Vedi Brunei dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Il Brunei è una monarchia assoluta alla cui guida è il sultano Haji Hassanal Bolkiah, al potere dal 1967. L’istituzione della monarchia gode di una legittimità di carattere religioso-culturale, sostenuta dall’ideologia nazionale, la Melaju Islam Beraja, che unisce lingua e cultura malesi, religione islamica e istituto monarchico. Il sultano detiene tutti i poteri: è al tempo stesso capo di stato, primo ministro, ministro della difesa e delle finanze, oltre che comandante supremo delle forze armate.
La stabilità del paese e il pieno appoggio dato dalla popolazione al sovrano derivano dall’alto livello economico e dall’elevato standard di vita che il sultano riesce a garantire tramite sussidi alimentari, cure mediche gratuite, accesso libero e gratuito all’istruzione, bassa pressione fiscale e bassi tassi d’interesse per i dipendenti pubblici. Nel 2004 si è verificata una prima apertura democratica con l’istituzione di un Consiglio legislativo dotato di poteri minimi e di natura consultiva, al quale ha fatto seguito, nel 2010, l’introduzione dell’obbligo di alternanza dei membri del governo ogni cinque anni. La scarsa pressione interna per una vera riforma democratica del sistema di governo ha però fatto sì che il processo di apertura politica si sia limitato a queste decisioni. La popolazione del Brunei è principalmente di etnia malese (66%), ma differisce da quella residente in Malaysia e Indonesia sotto il profilo linguistico e culturale. La minoranza etnica più numerosa è quella cinese, che rappresenta l’11% della popolazione totale. Le modeste dimensioni demografiche rendono necessario accettare l’ingresso di lavoratori stranieri, provenienti soprattutto da Regno Unito, Australia e dal Sud-Est asiatico. Il numero dei lavoratori immigrati è stimato in 100.000 unità, su una forza lavoro di 188.000.
L’economia ha risentito in modo contenuto della crisi globale, grazie all’alta liquidità e alla bassa esposizione ai prodotti finanziari più rischiosi. Inoltre, secondo la Banca mondiale, il Brunei è il settimo stato più ricco del mondo per PIL pro capite, dietro a Lussemburgo, Qatar, Macao, Singapore, Norvegia e Kuwait. Per questo il leggero calo del PIL verificatosi nel 2009 non ha prodotto effetti significativi. Gas e petrolio costituiscono circa il 70% del PIL e fanno del paese uno dei maggiori produttore di ‘oro nero’ dell’Asia (166.000 barili al giorno), nonché uno dei maggiori esportatori mondiali di gas liquefatto, il 90% del quale viene venduto al Giappone secondo un accordo di lungo termine. Poiché, secondo le stime, le riserve di idrocarburi potranno durare altri 25 anni per il petrolio e 40 per il gas, il Brunei, che dipende dalle esportazioni, mira ad attirare gli investimenti stranieri in settori industriali diversi. Il paese cerca inoltre di trasformarsi in un centro finanziario anche per le banche islamiche e punta sull’high-tech, anche grazie allo stretto rapporto con Singapore, il maggior alleato strategico del paese, seguito dal Regno Unito.
Dall’ingresso nell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN), i rapporti con Indonesia e Malaysia sono migliorati, ma resta irrisolta la disputa con Kuala Lumpur sulla regione del Limbang, che spezza in due il Brunei e crea notevoli difficoltà, anche per il traffico generato dalle frontiere, non risolte con lo scambio di lettere del 2009. I rapporti con Pechino sono invece turbati da una rivendicazione territoriale relativa alle Isole Spratly, contese anche da Vietnam, Malaysia e Filippine. Ma la significativa minoranza cinese, la rilevanza del turismo, la nomina di un sino-bruneiano a ministro del commercio e la firma, nel settembre 2013, di un Memorandum of Understanding tra un’impresa del Brunei e un’impresa cinese per la costruzione di un parco industriale nel sultanato, contribuiscono alla tenuta del legame tra i due stati.