Clonazione
(App. V, i, p. 662)
Definizione e fondamenti
Mentre la c. è la produzione asessuale di copie geneticamente identiche di un organismo vivente, l'espressione 'clonazione molecolare' o del DNA è spesso usata come sinonimo di ingegneria genetica (v. in questa Appendice): permette la comparsa di copie di specifiche sequenze di DNA introdotte in cellule viventi. Una procedura che porta a risultati simili, ma in vitro, è la PCR (Polymerase Chain Reaction). Si parla inoltre di 'clonazione cellulare' quando per successive divisioni binarie si producono popolazioni di cellule identiche fra loro e a un capostipite. Le cellule di norma si riproducono per divisione binaria. Nei batteri, la popolazione che deriva da una singola cellula progenitrice è detta clonale o clone; talvolta anche le singole cellule sono chiamate cloni. La c. di organismi pluricellulari è una pratica ancora incerta ed è in sostanza l'oggetto della presente voce. Il legame tra i diversi tipi di c. è dato dal fatto che dalla c. (o duplicazione) del DNA di una cellula deriva la c. (o duplicazione) delle cellule, e dalla c. di queste (associata a un processo di progressivo differenziamento) si ha la c. di organismi.
Il corpo umano è composto da cellule somatiche (cardiache, nervose ecc., a dotazione cromosomica doppia, o diploidi) e riproduttive (spermatozoi e ovuli, dette cumulativamente gameti, a dotazione cromosomica singola, o aploidi). Derivano tutte da un'unica cellula, l'uovo fecondato (zigote), attraverso successivi cicli di divisioni (mediamente circa 50, il che porta il numero totale delle nostre cellule vicino a 10.000 miliardi). Diversamente dai batteri, gli organismi multicellulari sono programmati geneticamente per lo sviluppo e il differenziamento. Geni variamente scelti tra gli oltre 60.000 del nostro genoma (insieme del materiale genetico o DNA cromosomico) vengono attivati e disattivati nel corso dello sviluppo: da questa espressione finemente modulata risultano i circa 200 tessuti diversi che ci compongono. Alla fine le cellule muoiono: anche questo è programmato da geni (v. anche cellula: Apoptosi, in questa Appendice).
Il genoma della cellula uovo fecondata è totipotente; quello delle cellule differenziate che ne derivano, sinora era ritenuto pluripotente, e pareva esserlo tanto meno quante più volte le cellule si erano divise. Sulla natura degli eventuali cambiamenti del genoma dell'individuo adulto rispetto a quello dello zigote si sa ancora poco.
Le prime ricerche su differenziamento e sviluppo negli organismi complessi iniziarono circa 60 anni fa. Tra i primi a considerare il problema va ricordato l'embriologo tedesco H. Spemann, premio Nobel nel 1935, le cui ricerche liquidarono i residui delle teorie vitalistiche. L'attenzione degli studiosi si concentrò presto sui nuclei e quindi su cromosomi e DNA. Purtroppo ancora oggi il confronto tra le sequenze del DNA di cellule diverse in uno stesso organismo è molto difficile: non resta che tentare di capire se almeno le funzioni complessive che qualificano i genomi delle diverse cellule, cioè le loro potenzialità di codificazione genetica, sono equivalenti a quelle dello zigote. Se sì, sembrerebbe corretto concludere che entrambi i genomi sono totipotenti e quindi che il differenziamento nelle varie cellule somatiche viene prodotto da modificazioni reversibili del DNA.
Il confronto tra la potenzialità di codificazione dei nuclei somatici con quella del nucleo zigotico si può attuare indirettamente: per es., trapiantando un nucleo somatico entro una cellula uovo privata del proprio (enucleata). Se, dopo il reinserimento dell'ovulo manipolato (o dell'embrione che ne deriva in vitro) nell'utero di una madre portatrice (la placenta artificiale ancora non è stata inventata), si riesce a produrre un organismo vitale completo, cioè a realizzare un intero programma genetico di sviluppo, si ha una prova certa della totipotenza del genoma delle cellule somatiche differenziate e, nel caso, adulte. Accanto al significato scientifico di una simile prova, non sfugge quello economico: se un organismo è dotato di alto valore (commerciale o d'altra natura), i miliardi e miliardi delle sue cellule somatiche contengono nuclei che in teoria potrebbero riprodurre altrettanti esemplari geneticamente identici.
Ci si può chiedere se esistano in natura elementi che giustifichino studi diretti alla c. di esseri viventi. Prendiamo in considerazione l'uomo. Tutti gli esseri umani sono diversi fra loro in quanto hanno genomi diversi: lo assicurano i meccanismi della riproduzione sessuale. Gli unici individui identici sono i gemelli monozigotici. Nella specie umana si ha in media un parto gemellare ogni cento. Due volte su tre i gemelli sono fraterni, o dizigotici: i loro genomi sono diversi perché derivano dalla fecondazione di due o più ovuli diversi fra loro da parte di altrettanti spermatozoi pure diversi fra loro. I gemelli monozigotici derivano dalla fecondazione di un unico ovulo da parte di un unico spermatozoo e dalla divisione dell'embrione che ne risulta in subunità capaci di svilupparsi in organismi individuali. Di conseguenza i gemelli monozigotici hanno lo stesso genoma: originano un clone.
Da tempo si sa che intere piante possono essere propagate da un ramoscello. Ne è anzi risultata una tecnica molto usata in botanica: la riproduzione per talea. Grazie ai progressi della moderna ricerca biologica, partendo da singole cellule somatiche (per es., di foglie) di un esemplare pregiato, oggi è possibile derivare numerose piante geneticamente simili fra loro e al donatore di cellule. Le orchidee, i gerani e numerose altre piante ornamentali e industriali vengono prodotte per clonazione. Ciò è possibile in quanto il genoma di molte cellule di tessuti adulti è totipotente: nelle foglie di Nicotiana possono essere la maggioranza. I motivi di questo sono oggetto di studio: c'è chi pensa al numero di tessuti diversi nei vegetali adulti, inferiore a quelli animali, a un loro minore differenziamento e quindi a una loro più lunga totipotenza.
Tra gli animali sono noti pochi casi di c. naturale. Fenomeni di partenogenesi possono portare a cloni, ma perché ciò avvenga occorre che le cellule riproduttive femminili non fecondate si duplichino allo stato diploide. A seconda dei meccanismi riproduttivi coinvolti, si possono originare solo maschi, come nei tacchini, o solo femmine, come negli interessanti casi di simbiosi tra alcuni insetti e batteri del genere Wolbachia. La partenogenesi può essere indotta anche in mammiferi, per es. nel coniglio: ne risulta uno sviluppo incompleto della progenie di sole femmine che hanno corredo cromosomico dimezzato, o aploide.
La maggiore diffusione della riproduzione sessuale rispetto alla c. può essere spiegata col fatto che quest'ultima, anche se in teoria più economica, porta a una diminuzione della variabilità genetica, e quindi dell'adattabilità ambientale, dei membri di una popolazione. Inoltre nel corso dello sviluppo i genomi subiscono cambiamenti programmati (i telomeri, o terminazioni dei cromosomi, si accorciano a ogni ciclo di replicazione; riarrangiamenti genici portano nei vertebrati alle diverse immunoglobuline, in certe mosche al differenziamento sessuale ecc.). Ma i genomi possono subire nel tempo anche modificazioni reversibili del DNA, come nell'imprinting materno-paterno, o anche danni di natura chimica non sempre ben riparati.
Nel complesso la ricerca sperimentale avviata dopo la riscoperta delle leggi di Mendel all'inizio del 20° secolo suggerisce che il genoma di cellule somatiche adulte è diverso (o discontinuo) rispetto a quello dello zigote. Di qui le difficoltà teoriche della c.: restava comunque stimolante, anche se utopica, la possibilità di ottenere individui maturi e, quanto a programma genetico, tutti uguali fra loro e a un capostipite. Lo studio dell'adattamento ad ambienti diversi e lo sfruttamento delle molte potenzialità applicative in tale maniera ne sarebbero stati fortemente agevolati.
Procedure di clonazione
Gli approcci alla c. di animali sono due ed entrambi risultano riferibili a eventi naturali. Il primo consiste nella suddivisione di un embrione precoce a cellule totipotenti in un certo numero di subembrioni, al limite ciascuno costituito da una sola cellula, e nel farne proseguire lo sviluppo in individui indipendenti: è il caso delle gemelle Dionne (v. clonazione, App. V). Nell'altro si rimuove il nucleo di un ovocita, meglio se non fecondato, e lo si sostituisce col nucleo di una cellula somatica. La procedura può ricordare la fecondazione di un ovocita da parte di uno spermatozoo: la differenza è che il genoma che guida lo sviluppo dell'ovocita manipolato non risulta dalla somma dei due gameti aploidi, come succede nella riproduzione sessuale, ma è fornito tutto quanto dal nucleo diploide della cellula somatica.
Suddivisione di embrioni
La suddivisione di un embrione può essere effettuata microchirurgicamente e porta alla produzione di più subembrioni in teoria totipotenti. In pratica con embrioni di animali non si è mai andati oltre la suddivisione in due o tre subembrioni. Se la si spinge oltre, non aumenta la frequenza di successi: all'avvio di più gravidanze fa riscontro infatti una loro ridotta capacità di arrivare a termine. Una spiegazione sembra risiedere nella carenza di citoplasma e/o di zona pellucida rispetto alle esigenze dei nuclei. Una soluzione potrebbe essere l'uso di subembrioni, o di loro singole cellule, ma riassociati a un ovulo intero. È in sostanza la seconda via alla c., quella che comporta il trapianto di nuclei somatici in ovociti.
Trapianto di nuclei
Un protocollo classico prevede l'uso di più ovociti ottenuti per stimolazione ormonale, la rimozione dei nuclei e la loro sostituzione con quelli somatici del donatore, che può essere un embrione, un feto, o, pare, anche un adulto. La riprogrammazione genetica che ne risulta dovrebbe portare allo sviluppo di individui geneticamente uguali al donatore del nucleo trapiantato.
Nella c. per trapianto di nucleo c'è un modello: il donatore. Nel caso della suddivisione di un embrione, il modello non c'è: l'embrione prescelto non ha dimostrato il suo valore se non come potenzialità genealogiche (familiari) o genetiche (ottenibili con analisi su un campione di cellule prelevabili senza danno per l'embrione, grazie alla sua totipotenza). Se si vuole comunque un modello, è possibile avviare lo sviluppo di un solo subembrione e conservare tutti gli altri in congelatore: se il clone modello risulta soddisfacente, si procede a questo punto con gli altri.
La pecora Dolly
La nascita nel 1997 di una copia genetica di una pecora, il suo sviluppo fino all'età riproduttiva e la sua fecondazione (naturale) sembrano dare a un gruppo di ricercatori di Edimburgo un primato di tutto rispetto: la c. di un individuo adulto a partire da una cellula prelevata da un tessuto differenziato, la mammella. Ma alcune domande sembrano d'obbligo, nell'ordine: perché una pecora; perché dalla mammella; perché gravida; e come si è arrivati a questo risultato.
La pecora è importante per latte, carne, lana. Inoltre il latte è un contenitore elettivo di farmaci eventualmente prodotti da femmine transgeniche, portatrici di geni umani per proteine preziose (v. ingegneria genetica, in questa Appendice). Inoltre l'embrione di pecora presenta uno sviluppo con caratteristiche vantaggiose: lo zigote va incontro ad almeno tre divisioni prima che i geni inizino a esprimersi. Il genoma adulto trapiantato ha così tempo per rimodellarsi alle condizioni del citoplasma ricevente, replicarsi correttamente 2÷3 volte e azzerare così il programma genetico in atto nella cellula donatrice.
La mammella è interessante perché le sue cellule sono differenziate e hanno probabilmente un limitato repertorio di geni attivi (quelli per la sintesi delle proteine del latte, caseine, lattalbumine, lattoglobuline ecc.), che potrebbe essere proficuamente arricchito con importanti geni estranei (o transgeni).
Infine lo stato di gravidanza (ultimo trimestre): i ricercatori non spiegano il motivo della scelta. La gravidanza induce la funzionalità della ghiandola mammaria, ma introduce nell'esperimento anche qualche problema: il feto potrebbe aver mandato nel circolo materno sue cellule, che i ricercatori potrebbero aver preso per cellule materne. In effetti, l'analisi delle cellule donatrici del nucleo ha rivelato la prevalenza di cellule epiteliali. Ma potevano anche esserci, a frequenze non facilmente rilevabili, cellule staminali toti- o almeno multipotenti, un po' come nei vegetali, oltre, forse, alle già citate cellule fetali; pare che quelle cellule fossero semplicemente disponibili in laboratorio e fossero state scelte principalmente per questo.
Per spiegare i motivi del successo, esaminiamo in dettaglio l'esperimento (fig. 1). Dalla cellula ospite si è eliminato microchirurgicamente il nucleo residente: la sua sostituzione con il nucleo somatico avviene per fusione con una cellula donatrice e comporta quindi l'aggiunta anche del suo citoplasma. Le due cellule vengono accostate e sottoposte a una leggera scarica elettrica che attiva l'ovocita e provoca la fusione alterando l'integrità delle membrane cellulari.
Di 434 tentativi di fusione ne sono riusciti 277, con una resa del 64%. Questi embrioni ricostituiti sono stati inseriti in ovidotti di pecore, scelti come incubatori naturali, o coltivati in vitro: occorre controllarne e nel caso aiutare le prime fasi di sviluppo. Dalle cellule adulte, che più ci interessano, ben 247 embrioni sono stati ottenuti sotto forma di morule o blastule. Quelli che parevano più promettenti (29) sono stati introdotti in madri portatrici, ognuna delle quali ha ricevuto fino a tre embrioni. Le gravidanze, seguite per ecografia, hanno avuto perdite del 62%, dieci volte più alte della norma. L'esperimento ha nel suo complesso portato alla nascita di 8 agnelli. Dai nuclei di cellule embrionali ne sono nati 4, e 3 da fibroblasti fetali, uno da cellule somatiche: per l'appunto Dolly. Al momento della stesura del lavoro in cui è stata presentata la ricerca, Dolly aveva 6 mesi e stava bene; a oltre un anno dalla nascita, denunciava problemi, per es. di senescenza precoce, forse dovuti ai cromosomi un po' invecchiati della madre-gemella che al momento del prelievo delle cellule della mammella aveva 6 anni. Analisi dei terminali dei cromosomi (telomeri) avrebbero indicato una lunghezza leggermente ridotta rispetto ai controlli; il risultato confermerebbe un invecchiamento precoce.
Per quel che riguarda l'origine del nucleo trapiantato, i profili del DNA suggeriscono che Dolly è, come ci si attendeva, identica a sua madre-gemella e non alla donatrice dell'ovulo, né alla madre portatrice. E questo è certamente un dato importante: ma verrebbe accettato in sede forense? Forse no: in questi profili le differenze sono indiscutibili, le uguaglianze possono essere casuali e vanno approfondite. Perciò sarebbe utile vedere anche i profili del DNA del feto portato dalla madre-gemella di Dolly e/o del padre del feto stesso. Gli allevamenti moderni usano pochissimi riproduttori: è quindi probabile che il padre fosse imparentato con la madre-gemella di Dolly, e che quindi entrambi presentino gli stessi profili di DNA, che sarebbero poi finiti inalterati nel feto, e di qui in Dolly: ecco che i profili del DNA della cellula donatrice e di Dolly sono gli stessi. Questa spiegazione sarebbe diversa da quella fornita dai clonatori di Dolly.
I ricercatori non discutono questa possibilità: ammettono di non conoscere le caratteristiche della cellula donatrice del nucleo e non possono quindi escludere che a programmare geneticamente Dolly sia stato non il nucleo di una cellula adulta, bensì quello di una rara cellula staminale, progenitrice e quindi relativamente indifferenziata, cioè più simile alle cellule embrionali che a quelle adulte. Se le cose stessero così (le cellule staminali sono cellule somatiche, ma immature, rare e difficili da isolare), l'esperimento resterebbe positivo, anche se non costituirebbe quel successo che ha messo a soqquadro il mondo: in fondo si sarebbe clonata una rara cellula staminale. Se invece a programmare Dolly fosse stato un genoma fetale, sarebbe un po' imbarazzante.
Il segreto dell'eventuale successo è stato indicato nella sincronizzazione del nucleo della cellula adulta con il citoplasma dell'ovocita ricevente, che in altri animali diversi dalla pecora è difficile da ottenere. Qui sarebbe bastato far crescere le cellule donatrici in un mezzo di coltura sempre più povero: ne è derivato un arresto nella fase detta G-zero, caratterizzata da metabolismo ridotto; in questo stadio, il DNA ha un'attività replicativa e biosintetica praticamente nulla. Il DNA del nucleo maturo diventa così compatibile col citoplasma ricevente e quindi accessibile a ipotetici fattori di rimodellamento. Questi preparerebbero l'ovulo a tutte le transazioni richieste dallo sviluppo embrionale, evitando fenomeni replicativi scoordinati (aneuploidie) e potenzialmente distruttivi.
L'uomo
La comparsa di tante Dolly e Polly (una pecora transgenica che produce latte con una proteina umana) magari geneticamente manipolate è stata immediatamente e acriticamente presentata come premessa a c. e manipolazioni dell'uomo. Il loro impatto sul mondo scientifico e sull'opinione pubblica è paragonabile a quello suscitato nel 1859 dalla pubblicazione dell'Origine delle specie di Ch. Darwin. Quanto tale impatto sia giustificato, lo si potrà sapere soltanto dopo che simili c. saranno state ripetute anche da altri e con numeri più rassicuranti.
Questo però non vuol dire che, se tutto va bene con Dolly e suoi eventuali consimili, il risultato sia applicabile all'uomo. Gli ostacoli maggiori restano i cambiamenti programmati o accidentali che il DNA adulto ha subito nel corso dello sviluppo, oltre al ricondizionamento del nucleo somatico adulto. Bisogna poi fare la tara agli effetti dell''imprinting genitoriale', una marcatura che attraverso modificazioni diverse e reversibili dei genomi materni e paterni porta a una diversa attività dei geni omologhi (le due copie derivate una dal padre e una dalla madre): nel DNA di Dolly, infatti, c'è l'imprinting di un solo genitore, e cioè della donatrice del nucleo. Inoltre, se in biologia molecolare quello che vale per il batterio Escherichia coli vale anche per l'elefante (è uno dei dogmi enunciati dal premio Nobel F. Crick, coscopritore della doppia elica del DNA), in embriologia quello che vale per la pecora può non valere per il topo o per l'uomo.
Va infine ricordato che Dolly non può essere una copia geneticamente identica della madre-sorella: i suoi mitocondri sono misti in quanto derivano sia dall'uovo (in grande maggioranza) sia dalla cellula somatica. Comunque genomi anche completamente identici non porteranno mai alla comparsa della stessa personalità, specialmente se si tratta di esemplari della specie Homo sapiens. Alla sua formazione concorre infatti anche l'ambiente in cui l'individuo è cresciuto, con effetti che gli studiosi stimano ripartiti al 50%, con un'incertezza di più o meno il 10÷15%. Eventuali cloni cominceranno a subire l'influenza differenziante di uteri diversi, a meno che nel frattempo non si sia realizzata una placenta artificiale.
Quello che forse preoccupa maggiormente tanto il bioetico quanto l'uomo della strada è il potere che la scienza sta acquistando, specie in genetica e in procreatica, a fronte della coscienza degli scienziati e della società. Sono state avanzate richieste di divieto per qualsiasi forma di c. non solo umana ma anche animale. In proposito va tenuto presente che progetti che mirino a produrre deliberatamente esseri umani per c., ammesso che la tecnica sperimentata su Dolly funzioni nell'uomo, forse porterebbero all'apertura di orizzonti di studio e soprattutto di applicazioni meno ampi di quel che si crede. La tentazione di proseguire in questo genere di esperimenti è irresistibile per alcuni ricercatori, spinti non tanto dallo scopo di far progredire le conoscenze quanto dal desiderio di arrivare primi a qualunque costo. Nel 1993, ricercatori statunitensi tentarono un esperimento di c. umana a partire da embrioni difettosi e in soprannumero, residui di una fecondazione in vitro. L'esperimento venne interrotto dopo un paio di divisioni dei subembrioni e seguito da sanzioni amministrative agli autori che avevano usato fondi pubblici per legge non impiegabili in queste ricerche. La notizia che una c. di cellule umane adulte sarebbe stata tentata e subito interrotta in Corea si è diffusa verso la fine del 1998; si è poi scoperto che l'esperimento non era mai stato fatto.
Approfondire gli studi in questo settore potrebbe fornire significativi contributi alla biologia umana e in particolare alla fisiologia dello sviluppo, oltre che risolvere casi concreti di non trascurabile importanza. Sembrerebbe legittimo poter clonare una cellula o un embrione prodotti per fecondazione in vitro, quando dalla disponibilità di cloni addizionali potrebbe dipendere il successo di un laborioso progetto di procreazione assistita. Si tratterebbe di produzione deliberata di due o più individui geneticamente uguali fra loro (ma senza un modello preesistente): questo potrebbe essere occasionalmente accettabile, purché non deciso per fini contrari ai loro diritti. Elementi a favore della continuazione della ricerca sulla c. potrebbero derivare anche dai suoi probabili contributi al vitale settore dei trapianti. Un altro valido motivo per approfondire la ricerca sulla c. di organismi vari è il suo possibile aiuto alla conservazione di specie animali a rischio di estinzione.
Al contrario, sembra saggia una moratoria sulle ricerche dirette a clonare un modello umano adulto. Le motivazioni serie sono scarse; ne restano alcune futili, come l'inconscia e vana aspirazione all'immortalità, peraltro destinata al fallimento (la biografia non è clonabile); e gli strumenti sono ancora rozzi e poco controllati, quindi pericolosi. Inoltre, dal punto di vista morale, la produzione di esseri umani per c. di cellule adulte può ledere il diritto all'unicità e alla non-predeterminazione degli individui che ne deriverebbero.
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