Cineclub
Termine con il quale vengono indicate le associazioni aventi per scopo lo studio, la diffusione e la difesa dell'arte del cinema attraverso molteplici iniziative: proiezioni di film di particolare valore e interesse, conferenze, dibattiti, costituzione di biblioteche specializzate e di cineteche, nonché produzione di film sperimentali. Al termine ciné-club, coniato in Francia, corrispondevano nei primi tempi le espressioni Film Society in Gran Bretagna, Filmfreunden in Germania, circolo del cinema in Italia. Quando queste associazioni, spesso già federate sul piano nazionale, costituirono nel settembre 1947 la Fédération internationale des ciné-clubs con sede a Parigi, il termine cineclub e la relativa definizione si affermarono su scala mondiale.
La Francia fu il Paese dove nacquero i primi c. e dove il movimento registrò un significativo sviluppo. "Il y a le Touring Club. Il faut aussi le Ciné-Club". Questa esigenza fu affermata in termini così imperativi nel gennaio del 1920 da Louis Delluc sul primo numero della rivista, dal titolo "Journal du ciné-club", creata per promuovere la nascita di tali associazioni. Il primo c. fu fondato proprio da Delluc e iniziò l'attività nel giugno dello stesso anno con due conferenze; le proiezioni furono inaugurate invece il 14 novembre 1921 con Das Cabinet des Dr. Caligari (1920; Il gabinetto del dottor Caligari) di Robert Wiene. L'evento era patrocinato dalla rivista "Cinéa", fondata dallo stesso Delluc dopo che "Journal du ciné-club" aveva cessato le pubblicazioni. Nel frattempo, sempre a Parigi, per iniziativa di Ricciotto Canudo era nato il CASA (Club des Amis du Septième Art), associazione che mensilmente organizzava una cena alla quale veniva invitata l'élite intellettuale della capitale, con il dichiarato intento di perorare la causa del cinema come arte.
Che l'iniziativa agli albori degli anni Venti partisse dalla Francia non era casuale. Quasi tutti gli storici del settore sono concordi nel ritenere che il cinema francese di quel decennio abbia svolto un ruolo preminente nel sostenere le potenzialità artistiche del nuovo mezzo d'espressione. In Francia, più che altrove, le opere innovative collegate alle avanguardie coeve trovarono sostegno e, quindi, visibilità in un mercato che tendeva invece a escluderle, proprio attraverso la rete dei c. che si andava costituendo. Tra i film che devono la loro esistenza (e anche la permanenza nella memoria collettiva) ai c. sono generalmente citati Entr'acte (1924) di René Clair, Ménilmontant (1926) di Dimitri Kirsanoff, La coquille et le clergyman (1928) di Germaine Dulac e Un chien andalou (1929) di Luis Buñuel. I c. dal canto loro si adoperavano anche per favorire la circolazione di opere di differenti Paesi, come si evince fin dal programma inaugurale della prima associazione, il c. di Delluc, che ‒ come si è detto ‒ iniziò la propria attività proiettando Das Kabinett des Dr. Caligari, film-manifesto del cinema espressionista tedesco.
Nel 1927 si contavano in Francia già una ventina di c.; si avvertì perciò l'esigenza di una federazione nazionale che coordinasse i programmi e ottenesse per i club federati il riconoscimento statale necessario per poter proiettare, in quanto associazioni private riservate ai soli soci, film sprovvisti del visto di censura. Notevoli difficoltà erano sorte infatti per alcuni film, specialmente per quelli sovietici, ritenuti dalle autorità pericolosi veicoli di propaganda. Fu così fondata, nel 1929, la Fédération française des ciné-clubs (FFCC), il cui primo presidente fu la regista Germaine Dulac.Proprio i film sovietici furono gli involontari promotori del movimento dei c. in Gran Bretagna, dove lo scrittore Ivor Montagu e l'attore Hugh Miller fondarono nel 1925 la prima Film Society, un circolo privato dove furono proiettati i film muti di Sergej M. Ejzen-štejn e Vsevolod I. Pudovkin, vietati per le medesime ragioni dal British Board of Film Censors.Alla fine degli anni Venti i c. erano attivi in numerosi Paesi europei. Nell'ottobre 1928 nacque il primo c. spagnolo, il Cineclub Español, per iniziativa di Ernesto Giménez Caballero, direttore della rivista dell'avanguardia madrilena "La gaceta literaria", alla quale collaboravano per il cinema Salvator Dalí, Rafael Alberti, Pio Baroja, i sovietici Ejzenštejn e Grigorij V. Aleksandrov, i francesi Jean Epstein, Eugène Deslaw e Marcel L'Herbier: un cosmopolitismo reso necessario dalla povertà dei quadri creativi e critici del cinema spagnolo dell'epoca. Caballero offrì la direzione del c. a Buñuel, che la lasciò poco dopo per trasferirsi a Parigi. Iniziative analoghe sorsero nel Benelux (in Olanda, in Belgio, perfino in Lussemburgo), la più importante delle quali fu la Filmliga, fondata ad Amsterdam nel settembre 1927. In virtù dell'immediato successo di pubblico, la Filmliga di Amsterdam aprì in breve tempo succursali all'Aia, Rotterdam, Utrecht, Leida, Groningen e più tardi a Haarlem, divenendo di fatto una sorta di federazione. Il futuro documentarista Joris Ivens vi partecipò sin dalla fondazione in qualità di 'consigliere tecnico'.
Anche nell'Italia degli anni Venti qualcosa si mosse, sia pure in forma sporadica e al di fuori di un vero e proprio progetto. Il primo ‒ e, per qualche anno, unico ‒ c. italiano fu quello nato nel 1926 a Milano come sezione di un circolo letterario, Il Convegno, fondato e diretto da Enzo Ferrieri, intorno al quale gravitava un buon numero di scrittori, per lo più giovani, da Vitaliano Brancati a Guido Piovene, da Giuseppe Antonio Borgese ad Antonello Gerbi. Organizzatori della sezione cinematografica erano il futuro sceneggiatore Ettore Maria Margadonna e Filippo Sacchi, che nel 1929 sarebbe divenuto critico titolare di "Il corriere della sera". Roma seguì Milano a tre anni di distanza. Il primo c. romano fu inaugurato da Massimo Bontempelli, il quale, nel discorso di apertura, si rammaricava di non conoscere nella lingua italiana un termine sostitutivo di ciné-club. Bontempelli alludeva probabilmente all'abortito tentativo di imporre neologismi quali filocinegruppo e gruppo filocinematografico, in sintonia con la campagna condotta allora dal governo fascista per salvaguardare la purezza della lingua italiana.
L'avvento del cinema sonoro modificò in modo profondo l'attività dei cineclub. Se durante gli anni Venti il loro primo proposito fu quello di opporsi alla cosiddetta censura del mercato, sostenendo i film meritevoli di attenzione che il mercato per vari motivi rifiutava (una funzione in parte simile a quella che nel dopoguerra sarebbe stata svolta dai cinema d'essai), negli anni Trenta la loro iniziativa fu prevalentemente volta a salvare dall'oblio i capolavori del cinema muto, definiti film retrospettivi. Non a caso nel corso di quel decennio ogni Paese in cui esisteva un'attività cinematografica si dotò di una o più cineteche, pubbliche o private; tali istituzioni sarebbero divenute le principali fonti di rifornimento dei c., almeno là dove essi poterono proseguire nella propria attività. Nei Paesi in cui si instaurarono regimi totalitari infatti le restrizioni alle libertà individuali toccarono pesantemente anche l'ambito culturale e cinematografico. Nella Germania nazionalsocialista i Filmfreunden non ebbero più alcun margine di iniziativa. Nell'Unione Sovietica, sotto il regime staliniano fu represso ogni tentativo di sperimentazione ed era consentito un unico linguaggio, quello del realismo socialista. Anche in Italia i c. furono posti sotto il controllo governativo: nel 1934, per ordine di Luigi Freddi, direttore generale per la Cinematografia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, vennero sciolti i pochi ancora in funzione, e creati al loro posto i 'cineguf', la cui direzione era riservata ai Gruppi universitari fascisti (GUF), con il compito sia di diffondere attraverso proiezioni l'arte del cinema sia di realizzare film amatoriali in formato ridotto. Nel disegno di Freddi, infatti, si contava molto su questa attività per offrire nuova linfa agli esigui quadri del cinema italiano. Ma fu proprio nei cineguf, come in tante istituzioni create dal fascismo, che, a partire dalla seconda metà degli anni Trenta, maturò la volontà di creare uno strumento per la trasmissione e la circolazione di idee alternative. Tra i cineamatori che vinsero i premi messi in palio annualmente dal Ministero della Cultura popolare ‒ come pure tra i redattori delle riviste di cinema edite dai GUF ‒ si trovano molti dei nomi che nel dopoguerra avrebbero onorato il cinema italiano. In quegli anni infatti i cineguf svolsero un'intensa attività editoriale, che sarebbe divenuta sempre più vitale e a suo modo alternativa durante gli anni di guerra, fino a esercitare positive influenze sulla crescita del movimento nel dopoguerra.
Nel 1947, al momento della fondazione della Fédération internationale des ciné-clubs, il quadro mondiale di queste associazioni era assai variegato. La Francia vantava la rete di c. più sviluppata e organizzata, e la maggior parte delle associazioni era riunita nella FFCC. I c. per ragazzi erano raggruppati in un organismo a parte, mentre nel Nord Africa (ancora sotto l'amministrazione francese) facevano capo a una federazione specifica con sede in Algeri.In Gran Bretagna le Film Societies, circa 250, coordinate dal British Film Institute, svolgevano un'attività meno intensa dei c. francesi (in media 8 proiezioni annue), e molte di esse erano attrezzate solo per proiezioni di film a 16 mm; tra i dominions, il movimento si affermò particolarmente in Irlanda, Sudafrica, India e Australia. Mentre continuavano a prosperare i c. belgi e olandesi, il movimento si estese anche in alcune colonie: nel Congo Belga esistevano parecchie associazioni che proiettavano film a 16 mm. Nel Nord Europa i c. si diffusero soprattutto in Danimarca e in Svezia, mentre lo sviluppo di quelli svizzeri, che pure fondarono sin dal 1940 una federazione, fu frenato dalla diversificazione delle normative cantonali. Nella Germania occidentale i c. raggiunsero ben presto il numero di 150, nonostante il Paese fosse uscito prostrato dalla guerra. Alcuni di essi, specie nella zona industriale della Ruhr, superavano il migliaio di aderenti e svolgevano un'intensa attività, riuscendo persino a organizzare festival e incontri culturali di rilievo internazionale. Molto diversa la situazione nella penisola iberica: in Spagna il governo franchista impedì la ripresa del movimento che era stato spazzato via dalla guerra civile, e in Portogallo l'unico c. riconosciuto ufficialmente era quello di Oporto, mentre gli altri furono chiusi d'autorità e alcuni loro dirigenti imprigionati per presunta attività sovversiva. Proporzioni vistose assunse invece il movimento nell'America del Sud, specie in Uruguay, dove si contavano tre organizzazioni di c., di cui due pubblicavano anche riviste: "Cine-Club" e "Film". Un'altra rivista importante, "Gente de cine", era pubblicata in Argentina dall'associazione di Buenos Aires. Anche i c. sudamericani organizzarono manifestazioni culturali e festival di risonanza internazionale. Il movimento si estese in minor misura nel Centro America, con qualche risultato significativo solo a L'Avana e a Città di Messico, dove furono i c. a proiettare per la prima volta i film italiani presentati sotto l'etichetta neorealista. Praticamente inesistente invece il movimento negli Stati Uniti, così come nell'Unione Sovietica: evidentemente i principi su cui si fondava non trovavano udienza né nel Paese dove il cinema era un fenomeno rigidamente industriale, né in quello dove era stato soggetto a una completa nazionalizzazione. Lo stesso discorso vale per i Paesi dell'Est europeo nell'orbita sovietica, a eccezione della Iugoslavia, dove i c. ebbero un discreto sviluppo, sostenuti dalla cineteca di Belgrado. Di poco rilievo, infine, l'attività nelle altre parti del mondo, là dove scarsi erano gli scambi culturali con l'Occidente. Ciò vale anche per il Giappone, che sin dagli anni Venti ebbe una cinematografia estremamente sviluppata sia sul piano industriale sia su quello artistico; ma fu proprio l'industria cinematografica nipponica, modellata a immagine e somiglianza di quella statunitense, a rendere in un certo senso impossibile l'affermazione del movimento.In Italia il movimento dei c. conobbe nel dopoguerra una notevole, ma anche contrastata, rinascita, significativamente partita dalla provincia. Le originarie attività dei cineguf si divisero, dando vita a numerosi raggruppamenti. I cineamatori si diedero le proprie associazioni, che ripresero il nome originario di cineclub; a loro volta gli studenti universitari, confluiti nell'Unione nazionale degli studenti universitari italiani, l'organismo unitario delle associazioni studentesche, formarono i Circoli universitari cinematografici (CUC), mentre alcuni gruppi cattolici, sotto l'egida dell'Università internazionale di scienze sociali Pro Deo, costituirono i cineforum. I moltissimi altri gruppi che non aderivano a enti o organismi preesistenti, diedero vita ai circoli del cinema. Questi ultimi, moltiplicandosi, si diedero presto un organismo rappresentativo: nel 1947 a Venezia, durante lo svolgimento della VIII Mostra internazionale d'arte cinematografica, fu fondata la Federazione italiana circoli del cinema (FICC). Il rapido sviluppo del movimento si spiega con la fame degli appassionati di cinema, tenuti per un ventennio a digiuno dalla censura fascista, e con il risveglio del cinema nazionale, le cui opere migliori andavano però sostenute dai circoli, non incontrando il favore del pubblico né quello dei governi, che al contrario si dimostravano il più delle volte ostili nei loro confronti. Interesse dunque verso il passato del cinema, molto del quale per lo spettatore italiano era rimasto inedito, ma anche verso il presente, osteggiato da una censura del mercato che agiva anche nei riguardi del prodotto nazionale. La crescita del movimento non poteva non suscitare l'interesse dei partiti di massa, che videro nell'organizzazione del pubblico operata dai c. un prezioso strumento di proselitismo. Ciò spiega dunque la frammentazione cui andò incontro il movimento a partire dagli anni Cinquanta, frammentazione che, tagliando trasversalmente orientamenti politico-ideologici, religiosi e laici, non si fermò neppure quando la legge nr. 1213 del 4 novembre 1965 concesse ai c. quel riconoscimento giuridico che il gemello movimento francese aveva ottenuto sin dagli anni Venti. Così, all'alba del terzo millennio le associazioni nazionali che organizzano e nello stesso tempo dividono i c. esistenti, e che usufruiscono delle provvidenze previste dalla legge nr. 153 del 1° marzo 1994, sono salite al numero di dieci. In ordine alfabetico: AICA (Associazione per Iniziative Cinematografiche Audiovisive); ANCCI (Associazione Nazionale Circoli Cinematografici Italiani); CGS (Cinecircoli Giovanili Socioculturali); CINIT (Cineforum Italiano); CSC (Centro Studi Cinematografici); FEDIC (Federazione Italiana dei Cineclub); FIC (Federazione Italiana dei Cineforum); FICC (Federazione Italiana Circoli del Cinema); UCCA (Unione Circoli Cinematografici ARCI); UICC (Unione Italiana Circoli del Cinema). Le associazioni che a metà del 20° sec. furono le artefici del poderoso sviluppo del movimento si sono tuttavia profondamente modificate, così in Italia come all'estero. Sono cambiate in modo radicale la fruizione dei film e la loro distribuzione: la sala è divenuta un punto di offerta marginale, almeno sul piano economico, rispetto al consumo privato fornito dalla televisione, dall'home video e da Internet. Per sopravvivere, cioè per dimostrare la persistente utilità della propria funzione, i c. debbono adeguarsi alla continua evoluzione della galassia audiovisiva.
Per l'insieme delle tematiche trattate e per un quadro complessivo v. anche associazionismo.
C. Vincent, C. Cosulich, Circoli del cinema, in Enciclopedia dello Spettacolo, 3° vol., Roma 1954, ad vocem.
J. Ivens, Autobiografie van een filmer, Amsterdam-Assen 1970 (trad. it. Io-cinema, Milano 1979).
G.P. Brunetta, Il cinema nei Guf, in Nuovi materiali sul cinema italiano 1929-1943, Mostra internazionale del nuovo cinema, 1° vol., Pesaro 1976.
R. Siboni, L'altro sguardo. L'associazionismo cinematografico in Italia: storia, linguaggio, comunicazione, Roma 1999.
V. Tosi, Quando il cinema era un circolo: la stagione d'oro dei cineclub (1945-1956), Roma 1999.
L. McKernan, Bambini nella nursery. Il cinema muto inglese, e R. Gubern, Cinema muto spagnolo, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 3° vol., L'Europa. Le cinematografie nazionali, t. 1, Torino 2000, pp. 119-50 e 237-52.