Canada
di Bruno Roberti
Il carattere composito della cinematografia canadese, soprattutto nelle sue due componenti linguistico-culturali francofona e anglofona, ha rispecchiato, sin dalle origini, il mosaico di culture e tradizioni e la diversificazione anche politica dei territori di un Paese confederale come il Canada. La particolare suggestione, maestosità ed estensione del paesaggio naturale (Cascate del Niagara, Montagne Rocciose), la sua geografia umana che si sviluppa tra il mare, le pianure e le zone montagnose hanno assunto un ruolo nella storia della cinematografia canadese, sia come 'set' privilegiato dell'industria hollywoodiana, sia, in contrasto o complementarità con i contesti urbani particolarmente avveniristici, come fonte ispirativa per i registi canadesi. Singolarità e specificità culturale, in forza anche del suo indipendentismo e nazionalismo, ha acquisito nel contesto canadese il cinema del Québec, regione in cui la componente francese, linguisticamente maggioritaria, è fondante.
Di fronte al 'colonialismo' dell'industria cinematografica statunitense (che ha sempre visto nel C. una semplice estensione e appendice della sua egemonia di mercato), lo sforzo del governo è stato negli anni quello di predisporre una legislazione atta a incentivare la produzione autonoma delle varie regioni, e ha avuto come conseguenza una creatività cinematografica attenta alla sperimentazione e alla produzione indipendente. Fondamentale in questo senso lo sviluppo di importanti 'scuole' canadesi di cinematografia documentaria e di animazione, grazie anche all'attività svolta nel Paese da prestigiosi cineasti provenienti dalla Gran Bretagna come John Grierson e Norman McLaren.
Nel giugno 1896, a Montréal e in tutto il Québec, si impiantarono i primi cinématographes Lumière. Operatori dilettanti stranieri riprendevano i grandi paesaggi in vedute animate, attenti anche alle culture autoctone o ai grandi avvenimenti d'attualità. Gli elementi spettacolari, naturalistici, pittoreschi, furono propri non solo di filmati turistici, come la serie Pathé Canada pittoresque (1907), ma anche della prima fiction girata in C., da Joseph Rosenthal, Hiawatha, the Messiah of Ojibway (1903, tratto da H.W. Longfellow). I primi prodotti cinematografici erano però appannaggio di società straniere. Ciò spinse i canadesi all'emulazione; Léo-Ernest Ouimet aprì la prima sala di proiezione, l'Ouimetoscope, a Montréal, nel 1906, divenendo così il primo regista-produttore-distributore canadese e realizzando numerose vedute, ambientate in Québec. Superando le divisioni linguistiche, solo nel 1922 si realizzò il primo lungometraggio québécois francofono, Madeleine de Verchères di Joseph-Arthur Homier, su un soggetto di storia locale nella Nuova Francia del Seicento. Intanto l'atteggiamento di colonizzazione culturale e industriale del cinema statunitense, e i condizionamenti dell'istituto della censura, governativa e religiosa, soffocavano lo sviluppo di un cinema di identità canadese.
Il 1917 fu però un anno chiave in tal senso. Venne infatti fondata un'organizzazione governativa, l'Ontario Motion Picture Bureau, che avrebbe prodotto, fino agli anni Trenta, film educativi e turistici. Nello stesso anno, il governo canadese istituì un primo organismo ufficiale, l'Exhibits and Publicity Bureau, che nel 1923 si rinominò Canadian Government Motion Picture Bureau (CGMPB), ma la sua produzione sino agli ultimi anni Trenta fu a prevalente carattere documentario e propagandistico; a Trenton (Ontario) la Canadian National Features allestì nel 1917 il primo studio cinematografico, che divenne la 'Hollywood del Nord' sino alla fine degli anni Trenta. Tra la fine degli anni Dieci e gli anni Venti vi fu una breve fioritura di lungometraggi a soggetto, per lo più realizzati da un produttore formatosi in California, Ernest Shipman (in collaborazione con la moglie Nell, attrice e sceneggiatrice): God's Crucible (1920), Cameron of the Royal Mounted (1921), The man from Glengarry (1922) di Henry MacRae e Back to God's Country (1919) di David M. Hartford, tutte storie romantiche o d'avventura, in cui il paesaggio naturale degli esterni gioca un ruolo fondamentale. Ma la distribuzione e l'esercizio di appannaggio statunitense condizionavano sempre di più il costituirsi di un'identità culturale e industriale del cinema canadese. Le sale passarono negli anni Venti sotto il controllo di una filiale della Paramount, la Famous Players, mentre i tentativi francofoni di produrre e distribuire autonomamente film, come il dramma edificante La drogue fatale (1923) di Homier, non riuscirono a valicare il territorio del Québec. Le news e le attualità documentarie restavano le attività di cinema indipendente canadese con un respiro distributivo autonomo. Si formò così a Montréal l'Associated Screen News (ASN), società che sarebbe durata fino al 1958, ma che si vide comunque costretta a collaborare con l'industria statunitense, per es. stampando le copie dei film americani per il territorio canadese e favorendo le grandi case hollywoodiane nell'abbattere i costi di dogana. La produzione indipendente dell'ASN fu soprattutto documentaristica, e un religioso, Albert Tessier, diventò un pioniere del documentario girando una settantina di cortometraggi in 16 mm sulla cultura materiale, la vita quotidiana, le tradizioni del Québec. Così, durante il periodo del muto i tentativi di costituire un'industria canadese fallirono, ma nacque una rilevante tradizione documentaristica indipendente.
L'avvento del sonoro non facilitò la crescita dell'industria dal momento che, dato il contesto bilingue, si poneva il problema della lingua parlata dei film. Il monopolio dell'industria statunitense si faceva sempre più pesante, tuttavia la mancanza di investimenti industriali paradossalmente stimolò, in Québec, la pratica del documentario a passo ridotto. Una produzione che finì per rispecchiare il progresso storico e sociale della regione francofona, e che annoverò un lungometraggio documentario significativo come En pays neufs (1937) di Maurice Proulx, altro 'prete-regista', che fu attivo fino agli anni Sessanta. Durante gli anni Trenta nel C. inglese la situazione si aggravò anche economicamente per la massiccia penetrazione dei prodotti statunitensi. Le majors di Hollywood spadroneggiavano, impossessandosi dei pochi studi cinematografici e dei grandi spazi naturali offerti dal C., per girare a basso costo film, per lo più d'avventura, indirizzati al mercato di lingua inglese. La ricerca documentaristica continuava la sua evoluzione: significativo fu il lavoro, caratterizzato da una struttura visiva polifonica e un grande ritmo di montaggio, di Gordon Sparling, in un film che rifletteva la complessità linguistica e culturale del C. come Rhapsody in two languages (1934). L'industria statunitense, che aveva tentato di invadere anche il mercato francofono, distribuendo film francesi di cui deteneva i diritti di sfruttamento esteri, improvvisamente in questi anni lasciò il terreno all'iniziativa di imprenditori del Québec, che cominciarono a creare un tessuto distributivo e di esercizio riservato ai prodotti in lingua francese. L'operatività canadese nel campo del documenta- rio suscitò l'attenzione di un maestro inglese come J. Grierson, che nel 1939 si recò a Ottawa per dirigere una nuova istituzione da lui stesso proposta al governo del C., l'Office National du Film (ONF), dove organizzò un'attività di formazione di registi e operatori autoctoni. Nel frattempo, a seguito dello scoppio della Seconda guerra mondiale, Grierson impostò la realizzazione di numerose serie di cinegiornali bellici e di propaganda democratica.
L'operatività a pieno regime dell'ONF ebbe inizio a partire dal 1941, anche sotto il profilo della disposizione di una rete di esercizio e distribuzione legata al documentario e al cinema indipendente (per es., un circuito di sale attrezzate per il 16 mm). Grierson diede così un impulso decisivo alla cinematografia del C.; in quello stesso anno creò una sezione per il film d'animazione, a capo della quale chiamò l'inglese McLaren, che in breve tempo rese famoso nel mondo il cinema d'animazione canadese, dandogli statuto di opera d'arte, oltre che contribuendo (per es. nell'ideazione e nella supervisione delle serie Chants populaires e Let's all sing together, 1944) al recupero di un patrimonio di tradizioni popolari. In parallelo, negli anni Quaranta, assunsero importanza due organismi privati, la Renaissance Films e la Québec Productions, entrambe legate all'idea di un cinema d'ispirazione cattolica, i cui intenti moralizzatori trasparivano in opere come La forteresse (1948; Il passato è sempre presente) di Fëdor Ozep e Le gros Bill (1949) di René Delacroix, entrambi registi esuli in Canada. In particolare Ozep, di origine russa, anche con altri film (come Le père Chopin, 1944), di relativo successo nel circuito francofono, si inserì in un risveglio del cinema di finzione che partiva dal Québec e che cercava, con film di genere melodrammatico o con opere d'impianto teatrale basate sulla suspense e ispirate a radiodrammi celebri, di contrastare la colonizzazione cinematografica statunitense. Dal composito panorama narrativo di questi film traspariva una società in trasformazione, in cui un moralismo religioso di derivazione rurale entrava in contraddizione con un dinamismo sociale d'impronta urbana. In circa dieci anni si girarono in Québec una ventina di lungometraggi, fino al 1953, quando l'avvento del nuovo mezzo televisivo soffocò il timido risveglio cinematografico francofono. Il dopoguerra vide però una richiesta pressante al governo, da parte della debole industria cinematografica, perché si facesse carico di una politica di promozione e incentivi. L'ambiguo risultato fu un accordo con l'industria statunitense, un protocollo d'intesa, il Canadian cooperation project, che prevedeva di favorire la produzione documentaristica, soprattutto nei suoi aspetti turistici, ma che limitava anche, come contropartita, lo sviluppo di una produzione nazionale indipendente. Oggetto dell'accordo fu inoltre la realizzazione su set canadesi di alcuni film di importanti registi, come I confess (1953; Io confesso) di Alfred Hitchcock (la cui lavorazione in C. verrà poi a costituire lo spunto per il soggetto di Le confessional, 1995, Il confessionale, esordio cinematografico del regista teatrale Robert Lepage), e The 13th letter (1951; La penna rossa) di Otto Preminger, un remake di Le corbeau (1943; Il corvo) di Henri-Georges Clouzot. Con intento autopromozionale fu anche istituito nel 1948 un premio nazionale, il Canadian Film Award (nella sua prima edizione miglior film fu The loon's necklace, 1948, di Frank R. Crawley), che nel 1980 cambiò denominazione in Genie Award.
Negli anni Cinquanta, i registi anglofoni, per ragioni linguistiche oltre che industriali, venivano attratti nell'orbita del cinema anglosassone o statunitense. Sidney J. Furie cominciò la sua carriera proprio in quegli anni con film a basso budget come A dangerous age (1958) per proseguirla in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Tenendo d'occhio il mercato statunitense, si sviluppò una tendenza che prediligeva i climi dell'incubo e gli effetti horror (che avrà fortuna nella cinematografia canadese, innestando anche poetiche d'autore nei codici del genere, per es. con David Cronenberg); ne fu testimonianza uno dei primi esempi di horror in 3D, The mask (1961; La maschera e l'incubo) di Julian Roffman.
A metà degli anni Cinquanta l'ONF trovò una forma di rilancio e di evoluzione nella produzione dei cinegiornali di attualità attraverso la collaborazione con il mezzo televisivo. Destò interesse una serie televisiva, Candid eye, caratterizzata dalla leggerezza dei mezzi usati e dall'immediatezza e originalità di linguaggio, cui collaborarono diversi documentaristi, tra i quali Terence Macartney-Filgate, Roman Kroitor, Colin Low, Wolf Koenig. Questi ultimi lavorarono anche nel settore cinema d'animazione dell'ONF che, nel frattempo, con i lavori di McLaren, premiati e acclamati ai festival internazionali (Begone dull care, 1949, alla Mostra del cinema di Venezia; Neighbours, 1952, vincitore di un Oscar per il miglior documentario; Blinkity blank, 1955, premiato al Festival di Cannes), aveva ottenuto nel mondo un riconoscimento, di cui poteva andar fiera l'intera cinematografia canadese. Con il trasferimento dell'ONF a Montréal (1956), la cinematografia francofona ricevette un impulso decisivo; affonda qui le sue radici quella che, a partire dalla prima metà degli anni Sessanta, sarebbe stata la rinascita del cinema canadese, resa possibile soprattutto dall'attività del Québec. Il fervore creativo che si era già manifestato nelle sperimentazioni ‒ tanto del cinema d'animazione quanto del documentarismo, negli ultimi anni della permanenza a Ottawa dell'ONF ‒ come le forme di collaborazione con i canali televisivi trovarono in Québec uno sviluppo significativo. Si diede vita a un nuovo stile, a una nuova concezione del filmare che, in sintonia anche con le coeve nouvelles vagues europee, allargava il campo da un documentarismo classico a una forma di cinéma vérité che influenzò anche il cinema di fiction, e che fu definita cinéma direct. I registi di questo movimento furono Claude J. Fournier, Gilles Groulx, Michel Brault, Jacques Godbout, influenzati anche dalla lezione del francese Jean Rouch (che andò in C. a collaborare con loro), mentre registi come Gilles Carle, Jean-Pierre Lefebvre, Claude Jutra, Pierre Perrault cominciarono a dar vita a un cinema che affrontava la realtà sociale e psicologica dei canadesi. Avvenne una commistione tra fiction e documentario, si realizzarono docudramas che ripercorrevano la storia canadese e le tappe della colonizzazione. Un regista come Denys Arcand intraprese un suo personale cammino cinematografico, in sintonia con i suoi studi di storiografia, che procederà a una radiografia ideologica della realtà sociale, segnata da una lettura politica anche irriverente e demistificante. A metà degli anni Sessanta il risveglio del cinema canadese e l'effervescenza creativa portarono a una configurazione parallela di due autonome attività produttive, anglofona e francofona.
In particolare il cinema francofono del Québec fu un autentico polo di rinnovamento, che ebbe influenza anche negli altri territori della Confederazione, e si venne formando una vera e propria nouvelle vague locale, caratterizzata da una peculiarità di contaminazione tra fiction e documentario, che teneva presente l'esperienza del cinéma direct, e che rifletteva le istanze di emancipazione individuale e comunitaria, anche di liberazione politica, di cui si faceva portatrice la gioventù canadese. Una voglia di trasformazione del costume e delle mentalità che procedeva dalla cosiddetta rivoluzione tranquilla del Québec, quando nella prima metà degli anni Sessanta un vento innovatore percorse la realtà del Paese, e trovò riscontro nei film di Groulx, Lefebvre, Brault e Perrault. Un'onda lunga che si spinse fino agli anni Settanta, imponendo all'attenzione internazionale la novità della cinematografia canadese. In Québec la creazione, nel 1964, della Société de développement de l'industrie cinématographique canadienne (SDICC), operativa soltanto dal 1967-68, si rivelò fondamentale per la nascita del nuovo corso. Grazie ai prestiti elargiti alle piccole industrie private, la SDICC permise la produzione di oltre 170 film, un'ottantina dei quali francofoni realizzati in Québec nel decennio 1968-1977. Il nuovo fermento fece sì che si stipulassero i primi accordi di coproduzione, con la Francia e l'Italia, e che un gruppo di amanti del cinema desse vita, nel 1960, al Festival International du Film a Montréal, che fin dall'inizio mostrò i nuovi autori e le nuove tendenze della cinematografia mondiale e col tempo consolidò la sua importanza.
Film emblematici del nuovo cinema in C. furono: Pour la suite du monde (1963) di Brault e Perrault, che approfondiva l'interazione tra parola e immagine nell'ambito del cinéma direct e introduceva istanze nazionaliste e indipendentiste politicamente coraggiose, come anche il documentario (bloccato dalla censura fino al 1976) 24 heures ou plus (1971) di Groulx. Quest'ultimo aveva già realizzato Le chat dans le sac (1964) e Où êtes-vous donc? (1968), film al limite dello sperimentalismo provocatorio, che tracciavano lo stato d'animo 'rivoluzionario' della gioventù québécoise di quel periodo, così come su un versante più intimista, la proposta di Lefebvre con Le révolutionnaire (1965).
La tradizione documentaristica stava lasciando il passo a una libera costruzione di storie che univano documentazione del quotidiano, riflessione politico-sociale nella forma del film-saggio e un ritorno alla fiction. Anche nel C. anglofono si sperimentavano nuove soluzioni narrative, tra finzione e documento, come in A married couple (1969; Una coppia sposata) di Allan King, mentre in area francofona si sviluppava un cinema indipendente che puntava al mercato con l'attività di registi-produttori come Carle o Pierre Pattry, ed emergeva, in Entre la mer et l'eau douce (1967) di Brault, un'attrice come Geneviève Bujold che presto sarebbe diventata famosa all'estero. Il confronto con il mercato e le ambizioni anche commerciali produssero alcuni esempi di cinema di genere, soprattutto la commedia erotica. Gli ottimi esiti commerciali raggiunti da film soft-core come Valérie (1968) di Denis Héroux o Deux femmes en or (1970) di Alain C. Fournier permisero comunque il reinvestimento su film di maggior impegno qualitativo. Del resto fu nell'ambito del cinema di genere, e con esiti ottimi anche sui mercati esteri, che si rivelarono personalità di spicco come Carle, abile affabulatore di commedie agrodolci o fantastiche, fra ecologia ed esaltazione libertaria della sessualità, in film come La vraie nature de Bernadette (1972; Una donna con tanto amore) e in quelli interpretati dall'affascinante Carole Laure (L'ange et la femme, 1977; Fantastica, 1980), o D. Cronenberg, tra i cineasti canadesi uno dei più celebri, che cominciò negli anni Settanta a dirigere e produrre a basso costo film dell'orrore pervasi da un'inquietante visionarietà (per es., Rabid, 1976; Rabid ‒ Sete di sangue). Le sue opere, pur seguendo una personalissima ricerca linguistica, sono state capaci di attrarre il pubblico, e Cronenberg ha continuato la sua attività di produttore e di regista in Canada.
La rievocazione storica e l'affresco sociale, come l'intreccio poliziesco, avvalorati da una vena di critica politica, sono le caratteristiche di due registi francofoni come Arcand e Jutra, la cui capacità di costruire solide narrazioni emerse, per il primo, fin da Réjeanne Padovani (1973), e poi nei successi internazionali del corrosivo e amaro Le déclin de l'empire américain (1986; Il declino dell'impero americano), dell'apologo Jésus de Montréal (1989; Jesus of Montreal ‒ Gesù di Montreal) e del curioso thriller sui costumi sessuali in tempi di AIDS, Love and human remains (1993; La natura ambigua dell'amore). Jutra, meno conosciuto all'estero ma valutato dalla critica e dai cinefili negli anni Settanta con un film come Mon oncle Antoine (1971), seppe segnare una tappa importante nella cinematografia canadese, per eleganza di fattura e intensità di racconto, rievocando un pezzo di storia sociale del Paese. Un ruolo centrale e molto personale giocò in quel periodo Lefebvre con il suo stile sommesso e intimista, in film divisi tra il ritratto sociale, la riflessione interiore, l'astrazione simbolica e caratterizzati dal tratto delicato dei personaggi (Les maudits sauvages, 1971; Les dernières fiançalles, 1973; Avoir 16 ans, 1979). Risultano privilegiati il quotidiano e i toni sobri da Jacques Leduc in Tendresse ordinaire (1973) e nella serie di film dal titolo Cronique de la vie quotidienne (1977-78).
Il cinema anglofono durante gli anni Settanta si venne via via 'americanizzando' e omologando agli standard commerciali hollywoodiani. Il produttore Harold Greenberg stabilì con il mercato statunitense un rapporto privilegiato, facendo sì che gli incentivi fiscali per la cinematografia, adottati dal governo nel 1974, e un potenziamento (da lui stesso attuato con fondi privati) del contributo della SDICC (che intanto aveva stabilito un'interazione economica con le strutture televisive che la porterà a denominarsi nel 1984 Téléfilm Canada) andassero a tutto vantaggio di una produzione anglofona che guardava al mercato statunitense. Perciò furono chiamati a lavorare in patria attori canadesi trasferitisi a Hollywood, come Donald Sutherland o Alexandra Stuart. Così come dall'estero ritornò nel Paese d'origine il regista Ted Kotcheff per girare una storia dolceamara ambientata a Montréal, The apprenticeship of Duddy Kravitz (1974; Soldi ad ogni costo) che vinse l'Orso d'oro al Festival di Berlino. Ma dove il cinema anglo-canadese assunse poi una sua specificità fu, fin negli anni Sessanta, nell'esperienza dell'Underground. Il cinema sperimentale di Michael Snow, la sua intransigenza concettuale e il lavoro sulla percettività sonoro-visiva costituirono una lezione linguistica proseguita in C. da altri cineasti di ricerca, per es. Bruce Elder con un ciclo filosofico-cinematografico come The book of all the dead (1988).
Una massiccia dose di sperimentalismo e un uso sofisticato delle nuove tecnologie e della computer grafica si riscontrarono negli anni Settanta anche nella scuola canadese del cinema d'animazione che, forte del magistero artistico di McLaren, si era sviluppata con grande inventiva e qualità con autori come Arthur Lipsett, Caroline Leaf, Paul Driessen, Gerald Potterton.
La scuola documentaristica, a partire dagli anni Sessanta, ricevette nuovo impulso grazie a personalità di spicco che, oltre a sondare le radici culturali del Paese, orientarono il loro lavoro verso un'indagine socio-politica, come Donald Brittain, Bernard Gosselin e soprattutto P. Perrault, una delle voci più alte del documentarismo francofono. I suoi lavori hanno esplorato, lungo gli anni, le realtà complesse di molte regioni, con un'attenzione alle istanze indipendentiste del Québec, o al sostrato antropologico, come nel materiale girato, nel corso del tempo, nella regione dell'Antibi ed elaborato nel 1977 in Le goût de la farine e nel 1980 in Pays de la terre sans arbres. Sul versante più politico del documentario, significativo appare Les ordres (1974), filmato da Brault durante la rivolta dell'ottobre 1970 a Montréal. Anche la creatività femminile, e la militanza femminista, hanno giocato un ruolo importante nel documentarismo canadese: Kathleen Shannon diresse negli anni Settanta lo studio D dell'ONF producendo molti lavori di cineaste, spesso premiate con l'Oscar per il miglior documentario, come Beverly Shaffer, Terre Nash, Cynthia Scott.
In ambito francofono Anne-Claire Poirer promosse la serie sulla condizione femminile nella storia del Québec, En tant que femmes (1973-1975). Nella fiction i temi dell'identità femminile sono stati affrontati con delicata sensibilità da registe come Léa Pool con À corps perdu (1988) ed Emporte-moi (1998) e Patricia Rozema con I've heard the mermaids singing (1987; Ho sentito le sirene cantare), Anne Wheeler con Loyalties (1985; Affetti pericolosi), Sandy Wilson con My American cousin (1984). Anche un regista tra i più dotati di stile e finezza, come William Mac Gillivray, ha riflettuto sulla condizione femminile, e insieme sul tema più generale dell'identità canadese, in un film significativo come Life classes (1990).
Malgrado gli importanti risultati, l'industria cinematografica canadese era entrata nuovamente in crisi a partire dal 1976. La legge sul cinema del 1977 dispose impacci burocratici che rallentarono la produzione, il pubblico disertò progressivamente le sale, e gli esercenti privilegiarono, per fronteggiare la crisi, quasi esclusivamente film statunitensi, un meccanismo che finì per aggravare ancora la crisi dell'industria nazionale. Dal 1982 una serie di appropriate iniziative del governo ha permesso all'industria di risollevarsi. In poco tempo, grazie ai finanziamenti diretti alle varie corporazioni di produttori, la situazione è migliorata e nuove idee hanno ripreso a circolare, facendo conoscere non solo nei festival internazionali, ma anche sul mercato estero, i nuovi registi canadesi. Jean-Claude Lauzon si è fatto apprezzare con Un zoo la nuit (1987; Zoo di notte) e Léolo (1992), esempi di estetica postmoderna e iperrealistica, di cupa e allucinatoria atmosfera. François Girard, con 32 short films about Glenn Gould (1993; 32 piccoli film su Glenn Gould) e la coproduzione internazionale The red violin (1998; Il violino rosso), ha riversato in strutture narrative complesse le sue passioni musicali. Il regista teatrale d'avanguardia R. Lepage con Le polygraphe (1996), Nô (1998), Possible worlds (2000) ha trasposto sullo schermo una notevole capacità di invenzione visiva e una riflessione di matrice teatrale sull'ambiguità tra vita e rappresentazione. La coppia Robert Morin-Lorrain Dufour ha elaborato una commistione personalissima tra video e cinema, tra fiction e documentario, che in Quiconque meurt, meurt à douleur (1998), sull'universo della droga, trova l'esempio più interessante. Registi come Yves Simoneau e Christian Duguay hanno lavorato, con un certo talento espressionista e visionario, nell'ambito del genere thriller e fantascientifico. Ma è stato il regista di origini armene Atöm Egoyan l'autore che negli anni Novanta ha elaborato la poetica più singolare, incentrata su climi inquietanti, personaggi dall'ambigua identità e intrighi pervasi dal mistero, conquistando prestigio internazionale con i suoi film, da The adjuster (1991) a Felicia's journey (1999; Il viaggio di Felicia). Al senso del mistero e dell'ambiguo si sono riferiti giovani, promettenti cineasti: Peter Mettler (The top of his head, 1989), Don McKellar (Last night, 1998); come a soluzioni sperimentali e a un gusto del surreale si sono richiamati Guy Maddin (Careful, 1991) e Bashar Shbib (Clair obscur, 1988).
Durante gli anni Ottanta e Novanta il documentarismo, grazie a cineasti come John Greyson o Jacques Godbout, si è distaccato progressivamente dai moduli del cinéma direct per imboccare vie più sperimentali, facendo spesso a meno della parola o del commento e affidandosi alla contaminazione dei linguaggi, dei materiali sonori, dei punti di vista. Ha riflettuto inoltre sul ruolo e il potere dei media nella società, e sull'interazione tra le arti, come nella serie collettiva (cui hanno partecipato, tra gli altri, Egoyan, Rozema, Girard) Yo-Yo Ma: Inspired by Bach (1997; Sei suites per violoncello) o nei lavori di Ron Mann (Poetry in motion, 1982; Twist, 1992). La tradizione dell'animazione ha confermato negli ultimi anni la sua vitalità con le opere di Frédéric Back (Crac!, 1981) o Pierre Hébert (La plante humaine, 1997).
Il cinema canadese ha finalmente assunto, anche attraverso le diversità e le sfaccettature di generi e di stili, una sua fisionomia, una 'identità plurale'.
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