa previsione delle cd. “clausole di uscita”.
Nella prospettiva di rafforzare il potere contrattuale del dirigente, vengono normativamente prefissati gli effetti dell’eventuale fallimento delle trattative. Nella specie, si stabilisce che i contratti nazionali devono prevedere un termine per la conclusione delle sessioni negoziali decentrate, scaduto il quale le parti «riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione» (art. 40, co. 3-bis). Inoltre, nelle materie che esigono decisioni per garantire il servizio pubblico, l’amministrazione – pur se provvisoriamente e fino alla successiva sottoscrizione (art. 40, co. 3-ter) – ha sempre la facoltà di provvedere unilateralmente a tutto quanto sarebbe stato oggetto del mancato accordo. Logicamente resta comunque ferma, in tal caso, la possibilità di denunciare l’eventuale discriminazione antisindacale messa in atto dalla dirigenza.
Quanto ai contenuti, le nuove disposizioni stabiliscono un forte vincolo tra contrattazione decentrata, valutazione e premialità, intensificando il condizionamento della retribuzione accessoria all’effettivo conseguimento di risultati programmati e di risparmi di gestione. Nel dettaglio, i contratti integrativi definiscono i trattamenti economici accessori collegati alla performance (individuale e organizzativa), al fine di conseguire «adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici» (art. 40, co. 3-bis; il medesimo indirizzo si ritrova nell’art. 7, co. 5, d.lgs. n. 165/2001; nell’art. 67, co. 9, d.l. 25.6.2008, n. 112; nell’art. 2, co. 32, l. 22.12.2008, n. 203), nonché per compensare l’effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate, pericolose o dannose per la salute (art. 45, co. 3, d.lgs. n. 165/2001).
I criteri di finanziamento si incentrano sull’ottimizzazione della produttività: la «Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit)» dovrà fornire all’Aran, entro il 31 maggio di ogni anno, una graduatoria delle performances di amministrazioni statali e di enti pubblici nazionali (art. 13, d.lgs. 27.10.2009, n. 150), nella quale le singole amministrazioni sono distribuite su tre livelli di merito, a seconda dei loro risultati, in vista della ripartizione delle risorse per la contrattazione decentrata (art. 40, co. 3-quater, d.lgs. n. 165/2001).
Sul piano procedimentale, divengono più stringenti i controlli sulla compatibilità della contrattazione integrativa coi vincoli di bilancio, ma sono rese più semplici le procedure di approvazione. In particolare, i soggetti preposti al controllo (Collegio dei revisori dei conti; Collegio sindacale; Uffici centrali di bilancio e «analoghi organi previsti dai rispettivi ordinamenti»), oltre ai consueti vincoli di bilancio, devono ora verificare anche il rispetto delle competenze del contratto integrativo (materie espressamente devolute dal livello nazionale; ambiti riservati alla legge o ad atti unilaterali), fino a entrare talvolta nei contenuti di talune scelte contrattuali.
Rigido è il divieto alle pubbliche amministrazioni di sottoscrivere, in sede decentrata, contratti integrativi in contrasto coi vincoli e coi limiti posti dai contratti collettivi nazionali o disciplinanti materie non espressamente delegate a tale livello negoziale ovvero che comportano oneri non previsti dalla programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. La violazione di tali vincoli e limiti di competenza o di norme di legge comporta la nullità delle clausole, che sono inapplicabili e sostituite ai sensi degli articoli 1339 e 1419, co. 2, c.c., (art. 40, co. 3-quinquies, d.lgs. n. 165/2001). Quest’ultimo richiamo, giuridicamente pleonastico, contiene un chiaro messaggio politico: serve, per un verso, a rafforzare l’imperatività della legge, scalfita talora dalla debolezza e arrendevolezza della parte pubblica, non sempre capace di difendere la competenza esclusiva della legge medesima e le proprie prerogative dalla pressione e dall’ingerenza sindacale. Per un altro verso, serve a ribadire la subordinazione della contrattazione collettiva alla legge. In caso di accertato superamento di vincoli finanziari (da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, del Dipartimento della Funzione pubblica o del Ministero dell’economia e delle finanze) è fatto altresì obbligo di recupero nella sessione negoziale successiva (art. 40, co. 3-quinquies, d.lgs. n. 165/2001).
Seppure con qualche enfatica esuberanza burocratica, a finalità di trasparenza rispondono gli oneri di pubblicazione e comunicazione del funzionamento dei servizi pubblici e dell’utilizzo delle risorse per finanziarli, sì da permettere ai cittadini-utenti di esercitare un diffuso controllo sociale. Ogni accordo decentrato, dunque, deve essere accompagnato da una relazione tecnica e da una relazione illustrativa, entrambe rese accessibili tanto agli organi di controllo quanto al pubblico (art. 40, co. 3-sexies, d.lgs. n. 165/2001). La relazione illustrativa va appunto redatta in modo tale da consentire di accertare che la contrattazione decentrata sia effettivamente improntata ai principi della customer satisfaction (art. 40, co. 3-sexies, d.lgs. n. 165/2001).
Si aggiungono gli ulteriori oneri di comunicazione sui costi della contrattazione integrativa al Ministero dell’economia e delle finanze e alla Corte dei conti (co. 3 dell’art. 40 bis). La Corte costituzionale (C. cost., 24.2.2010, n. 57) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 67, co. 9 e 10, primo periodo, del d.l. n. 112/2008, convertito, con modificazioni, nella l. 6.8.2008, n. 133, sia nel testo originario sia nel testo risultante dall'art. 40 bis, co. 3, d.lgs. 30.3.2001, n. 165, come sostituito dall'art. 55 del d.lgs. 27.10.2009, n. 150, per ritenuta violazione degli art. 117 e 118 Cost. La disposizione in esame, infatti, a parere della Consulta, non introduce un nuovo controllo di merito, ma prevede una procedura che ha finalità meramente conoscitiva. Le informazioni richieste alle pubbliche amministrazioni sono utilizzate dalla Corte dei conti esclusivamente ai fini del “referto” sul costo del lavoro. La finalità di coordinamento finanziario può essere in concreto realizzata soltanto consentendo alla Corte dei conti, organo posto al servizio dello Stato-comunità, di disporre delle necessarie informazioni. Le disposizioni impugnate perseguono tali finalità e non possono essere considerate invasive delle competenze regionali.
Sussiste, infine, l’obbligo delle amministrazioni di trasmettere per via telematica all’Aran e al Cnel il contratto integrativo con la relativa documentazione (co. 5, art. 40 bis). Obbligo sanzionato, in caso di inadempimento, col divieto di adeguamento delle risorse destinate alla contrattazione integrativa.
Conclusivamente va comunque segnalato che la struttura della contrattazione, fin qui illustrata, potrà subire ulteriori modifiche ad opera dei decreti legislativi di attuazione della l. delega 7.8.2015 n. 124, che detta principi e criteri generali di riforma delle pubbliche amministrazioni toccando alcuni aspetti della contrattazione, soprattutto integrativa, e le funzioni dell’Aran in materia.
Sulla scorta degli atti di indirizzo ricevuti, l’Aran trasmette l’ipotesi di accordo, corredata dalla prescritta relazione tecnica, ai comitati di settore e al Governo entro 10 giorni dalla data di sottoscrizione (art. 47 d.lgs. n. 165/2001). Acquisito il parere favorevole sull’ipotesi di accordo, assieme alla verifica, da parte delle amministrazioni interessate, della copertura degli oneri contrattuali, tocca poi alla Corte dei conti certificare l’attendibilità dei costi quantificati e la loro compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio. Secondo l’attuale previsione, in caso di certificazione non positiva della Corte dei conti, le parti contraenti non possono procedere alla sottoscrizione definitiva dell'ipotesi di accordo, fermo restando comunque che tale controllo preventivo e impeditivo è limitato alle compatibilità economico-finanziarie (D’Auria, G., I “nuovi” controlli della Corte dei Conti: dalla “legge Brunetta” al federalismo fiscale e oltre, in Lav. pub. amm., 2009, 489, per il quale la Corte dei conti diventa “parte negoziale occulta”). In tale ipotesi, il Presidente dell’Aran, d’intesa con il competente comitato di settore – che può dettare indirizzi aggiuntivi – provvede alla riapertura delle trattative e alla sottoscrizione di una nuova ipotesi di accordo, con i costi contrattuali adeguati alle certificazioni (art. 47, co. 7, d.lgs. n. 165/2001).
I contratti e accordi collettivi nazionali, e logicamente pure le eventuali “interpretazioni autentiche”, sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana oltre che sul sito dell’Aran e delle amministrazioni interessate.
D.lgs. 30.3.2011, n. 165; l. delega 4.3.2009, n. 15; d.lgs. 27.10.2009, n. 150.
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