Comportamento con cui il datore di lavoro limita o impedisce l’esercizio della libertà sindacale e del diritto di sciopero. In concreto, affinché si possa parlare di condotta antisindacale, non essendo richiesta l’intenzione da parte del datore di lavoro di ledere tali prerogative, è sufficiente che siano offesi diritti riconducibili alla libertà sindacale (anche se il diritto ha natura individuale) e che la condotta posta in essere dalla parte del datore di lavoro, o almeno i suoi effetti, siano attuali. Tali presupposti, non essendo espressamente previsti e tipizzati all’interno di una norma legislativa, possono essere integrati mediante un atto negoziale e comportamenti sia commissivi sia omissivi. Esempi concreti di condotta antisindacale sono rinvenibili nelle trattative sindacali non conformi, nella violazione del contratto collettivo e in quella dei diritti di informazione. Al fine di consentire in tempi rapidi la repressione della condotta antisindacale, l’art. 28 della l. 300/20 maggio 1970 (Statuto dei lavoratori) prevede una speciale procedura, da attivare presso il Tribunale del Lavoro competente per territorio, contro tutti i comportamenti sopra descritti, salvo i comportamenti del datore di lavoro che ledano esclusivamente interessi e diritti dei singoli lavoratori. Sono legittimati a effettuare tale ricorso gli organismi sindacali locali, individuati dagli statuti delle rappresentanze di categoria, senza che per queste sia richiesto il requisito della maggiore rappresentatività, essendo sufficiente il concreto svolgimento di attività sindacale a livello nazionale. Il giudice così adito, nei due giorni successivi alla presentazione del ricorso, convocate le parti e assunte le informazioni necessarie, se ritiene sussistente la violazione denunciata, emette decreto motivato e immediatamente esecutivo. Mediante tale atto, l’autorità giudiziaria, ordina al datore di lavoro la cessazione del comportamento ritenuto illegittimo e la conseguente rimozione immediata di tutti i suoi effetti. Il datore di lavoro può opporsi, di fronte allo stesso giudice, entro 15 giorni dalla comunicazione del provvedimento, che comunque non sospende gli effetti della prima pronuncia. Il datore di lavoro che non si adegui a tale pronuncia è punito per inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, ai sensi del c.p. (art. 650).
Contratti collettivi di lavoro