Cinema d'essai
In Italia si definiscono cinema d'essai le sale cinematografiche che informano la programmazione a criteri di qualità artistica e d'interesse culturale. La prima che venne qualificata in tal modo fu, nell'aprile del 1960, la sala Quirinetta di Roma, con molto ritardo rispetto a iniziative analoghe di altri Paesi. Tale ritardo spiega l'adozione di un termine proveniente dalla Francia, dove le sale di questo tipo erano già in funzione da almeno dieci anni, si chiamavano cinémas d'art et d'essai e, a partire dal 1955, si erano riunite nell'Association française des cinémas d'art et d'essai (AFCAE), sotto l'egida della Direction générale du Centre national de la cinématographie. D'altra parte, la volontà di caratterizzare in tal senso alcune sale cinematografiche precede di molto l'adozione di questo termine: risale addirittura ai tempi del cinema muto. 'Cinéma d'art et d'essai' era di fatto, sebbene non venisse chiamato così, il Vieux Colombier, che nel 1924 Jean Tedesco ereditò da Jacques Copeau per trasformarlo da teatro a cinematografo e riservarlo ai film sperimentali dei registi d'avanguardia. Dopo il Vieux Colombier fu la volta ‒ sempre a Parigi ‒ di L'œil de Paris, dello Studio 28, dello Studio des Ursulines, aperto quest'ultimo nel 1926 dalla coppia di attori Armand Tallier e Laurence Myrga, il cui progetto esplicito era quello di dare spazio a ogni opera che rappresentasse un'originalità, un valore, un impegno, per proiettarla a un pubblico composto dall'élite degli intellettuali del Quartiere latino. Anche in Belgio il proposito di riservare alcune sale unicamente a film di dichiarati intenti artistici maturò assai presto. Nel 1940 erano in attività tre sale a Bruxelles, e una rispettivamente a Liegi, Gand, Anversa; la sala Stuart a Bruxelles organizzava retrospettive di film classici e di film maudits, e rassegne di saggi di cineamatori, cambiando settimanalmente la programmazione a prescindere dal successo di pubblico. Persino la Germania, nonostante il suo tragico dopoguerra, precedette l'Italia in questo campo: nella Repubblica Federale Tedesca fu fondata nel 1953 la Gilde Deutscher Filmkunsttheather, che associava le sale già in funzione.Il ritardo italiano può spiegarsi con la grande fioritura conosciuta nel dopoguerra dai circoli del cinema (v. associazionismo). Non a caso infatti i c. d'e. nacquero nei primi anni Sessanta, quando i circoli del cinema cominciarono a dare segni manifesti di crisi. Il passaggio da un pubblico stabile di associati, che si tesserava per seguire una programmazione precostituita, a un pubblico più fluttuante, che ogni volta sceglieva consapevolmente di pagare il biglietto per vedere più o meno gli stessi film proiettati dai circoli, significò il compimento del processo di alfabetizzazione dello 'spettatore di qualità'. Si rese necessaria dunque una maggiore capacità di reagire ai mutamenti di sensibilità e alle nuove opportunità, sia sul piano culturale sia su quello economico. Il momento era favorevole, poiché proprio agli albori degli anni Sessanta il pubblico italiano compì una radicale inversione di tendenza: film quali La dolce vita di Federico Fellini e Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, entrambi del 1960, salirono in vetta alla classifica degli incassi; la distribuzione 'scoprì' Ingmar Bergman e i cineasti giapponesi, e di quando in quando ci si azzardava a pescare nel passato prossimo e anche remoto, proponendo classici e film che per vari motivi non avevano avuto accesso al mercato.
I gestori dei primi c. d'e. erano in genere critici militanti, alcuni dei quali provenienti dall'esperienza dei circoli del cinema. La programmazione della sala Quirinetta era assicurata da Callisto Cosulich, ex segretario generale della Federazione italiana circoli del cinema (FICC), e da Enrico Rossetti, tra i fondatori del Film club genovese, all'epoca direttore del mensile "La fiera del cinema" e redattore del settimanale "L'Espresso". La seconda sala d'essai venne aperta a Milano e si avvalse della collaborazione di Ugo Casiraghi, critico del quotidiano "l'Unità", e del patrocinio del gruppo lombardo del Sindacato nazionale giornalisti cinematografici italiani (SNGCI). Una terza sala si trasformò ufficialmente in c. d'e. a Torino: il Nuovo romano, curato personalmente da Renzo Ventavoli, figlio di uno dei dirigenti dell'Associazione generale italiana dello spettacolo (AGIS). Nell'attività dei c. d'e. si venne a stabilire un rapporto molto stretto tra arte, cultura ed esercizio, nell'obiettivo di costituire una sorta di trait d'union tra il consumo normale e l'esperienza delle élites dell'associazionismo. Anche per questo nel 1962 sorse l'AIACE (Associazione Italiana Amici Cinema d'Essai), con l'intento di creare un circuito di sale alternative senza entrare in concorrenza con le sale dell'esercizio tradizionale.
Lo sviluppo dei c. d'e. fu messo in forse verso la fine degli anni Sessanta dall'affermarsi dei cineclub, nell'ambito dei quali la tessera d'iscrizione divenne una pura formalità, comunque necessaria per aggirare le già indebolite disposizioni della burocrazia ministeriale. I cineclub proiettavano tutti i giorni della settimana e non si fermavano ai classici e ai nuovi film di qualità, ma cercavano anzi di portare il cinema popolare all'interno di un consumo d'élite, proponendone strumenti di lettura sempre più sofisticati. La loro spregiudicatezza recò non poco danno all'attività dei c. d'e., che di rimando si avvicinarono sempre più all'AGIS. A sostegno dell'attività di questi ultimi, dunque, nel 1970 l'AGIS diede vita, insieme alla sua associata ANEC (Associazione Nazionale Esercenti Cinema), a un comitato nazionale per la diffusione del Film d'arte e di cultura (FAC), alla cui attività di carattere culturale affiancò dal 1979 un organismo dagli obiettivi più propriamente organizzativi, che prese il nome di Federazione italiana dei cinema d'essai (FICE) e fu presieduta da Claudio Zanchi. Negli anni Ottanta la fiammata dei cineclub si è spenta, e i c. d'e. hanno così avuto un nuovo sviluppo, sostenuti spesso dall'intervento degli enti locali.