Vedi Brunei dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La stabilità del paese e il pieno appoggio dato dalla popolazione derivano dal livello economico e dall’elevato standard di vita che il sultano riesce a garantire tramite sussidi alimentari, cure mediche gratuite, accesso libero e gratuito all’istruzione, bassa pressione fiscale e bassi tassi d’interesse per i dipendenti pubblici. Nel 2004 si è verificata una prima apertura democratica con l’istituzione di un Consiglio legislativo dotato di poteri minimi e di natura consultiva. Gli attuali 29 membri del Consiglio sono stati nominati dal sultano e la promessa di poterne eleggere 15 su votazione nel corso delle elezioni per il nuovo Consiglio, per le quali non è stata ancora stabilita una data, appare destinata a cadere nel vuoto, anche per il fatto che nel 2007 gli unici due partiti del paese sono stati deregistrati.
La popolazione del Brunei è principalmente di etnia malese (66%), ma differisce da quella residente in Malaysia e Indonesia sotto il profilo linguistico e culturale. La minoranza etnica più numerosa è quella cinese, che rappresenta l’11% della popolazione totale. Le piccole dimensioni demografiche rendono necessario accettare l’ingresso di lavoratori stranieri soprattutto provenienti da Regno Unito, Australia e dal sud-est asiatico; il loro numero è stimato in 100.000, su una forza lavoro composta da 188.000 unità.
L’economia ha risentito in modo contenuto della crisi globale grazie all’alta liquidità e alla bassa esposizione ai prodotti finanziari più rischiosi. Inoltre, secondo la Banca mondiale, il Brunei è il settimo stato più ricco del mondo per pil pro capite – dietro a Lussemburgo, Qatar, Macao, Singapore, Norvegia e Kuwait – e dunque il leggero calo del pil verificatosi nel 2009 non ha prodotto effetti significativi. Gas e petrolio costituiscono circa il 70% del pil e fanno del paese uno dei maggiori produttori di ‘oro nero’ dell’Asia ( 166.000 barili al giorno), nonché uno dei maggiori esportatori mondiali di gas liquefatto, il 90% del quale viene venduto al Giappone secondo un accordo di lungo termine. Dato che, secondo le stime, le riserve di idrocarburi potranno durare altri 25 anni per il petrolio e 40 per il gas, il Brunei, che dipende dalle importazioni, mira ad attirare gli investimenti stranieri in settori industriali diversi. Il paese cerca inoltre di diventare un centro finanziario anche per le banche islamiche e punta sull’high tech, anche tramite lo stretto rapporto con Singapore.
Singapore è, d’altra parte, il maggior alleato strategico bruneiano, seguito dal Regno Unito, che provvede alla sicurezza dei siti petroliferi tramite 1500 soldati dislocati sul territorio. Dal momento dell’ingresso nell’Associazione delle nazioni dell’Asia sud-orientale (Asean), i rapporti con Indonesia e Malaysia sono migliorati, ma resta irrisolta la disputa con Kuala Lumpur sulla regione del Limbang, che divide in due il Brunei. Anche i rapporti con Pechino sono turbati da una rivendicazione territoriale relativa alle Isole Spratly, contese anche da Vietnam, Malaysia e Filippine, ma la significativa minoranza cinese, la rilevanza del turismo di origine cinese e la nomina di un sino-bruneiano a ministro del commercio, sono tutti fattori che contribuiscono alla tenuta del legame tra i due stati.