coefficiente di Hill
Sensibilità, più o meno elevata, con la quale proteine oligomeriche (con un sito di legame su ciascun monomero) rispondono all’azione di leganti specifici: si tratta di sistemi in cui ogni unità funzionale (per es., un tetramero) si combina con più molecole di legante, il cui numero massimo è pari ai monomeri che la costituiscono. La proprietà qui chiamata sensibilità di risposta, nel gergo biochimico è detta cooperatività in quanto si assume che nasca dalla interazione che si stabilisce tra i vari siti di legame che sono presenti sulla macromolecola oligomerica. Si prenda in considerazione un’ipotetica emoglobina tetramerica (Hb) che leghi simultaneamente quattro molecole di un legante L (per es., l’ossigeno molecolare, O2), senza che si formino stati intermedi di associazione con L, e cioè siano presenti solo: Hb (con nessuna molecola di L legata, vale a dire con ν=0) e Hb(L)4 (con 4 molecole di L associate al tetramero, ovvero ν=4). Questo modello, che vuole rappresentare la massima cooperatività possibile per un tetramero di Hb, avrebbe un coefficiente di Hill uguale a 4. Tuttavia, l’interazione simultanea di 4 molecole di L con un tetramero di Hb in pratica non avviene, tant’è che esistono sempre stati intermedi tra ν=0 e ν=4 (e cioè, ν=1, ν=2, ν=3), sebbene tali specie chimiche siano spesso presenti in quantità molto piccole. L’esistenza della cooperatività può essere accertata paragonando la forma della curva che, per es., descrive l’associazione di O2, misurata all’equilibrio, all’Hb tetramerica, con quella di una emoproteina monomerica (cioè, con un solo sito di legame per l’O2), quale è la mioglobina, Mb, la proteina che all’interno dei muscoli immagazzina O2 e contribuisce al trasporto di questo gas fino ai mitocondri. In ambedue i casi, la quantità di O2 legato reversibilmente, è determinata dalla sua pressione parziale, pO2, nell’atmosfera che insiste sulla soluzione di ciascuna emoproteina. Tra le varie modalità per descrivere in termini grafici il fenomeno, c’è il diagramma di Hill (dal nome del fisiologo che per primo, nel 1910, tentò un’analisi matematica dell’equilibrio dell’Hb con l’O2), in cui il logaritmo del rapporto tra la concentrazione degli emi occupati dall’O2 e di quelli liberi (log ([HbO2]/[Hb])) è funzione del logaritmo della pO2 (log pO2). Il fatto che quest’ultima variabile sia proporzionale al potenziale chimico dell’O2 (cioè a quella grandezza che misura la spinta a produrre il cambiamento della composizione chimica del sistema) rende tale grafico molto significativo per fornire una misura soddisfacente della cooperatività. Nel diagramma di Hill, a mano a mano che la pO2 viene aumentata a partire dal valore 0, la curva comincia a salire in modo rettilineo con una pendenza di 45° rispetto agli assi cartesiani (come avviene per qualsiasi sistema monomerico, quale è anche la Mb). Questa osservazione trova la sua spiegazione nel fatto che quando le molecole di O2 nell’ambiente sono scarse, solo un eme per ciascuna molecola tetramerica di Hb ha un’elevata probabilità di essere associato con una molecola di legante, e dunque tutti gli emi che vengono occupati dall’O2 in queste condizioni reagiscono in modo indipendente uno dall’altro, come se fossero quelli della Mb. In altri termini, le sole specie macromolecolari presenti in quantità significativa sono Hb (ν=0) e HbO2 (ν=1). Incrementando il valore della pO2, il numero di emi per unità tetramerica che viene saturato con l’O2 aumenta (passando da 1 a 2 o a 3): in queste condizioni, si stabiliscono le interazioni tra gli emi che danno luogo al fenomeno della cooperatività, interazioni che avvengono per propagazione attraverso la matrice proteica e che producono il potenziamento dell’affinità per l’O2 degli emi ancora liberi dal legante e allo stesso tempo rendono la curva di ossigenazione sempre più ripida. La curva termina con un’altra retta a 45° rispetto agli assi cartesiani, perché l’O2 è diventato così abbondante che un solo eme per ciascun tetramero di Hb ha la probabilità di essere ancora libero dal legante, e perciò tutti gli emi rimasti in soluzione reagiscono una volta ancora in modo indipendente l’uno dall’altro, come se si trattasse di molecole di Mb (infatti, le sole specie significative sono Hb(O2)3 e Hb(O2)4, e anche in questo caso la combinazione del tetramero con l’O2 interessa un solo sito di legame per ciascun tetramero). Il valore della pendenza della curva preso a ogni punto, cioè il rapporto (log ([HbO2]/[Hb])/(log pO2)), è noto come coefficiente di Hill (indicato per lo più con n o anche nΗ). Come si è osservato, tale valore non rimane costante nell’intero intervallo di concentrazione del legante (ovvero, di pO2): nelle condizioni estreme (cioè, a valori molto bassi e molto alti di pO2) la curva che descrive il processo di ossigenazione sale a 45° rispetto agli assi cartesiani, stando a significare che la pendenza della curva è uguale all’unità (nΗ=1), e dunque si è in una condizione di totale assenza di cooperatività (essendo la reazione come quella della Mb con l’O2). Nella parte intermedia, inoltre, il valore di nΗ cresce raggiungendo un valore massimo quando la saturazione degli emi con l’O2 è vicina alla metà dei siti di legame per unità strutturale (nel caso dell’Hb è 2, ovvero – in termini del modello allosterico di MWC – quando la concentrazione degli oligomeri nello stato T è all’incirca uguale a quella degli oligomeri nello stato R). Tale valore di nΗ è, nella gran parte dei casi, costante tra il 25% e il 75% di saturazione, e pertanto non si commette un errore grossolano prendendo il coefficiente di Hill alla metà della saturazione con il legante (indicato spesso con n½) come una caratteristica del sistema. In un vasto numero di studi su emoglobine normali tetrameriche (umane e di altre specie animali), il valore di n½ è compreso tra 2,5 e 3,3 in condizioni vicine a quelle fisiologiche, dimostrando l’esistenza di un alto grado di cooperatività tra gli emi. Alcune varianti dell’emoglobina umana hanno valori di n½ molto più bassi; come caso estremo, si ricorda l’emoglobina Bart, composta da quattro catene β, che ha nΗ=1: è anche questa una molecola tetramerica, per la quale tuttavia l’accoppiamento funzionale che dà luogo alla cooperatività tra le singole subunità non esiste più, ciascuna catena β comportandosi in modo del tutto indipendente dalle altre tre presenti nel tetramero (come se si trattasse dunque di 4 molecole di mioglobina). Il coefficiente di Hill (come d’altronde l’affinità per l’O2 dell’Hb) dipende dalla concentrazione nell’ambiente (per es., negli eritrociti) di numerose specie chimiche (effettori allosterici di tipo eterotropico): ioni idrogeno, anidride carbonica, ioni cloruro e specialmente, un intermedio della glicolisi, il 1,2-bisfosfoglicerato. Quando si alza il livello di ognuno di questi fattori, la curva di ossigenazione diventa man mano più sigmoide (cioè, aumenta il valore numerico del coefficiente di Hill). Un certo numero di enzimi, che svolge un ruolo importante nella regolazione del metabolismo, è costituito da oligomeri che presentano la proprietà di rispondere con estrema sensibilità ai cambiamenti della concentrazione di metaboliti. L’equazione proposta da Hill per il legame dell’O2 all’Hb è stata applicata alla descrizione cinetica di questi particolari enzimi, detti allosterici, cioè di quegli enzimi per i quali il grafico della velocità iniziale in funzione della concentrazione del substrato mostra una forma sigmoide del tutto differente dall’iperbole rettangolare che scaturisce dall’equazione di Michaelis-Menten. In tali casi, è opportuno esprimere il grado di cooperatività di un enzima con la seguente equazione: v/(V–v)=[S]ν/K½ ovvero, in termini logaritmici: log{v/(V–v)}=nlog[S]ν− −logK½ dove v è la velocità iniziale della reazione, V corrisponde alla velocità massima, [S] sta per la concentrazione del substrato, K½ è definita in modo simile alla costante di Michaelis-Menten (Kμ), e cioè come il valore della concentrazione del substrato a cui v=0,5V, e n è il coefficiente di Hill. Per riassumere e concludere, il coefficiente di Hill è ampiamente usato come misura di cooperatività sia nelle reazioni all’equilibrio sia in cinetica, e il suo grado è tanto più alto quanto maggiore è il suo valore numerico: per un oligomero non-cooperativo, n=1; si parla di cooperatività positiva ogni volta che n>1, e di cooperatività negativa se n〈1.