Atmosfera terrestre
L'atmosfera terrestre è l'involucro aeriforme costituito da gas e vapori nella sua parte bassa e prevalentemente da ioni ed elettroni nella parte più alta, trattenuto intorno alla Terra dai campi gravitazionale e magnetico terrestri. Essa ha subito una sostanziale evoluzione a partire da una condizione iniziale in cui un'ipotetica fase primordiale dovrebbe aver corrisposto in termini di composizione alla nebula originaria. Di tale presunto stadio non rimane traccia. Successivamente, attraverso una fase primitiva dovuta al degassamento della crosta terrestre, si è raggiunto l'equilibrio relativo all'atmosfera attuale, la cui composizione è largamente influenzata dalla fotosintesi e dalla fotoionizzazione. La forma dell'atmosfera terrestre, e cioè essenzialmente la definizione del suo limite superiore, laddove questa sfuma nel circostante spazio interplanetario del Sistema solare, tiene conto dell'energia potenziale nel campo magnetico terrestre delle molecole ionizzate in agitazione termica.
Questa concezione dell'atmosfera come involucro aeriforme circumterrestre le cui particelle alle alte quote sono controllate dalla Terra geomagneticamente (in quanto ionizzate), è coerente con la struttura assegnata al campo magnetico terrestre ad alta quota in base alle acquisizioni ottenute attraverso misurazioni effettuate mediante strumenti a bordo di satelliti artificiali terrestri e di sonde spaziali. La corona solare esterna ‒ nella quale si trova la Terra, come del resto l'intero Sistema solare ‒ è pervasa da flussi di particelle cariche veloci (protoni ed elettroni) emesse dal Sole; questo cosiddetto vento solare interagisce con il campo magnetico terrestre e lo deforma profondamente. Il limite superiore dell'atmosfera va spostato sulla magnetopausa, superficie che racchiude al suo interno il campo magnetico terrestre, ivi compresso dal vento solare e dal campo magnetico che esso convoglia. L'alta atmosfera terrestre viene dunque a coincidere con la magnetosfera terrestre, struttura la cui forma ricorda grosso modo quella di una cometa caudata, con dimensioni di circa 10 per 200 raggi terrestri, cioè di circa 64.000 km per 1,3 milioni di km. Al di là della magnetopausa le particelle, anche se di origine terrestre, non sono più controllate dalla Terra e quindi non appartengono alla sua atmosfera, mentre all'interno della magnetopausa le particelle, anche se di origine extraterrestre, sono controllate dalla Terra (gravitazionalmente per le particelle neutre delle basse quote ed elettrodinamicamente per le particelle elettricamente cariche delle alte quote) e costituiscono la sua atmosfera.
I caratteri fondamentali dell'atmosfera, in base ai quali è possibile ripartirla in zone, individuate per intervalli di quote, vengono generalmente distinti in strutturali, di composizione, radiativi, dinamici; essi sono dovuti a interazioni che spesso investono altri elementi del sistema terrestre, e cioè la superficie solida, la criosfera, l'idrosfera, la biosfera, e così via. Gli aspetti statistici e le variazioni a lungo termine dei suddetti caratteri sono oggetto di studio da parte della climatologia. (fig. 1)
Il carattere che maggiormente si presta a definire una suddivisione verticale dell'atmosfera è la struttura termica (fig. 2): la temperatura T diminuisce dalla superficie terrestre sino alla tropopausa (8÷15 km di quota) nella regione detta troposfera, aumenta nella stratosfera sino alla stratopausa (ca. 50 km), diminuisce nella mesosfera sino alla mesopausa (ca. 80 km), ove raggiunge il valore minimo, e aumenta cospicuamente nelle sovrastanti termosfera (80÷500 km) ed esosfera (oltre 500 km). Questo andamento si conserva, qualitativamente, al variare della latitudine e delle stagioni.
La troposfera è sede dei comuni fenomeni meteorologici e contiene la maggior parte della massa dell'atmosfera (ca. il 90%); in essa, la circolazione atmosferica è determinata dagli scambi termici e dinamici dell'atmosfera con la superficie terrestre. Tali interazioni, studiate dalla meteorologia, dipendono dalle caratteristiche radiative e di ruvidità della suddetta superficie (marina o solida; con orografia complessa, ecc.), e sono tanto più marcate quanto più ci si avvicina a essa: la struttura verticale dei bassi strati viene ulteriormente distinta definendo lo strato limite planetario, che comprende all'incirca i primi 2 km di quota. I fenomeni dinamici (venti, correnti, turbolenze, moti ondosi) non sono caratteristici della sola troposfera (come si riteneva in passato, da cui il suo nome), e la zona turbolenta (turbosfera) si estende ben oltre: se, come per varie ragioni conviene fare, ci si riferisce alle predette e ormai tradizionali zone termiche, della turbosfera dovrebbero fare parte, oltre alla troposfera, sicuramente la stratosfera (in ciò contraddicendo il suo nome) e anche la mesosfera e la parte inferiore della termosfera, sino a circa 100 km di quota. Il rimescolamento dovuto alla turbolenza fa sì che la composizione della turbosfera non dipenda molto dalla quota: di qui le denominazioni di omosfera data alla turbosfera e di eterosfera data all'atmosfera sovrastante, nella quale la legge esponenziale di dipendenza della densità particellare dalla massa molecolare determina una diffusione selettiva verso le alte quote delle specie molecolari e ioniche più leggere. Nella termodinamica della troposfera svolgono un ruolo importante i cambiamenti di fase dell'H2O, resi manifesti dalle nubi e dalle precipitazioni. Alla tropopausa, dove la diminuzione della temperatura T con la quota si arresta per poi subire una lenta inversione, i bassi valori di T favoriscono la condensazione dell'H2O e ne impediscono la diffusione verso l'alto: la tropopausa e, più in alto, la mesopausa si comportano come trappole per l'H2O.
Con atmosfera media si intende la regione, comprendente la stratosfera e la mesosfera, che grosso modo si estende da 10 a 80 km di quota. Le sue caratteristiche sono una conseguenza principalmente dell'assorbimento della radiazione ultravioletta solare, la quale determina una complessa attività fotochimica e chimica, con connessi effetti di riscaldamento. Questa attività si manifesta con la presenza nell'atmosfera di un gran numero di componenti chimici che, a loro volta (anche se presenti in concentrazioni ridottissime), influiscono sensibilmente sulla penetrazione della radiazione solare: particolarmente importante è l'ozono O3, prodotto dalla fotodissociazione e ossidazione dell'ossigeno molecolare O2.
Il cambiamento della composizione chimica risulta ancora più sostanziale nell'alta atmosfera, dove effetti radiativi e gravitazionali determinano, al crescere della quota, la differenziazione tra componenti pesanti e leggeri, la diminuzione fino alla scomparsa delle specie molecolari, e l'aumento percentuale di ioni ed elettroni liberi, fino alla condizione di pressoché completa ionizzazione del plasma interplanetario. Laddove la percentuale di ionizzazione è tale da influire significativamente sulle caratteristiche fluidodinamiche ed elettromagnetiche, in particolare sull'indice di rifrazione per onde radio, si ha la ionosfera. Come magnetosfera vera e propria si definisce la zona più esterna dell'atmosfera, confinante con il mezzo interplanetario, dove la dinamica è dominata dalla presenza del campo geomagnetico. La disciplina che si occupa dello studio dell'atmosfera a quote dove le variazioni di composizione sono significative prende il nome di aeronomia. Altre denominazioni particolari fanno poi riferimento alla specie molecolare o ionica prevalente o comunque per qualche verso importante: così, nell'atmosfera media si parla di ozonosfera per indicare l'intervallo di quote intorno a 30 km, nel quale l'ossigeno molecolare biatomico si trasforma in ozono a seguito di assorbimento di fotoni ultravioletti della radiazione solare, mentre nell'alta atmosfera si parla di eliosfera per la regione fra circa 500 e circa 1500 km di quota, dove l'elio è la specie prevalente, e di protonosfera per la regione al di sopra di circa 1500 km, dove prevalgono gli ioni H+. Non va peraltro dimenticato che, a parte le zone termiche, le quali hanno una definizione unanimemente accettata e abbastanza precisa, le altre zone hanno definizione ed estensione non unanimemente definite.
L'atmosfera ha proprietà variabili nello spazio e nel tempo, non esprimibili in forma analitica. Nella troposfera, T diminuisce con un gradiente medio di circa 5 K/km, fino a valori di 190÷230 K alla tropopausa. La superficie terrestre si riscalda a causa dell'assorbimento della radiazione solare e cede calore all'aria: la diminuzione troposferica di T è dovuta allo scambio di calore tra superficie e atmosfera, ai moti convettivi che in essa vengono generati e attraverso i quali il calore viene trasportato verso l'alto, all'espansione dell'aria che sale. Nella stratosfera l'andamento di T, moderatamente crescente con la quota, è dovuto, in prima approssimazione, all'equilibrio tra la radiazione solare ultravioletta assorbita nella formazione dell'O3, e la radiazione infrarossa emessa dal gas ambiente. Nella sovrastante mesosfera l'assorbimento è ridotto, T diminuisce e alla mesopausa (ca. 80 km) raggiunge, d'estate, i valori minimi riscontrati nell'ambiente naturale terrestre. A quote superiori, mentre la concentrazione molecolare diminuisce rapidamente, aumenta l'assorbimento dovuto alla dissociazione dell'O2: nell'alta atmosfera si raggiungono temperature di 1000÷2000 K.
La fig. 3 mostra una sezione meridiana del valore medio zonale (mediato lungo i paralleli) di T ai solstizi, da cui si possono apprezzare scostamenti dal valore che si avrebbero in condizioni di semplice equilibrio radiativo, trascurando il trasporto. Per esempio, nella bassa stratosfera invernale T cresce con la latitudine, per poi diminuire; nella mesosfera estiva T è di gran lunga inferiore a quella invernale. Queste notevoli deviazioni da schemi intuitivi sono dovute alla circolazione atmosferica: l'atmosfera si comporta come un grande e complesso motore termodinamico. Dalla fig. 3 si rileva anche la variazione con la latitudine del profilo di T intorno alla tropopausa: ai tropici il minimo è ben definito alla quota di 16÷18 km, scende gradualmente alle latitudini temperate, con una zona di rapida transizione corrispondente al limite delle correnti a getto, dove si abbassa mantenendosi intorno alla quota di 8÷10 km fino alle alte latitudini; a questo punto i profili mostrano un andamento quasi isotermo su un ampio intervallo verticale. La zona di transizione è anche zona di scambi fra troposfera e stratosfera.
Per effetto del vivace rimescolamento, il rapporto tra le concentrazioni dei due gas principali costituenti l'aria, N2 e O2, è praticamente costante tra 0 e 100 km di quota, nell'omosfera; al di sopra, nell'eterosfera, la diffusione molecolare prevale su quella turbolenta, e per effetto del gradiente di pressione si ha la progressiva differenziazione tra componenti pesanti e quelli leggeri. Nell'omosfera, dove la massa molecolare media è costante e pari a 28,97 unità di massa atomica, l'N2 è presente al 78,09% in volume, 75% in massa, l'O2 al 20,95% in volume, 23% in massa (tab. 1). Mentre l'azoto è particolarmente stabile ed esiste praticamente solo nella forma molecolare N2, l'ossigeno è presente, oltre che nella forma O2, anche nelle forme allotropiche O e O3. Molti altri gas secondari sono presenti nell'atmosfera ove, sebbene rappresentino circa l'1% della massa totale, esplicano un ruolo di rilievo, sia per gli effetti termodinamici e radiativi, sia perché possono partecipare a reazioni chimiche o fotochimiche, oppure esserne il prodotto. Indice di attività di un costituente è il tempo di residenza τ, rapporto tra la massa totale del componente e il suo tasso di formazione o di scomparsa per unità di volume; questo può essere dovuto al trasporto oltreché alla chimica; τ è tipicamente funzione della quota. I componenti atmosferici possono essere classificati come: (a) variabili, con τ dell'ordine di giorni o settimane; (b) lentamente variabili, con τ dell'ordine di anni; (c) quasi permanenti.
Le figg. 4A e 4B mostrano i profili medi della concentrazione di vari gas: tra questi, i più importanti, per i loro effetti sul bilancio energetico, sono H2O, CO2, O3. La concentrazione dell'H2O varia, nella troposfera, tra 40 ppm (parti per milione) e alcune migliaia di ppm, e scende a circa 8 ppm nella stratosfera. Il tempo di residenza per l'H2O e altre specie solubili nella troposfera, dove le precipitazioni costituiscono il più importante meccanismo di rimozione, è di circa 10 giorni. È noto il ruolo, di eccezionale importanza, del ciclo idrologico: in questo si evidenziano aspetti primari, come l'evaporazione dagli oceani e dal terreno, l'accumulo nello strato superficiale, le precipitazioni, il deflusso superficiale, che, oltre a costituire meccanismi essenziali del sistema climatico, determinano il riciclo di elementi quali N, S, P.
L'anidride carbonica CO2 è presente con una distribuzione relativamente omogenea, dovuta alla scarsa reattività e al conseguente lungo tempo di residenza. Essa ha un ciclo che la vede partecipe di scambi tra atmosfera, biosfera, idrosfera e Terra solida; svolge un ruolo nella precipitazione del CaCO3 e nella degradazione delle rocce; la si trova nelle emissioni vulcaniche; partecipa ai processi collegati alla fotosintesi e al decadimento della materia organica. Notevole è l'immissione di CO2 come prodotto della combustione: a partire dal secolo scorso, quando era intorno a 270 ppm, la concentrazione di CO2 ha ora raggiunto 379 ppm e aumenta al tasso di oltre 1,9 ppm l'anno. All'aumento medio si sovrappone un'oscillazione annuale, la cui escursione è ampia a nord, progressivamente decrescente lungo l'arco meridiano, praticamente inesistente in Antartide. L'ampiezza dell'oscillazione è dovuta alla maggiore entità e al carattere stagionale delle sorgenti di CO2 nell'emisfero Nord, oltre al modesto e lento scambio esistente tra i due emisferi. L'aumento del contenuto di CO2 riduce la trasparenza dell'atmosfera nell'infrarosso e tende a determinare un aumento della temperatura superficiale terrestre con rilevanti implicazioni sulla tendenza del clima alla variazione.
L'ozono O3 è il prodotto della fotodissociazione e ossidazione dell'O2: è presente in concentrazioni che vanno da circa 5 ppm nella stratosfera a circa 0,05 ppm al suolo. Caratteristico dell'O3 è il ruolo di filtro della radiazione solare nell'ultravioletto vicino, che impedisce a questa di raggiungere la superficie con flussi nocivi per la biosfera. Le reazioni cui è dovuta, in linea di principio, la formazione dell'O3 sono quelle del modello di Chapman. La chimica dell'ozono atmosferico è largamente influenzata dalla presenza di radicali liberi; questi, essendo altamente reattivi, danno luogo a complesse catene di reazione, che si concludono con la riduzione dell'ozono a ossigeno; in particolare, radicali liberi sono prodotti da clorofluorometani o carburi alogenati, la cui utilizzazione industriale si è molto ridotta a seguito di accordi internazionali per ridurre il rischio di assottigliamento dell'ozonosfera, e che lentamente si diffondono nella stratosfera, dove vengono fotodissociati.
Gli aerosol sono particelle le cui dimensioni tipiche variano da meno di 0,1 μm a circa 10 μm e che, conseguentemente, hanno velocità di caduta talmente basse da risultare praticamente sospese. Le particelle più piccole fungono da nuclei (detti di Aitken) nel meccanismo di nucleazione, fase iniziale del processo di condensazione del vapor d'acqua. Gli aerosol possono essere distinti in base alla composizione. Aerosol di H2O possono esistere sia come goccioline liquide, sia come cristalli di ghiaccio: in nubi e nebbie sono in concentrazione elevatissima. Poiché l'H2O può variare di stato, queste particelle non costituiscono una popolazione stabile; al cambiamento di stato corrisponde uno scambio di calore latente, elemento importante nel bilancio energetico delle masse di aria. Aerosol composti da miscele di H2SO4 e H2O sono presenti nella bassa stratosfera con un massimo tra 15 e 20 km di quota. Essi sono il risultato di reazioni in situ che coinvolgono i composti dello zolfo, principalmente SO2, in presenza del radicale OH e della successiva coagulazione dei prodotti di reazione. L'immissione dei reagenti nella stratosfera avviene tramite una continua ma modesta diffusione di gas troposferici (solfuro di carbonile, COS) e l'occasionale, ma talvolta cospicua, immissione di materiale vulcanico, soprattutto SO2, a seguito di violente eruzioni. Il tempo di formazione degli aerosol nella stratosfera è di un paio di settimane, quello di permanenza è di qualche anno. È presente, particolarmente nella bassa troposfera, anche una popolazione di aerosol solidi, o polveri, che hanno origine sia dal suolo per azione del vento, principalmente sulle superfici desertiche, sia dal mare, come aggregati contenenti NaCl portati nell'atmosfera dalla spuma marina, sia, ma in modesta misura, dall'influsso e frammentazione di materiale meteorico, sia dalla combustione. Per le loro proprietà ottiche, gli aerosol contribuiscono significativamente al bilancio radiativo dell'atmosfera e alla formazione di vistosi effetti ottici, quali l'arcobaleno, gli aloni e le corone. Le nubi rappresentano i principali e variabili elementi di controllo dell'albedo planetaria nello spettro visibile, e dell'emissività infrarossa dell'atmosfera. La formazione delle nubi è un fenomeno prettamente troposferico; occorre però menzionare la presenza di nubi a quote stratosferiche nelle zone polari (specialmente in Antartide) d'inverno, e alla mesopausa, a latitudini intorno e oltre 60°, d'estate (nubi nottilucenti).
4. Caratteristiche termodinamiche
I gas presenti nell'atmosfera si comportano in conformità all'equazione dei gas perfetti, sia separatamente sia come miscela. Il volume V occupato da una massa M di gas, ovvero il volume specifico (volume dell'unità di massa) α=V/M o la densità (massa dell'unità di volume) ϱ=1/α sono legati alla pressione p e alla temperatura T (in gradi Kelvin) dalle relazioni:
[1] formula
essendo R* una costante specifica del gas, V* il volume occupato da una mole, M la massa di gas, R la costante universale dei gas (R=MR*=8,31 J K−1 mole−1), n la concentrazione o densità numerica delle molecole (numero di molecole per unità di volume), kB la costante di Boltzmann (kB=R*/n=1,38∙10−23 J K−1). Per un elemento di volume in equilibrio idrostatico, l'incremento differenziale della pressione con la quota z è:
[2] formula
con g accelerazione di gravità. Sostituendo la [2] nella [1], nell'ipotesi che T, g e la composizione siano costanti nell'intervallo di quote considerato e integrando, si ricava un andamento esponenziale della pressione con la quota:
[3] formula
dove H=kBT/(gm) definisce l'altezza di scala e m è la massa molecolare media. In pratica, H varia lentamente in funzione della quota (al suolo, in condizioni standard, H=7,9 km). In base alla [3], la pressione varia di exp(−1)≈37% per una differenza in altezza pari a H; se la densità non variasse, l'intera massa dell'atmosfera sarebbe contenuta in uno strato che si estende dal suolo fino a una quota pari a H. Per un'atmosfera isoterma costituita da una miscela di gas, la pressione totale è la somma delle pressioni parziali dei vari costituenti, ciascuna delle quali varia esponenzialmente, ma con altezza di scala differente; in conseguenza, il rapporto tra le pressioni parziali varia. La gravità provoca una differenziazione con la quota e fa sì che le specie più pesanti siano concentrate in basso. In realtà, com'è stato detto in precedenza, la differenziazione si manifesta al di sopra di 100 km.
L'evoluzione dei campi atmosferici è dovuta a fenomeni dinamici e termodinamici. I primi sono regolati dalla legge fondamentale della dinamica, i secondi dalla prima legge della termodinamica; quest'ultima, tenendo conto del calore specifico a pressione costante cp, si può scrivere:
[4] formula
ovvero nell'equivalente equazione termodinamica dell'energia:
[5] formula
Il primo termine a destra rappresenta la variazione di temperatura dovuta a processi adiabatici, cioè senza scambio di energia, il secondo quella dovuta a processi diabatici.
Si consideri la variazione di T con la quota di una massa d'aria secca in moto adiabatico. Per una trasformazione adiabatica si ha pϱ−γ=cost, ove γ è il rapporto dei calori specifici, che nell'atmosfera, ove l'aria è una miscela di gas biatomici, vale 1,401. Per una massa d'aria secca che si muova adiabaticamente, dalla [4], poiché dQ=0, introducendo l'equazione idrostatica s'ottiene il gradiente adiabatico secco (dTad/dz)=−g/cp≈−10 K/km, in prossimità del suolo. Una massa d'aria umida che si sposti verso l'alto si raffredda espandendosi adiabaticamente, finché non diviene satura: l'ulteriore sollevamento è accompagnato da condensazione, che dà luogo alla liberazione di calore latente, e il gradiente di T risulta meno accentuato di quello adiabatico secco.
Il gradiente verticale della temperatura T è un importante fattore di controllo della stabilità dell'atmosfera, e quindi della rapidità del rimescolamento. L'equilibrio dinamico di una bolla d'aria che si muove adiabaticamente lungo la verticale in un'atmosfera in equilibrio idrostatico dipende dal reale gradiente termico dTatm/dz. Se ∣dTatm/dz∣〈∣dTad/dz∣ (gradiente sottoadiabatico, condizioni di stabilità), la bolla, inizialmente alla stessa temperatura e pressione dell'atmosfera ambiente, spostandosi verso l'alto ed espandendosi adiabaticamente, ha una densità maggiore dell'aria ambiente; pertanto riceve una spinta verso il basso che tende a riportarla nella posizione iniziale con moto oscillatorio (smorzato) caratterizzato dalla frequenza di Brune Väisälä νBN={g[(dTatm/dz) − (dTad/dz)]/T}1/2/(2π). Nel caso opposto (gradiente superadiabatico, condizioni di instabilità) la bolla, accelerata verso l'alto dalla spinta di Archimede, viene a trovarsi in un ambiente a densità maggiore ed è spinta a proseguire. Questa tendenza è responsabile del meccanismo della convezione e del rimescolamento. Di fatto, il mescolamento verticale turbolento, intensissimo in condizioni superadiabatiche, si mantiene anche in condizioni sottoadiabatiche, ma con intensità minore, ed è trascurabile o s'interrompe del tutto in presenza di inversioni (dTatm/dz > 0). Le oscillazioni di cui si è dato un esempio elementare sono comuni nell'atmosfera e nell'oceano, e vengono dette onde interne di gravità. L'energia contenuta in una colonna d'aria in equilibrio idrostatico è solo in parte disponibile ai fini della conversione in energia cinetica. In quelle condizioni il rapporto tra energia potenziale ed energia interna è costante: la loro somma è l'energia potenziale totale. Questa non può essere convertita in energia cinetica in un'atmosfera stabile uniformemente stratificata. Se l'atmosfera viene localmente riscaldata o raffreddata, determinando variazioni nell'energia potenziale totale di una colonna rispetto a un'altra, una frazione di tale energia può divenire disponibile per essere convertita in energia cinetica. L'energia disponibile è data dalla differenza tra l'energia potenziale totale dello stato considerato e l'energia potenziale di uno stato uniformemente stratificato, ottenuto mediante una ridistribuzione della massa attraverso processi adiabatici.
I moti delle masse d'aria sono determinati da forze reali dovute ai gradienti della pressione. Questi hanno origine dai gradienti di temperatura e dalle trasformazioni termodinamiche cui le masse d'aria sono soggette. In un fluido stratificato, un riscaldamento disomogeneo determina celle di circolazione convettiva: il moto produce trasporto del calore dalle zone calde a quelle fredde e tende a compensare le differenze di temperatura.
I moti dell'atmosfera avvengono su varie scale (tab. 2), dalla scala planetaria a quella molecolare. La componente orizzontale della velocità è, in genere, di ampiezza assai maggiore della componente verticale. Nella circolazione generale dell'atmosfera emergono caratteri tipici, quando si calcolino le componenti della velocità la cui giacitura sia lungo i paralleli, ovvero sui piani meridiani. La prima costituisce la circolazione media zonale (fig. 5), l'altra la circolazione media meridiana (fig. 6A e 6B). Anche la precedente fig. 3, dà, in dettaglio, lo schema della circolazione zonale sino a 30 km di quota. I campi della temperatura e del vento sono strettamente interdipendenti; una soluzione approssimata dell'equazione delle forze, la cosiddetta approssimazione geostrofica, consente di mettere in relazione le due variabili. L'apparente discontinuità alla quota della tropopausa, con un forte salto sia di velocità del vento sia di temperatura, segnala la presenza della corrente a getto. Le deviazioni dalle medie zonali o meridiane presentano un carattere di notevole complessità, più accentuato nella troposfera a causa delle irregolarità della superficie e dei contrasti che si hanno negli scambi tra suolo e atmosfera. Mediante l'analisi armonica vengono poste in evidenza nella struttura orizzontale della circolazione onde lunghe, dette onde planetarie, tra le quali sono caratteristiche le onde di Rossby. Riguardo alla circolazione generale, troposferica e stratosferica, interessano aspetti specifici, quali la dinamica delle circolazioni medie e dei moti ondosi a grande scala e l'interazione tra moti medi e onde, con intenti anche di previsione climatologica. Tra le oscillazioni a grande scala si menzionano le maree atmosferiche, risultato dell'azione forzante sia del campo gravitazionale del Sole e della Luna sia del riscaldamento indotto dalla radiazione solare. Nella scala sinottica, le cui dimensioni sono di qualche migliaio di chilometri, vengono normalmente effettuate le analisi dai Servizi meteorologici e l'interesse è rivolto soprattutto alla previsione dei fenomeni meteorologici troposferici. Di minore dimensione sono la mesoscala, dell'ordine del centinaio di chilometri, e la scala locale, con dimensioni tipiche di un'area urbana o industriale. L'analisi fisico-matematica si basa sull'utilizzazione di sistemi di equazioni che esprimono i principî di conservazione della massa (equazione di continuità), delle quantità di moto (equazione delle forze), del momento angolare (equazioni della vorticità), dell'energia, sia nella loro forma primitiva, sia in forme che consentono di evidenziare una fenomenologia specifica. Alla parte dinamica dei modelli possono esssere associate parti che trattano gli effetti radiativi e chimici.
I moti dell'atmosfera determinano il trasporto del calore, dei componenti secondari, della quantità di moto, ecc.: il trasporto si effettua in due modi diversi. Siano U(t) la componente della velocità in una direzione assegnata e N(t) una certa proprietà, per esempio, la concentrazione di un componente. Queste grandezze possono essere espresse come somme di una quantità media e di una variabile: N(t)=〈N〉+N′(t), U(t)=〈U〉+U′(t).Il flusso istantaneo di N attraverso una superficie unitaria normale a U è dato dal prodotto NU, mentre il flusso medio può essere espresso dalla relazione 〈NU〉=〈(N+N′)(U+U′)〉=〈N〉〈U〉+〈N′U′〉. I due termini a destra rappresentano i contributi, rispettivamente, del moto d'insieme del fluido (avvezione) e delle fluttuazioni (diffusione). La diffusione può esplicarsi attraverso moti disordinati a varie scale (diffusione turbolenta), e, alla scala più piccola, attraverso moti molecolari disordinati di origine termica (diffusione molecolare). Nella circolazione generale prevalgono i termini del primo tipo nelle zone tropicali, quelli del secondo a latitudini più alte.
A causa del diverso apporto di calore da parte della radiazione solare, le zone equatoriali sono più calde di quelle polari: l'aria, riscaldatasi a contatto con la superficie, viene sospinta verso l'alto, spostandosi quindi verso zone a latitudine più elevata ove cede calore alla superficie, ripercorrendo a bassa quota un percorso che la riporta nelle zone equatoriali. Le celle di Hadley, una per ciascun emisfero, si estendono di fatto non oltre i tropici, a causa della crescente importanza della forza di Coriolis. Nella zona equatoriale, la circolazione ha un modesto grado di variabilità e i suoi caratteri medi risultano ben evidenti e rappresentativi. A latitudini più elevate, i campi della velocità sono invece caratterizzati da un notevole grado di variabilità spaziale e temporale, che si traduce nella pratica incapacità di prevedere il tempo meteorologico al di là di una o due settimane, e nella relativa imprecisione delle previsioni anche a tempi più ravvicinati. In un'ulteriore schematizzazione, secondo il modello di Bergeron e Rossby, la circolazione planetaria media viene suddivisa, per ogni emisfero, in tre celle fondamentali, dette di Hadley, di Ferrel e polare, che si estendono, rispettivamente, alle zone tropicali, a quelle temperate e a quelle polari, determinandone il regime dei venti e, in generale, il clima (fig. 7). Si riconoscono effettivamente, nella circolazione meridiana, ad altezze troposferiche, le celle di Hadley, di Ferrel e polari. Relativamente alla circolazione zonale schematizzata nella fig. 5, nella troposfera si nota un progressivo aumento della velocità dall'equatore verso le zone temperate con la formazione di due correnti a getto nell'alta troposfera, in corrispondenza della zona ove la tropopausa (fig. 2) cambia bruscamente di quota. Nella troposfera, alle latitudini temperate, la circolazione media zonale è tutta da occidente. Nell'atmosfera media, cioè al di sopra della tropopausa, si hanno due vortici centrati approssimativamente ai poli, il cui verso di circolazione s'inverte, essendo da occidente in inverno (locale) e da oriente in estate: le velocità raggiungono i valori massimi ad altezze mesosferiche, con la formazione di due correnti a getto. In corrispondenza delle tre celle i venti prevalenti al suolo provengono, rispettivamente, da est, ovest, est. Con riferimento alla fig. 7, a partire dall'equatore, ove si ha una zona di convergenza con innalzamento dell'aria calda, si ha una fascia di venti orientali (alisei), poi una zona di calme, quindi una fascia di venti occidentali caldi; nella zona più settentrionale si hanno venti orientali freddi; l'incontro tra questi due flussi determina la formazione del fronte polare e, in generale, condizioni d'instabilità. Questa classica schematizzazione introduce qualitativamente i caratteri medi essenziali della circolazione generale troposferica.
L'andamento dei venti zonali e l'alternanza nella direzione di provenienza mostra peculiari oscillazioni a quote stratosferiche nelle zone equatoriali.
Se si considera un volume contenente una massa unitaria d'aria, in moto con velocità U rispetto a un riferimento fisso alla Terra, l'azione delle forze cui è soggetta la massa d'aria è regolata dalla legge fondamentale della dinamica, per la quale, in un riferimento inerziale, la risultante delle forze applicate è in ogni istante eguale all'accelerazione propria della massa. In un riferimento fisso alla Terra rotante, per conservare la forma dell'equazione delle forze occorre introdurre tra le forze applicate quella di Coriolis e modificare il valore della forza gravitazionale per tener conto della forza centrifuga. In tale riferimento si può scrivere l'equazione delle forze per unità di massa nel modo seguente:
[6] formula
I termini esplicitamente introdotti nella parte destra della [6] sono la forza di Coriolis −2Ω×U (ove Ω è la velocità angolare di rotazione della Terra), la forza dovuta al gradiente della pressione ∇p, la forza di gravità g; F indica genericamente la risultante di tutte le altre forze reali in gioco sull'unità di massa, tra le quali rivestono particolare importanza quelle dovute alla viscosità e all'attrito. Se il mezzo fosse conduttore, come avviene nella ionosfera e nella magnetosfera, si dovrebbero includere nella F anche le forze dovute all'azione dei campi elettrici e magnetici.
La fonte energetica primaria dei processi atmosferici è la radiazione solare: la Terra è in una situazione di sostanziale equilibrio energetico tra flussi radiativi entranti e uscenti. La radiazione elettromagnetica nell'atmosfera è in parte di origine solare, in parte di origine planetaria, nel senso che la superficie terrestre e l'atmosfera stessa emettono radiazione termica. Lo spettro dell'energia emessa dalla superficie terrestre può essere approssimato a quello di corpo nero: alla temperatura di 300 K, la sua distribuzione spettrale ha un massimo nell'infrarosso, intorno alla lunghezza d'onda di 10 μm. La radiazione atmosferica ha forti caratteri di anisotropia; a tale proposito, si distinguono campi di radiazione solare rispettivamente diretta e diffusa, dovuto quest'ultimo alla riflessione e alla diffusione della radiazione solare al suolo e nell'atmosfera. Il campo della radiazione planetaria è diffuso. La radiazione diffusa può essere notevolmente anisotropa (flussi entranti e uscenti).
Gli aspetti più rilevanti di questa fenomenologia sono i seguenti: (a) l'assorbimento della radiazione solare ultravioletta nell'atmosfera e i connessi fenomeni fotochimici, quali la fotodissociazione e la fotoionizzazione, che comportano la progressiva modificazione della composizione con la quota, la formazione dell'ozonosfera e della ionosfera, e il riscaldamento dell'atmosfera media e alta; (b) l'assorbimento e la riflessione della radiazione visibile alla superficie terrestre e nell'oceano, con il risultante riscaldamento e i connessi fenomeni termodinamici e meteorologici della troposfera; (c) la diffusione della radiazione, soprattutto nello spettro visibile, che influenza notevolmente i flussi entranti e uscenti; (d) l'assorbimento e l'emissione della radiazione infrarossa alla superficie terrestre e nell'atmosfera, che modificano le caratteristiche termiche dell'atmosfera e della superficie.
Nonostante il massimo della curva di distribuzione spettrale di corpo nero a 300 K cada in una zona in cui l'atmosfera è abbastanza trasparente, buona parte della radiazione emessa dalla superficie terrestre viene assorbita dall'atmosfera e sottratta al flusso uscente. A sua volta, però, l'atmosfera assorbente riemette radiazione alla sua temperatura e in corrispondenza delle proprie bande di emissione; una parte dell'energia viene restituita alla superficie, l'altra si perde nello spazio. Come risultato, la superficie terrestre viene mantenuta a una temperatura superiore a quella che avrebbe in assenza di atmosfera: questo processo si dice effetto serra.
L'emissione di radiazione da parte dei gas atmosferici può essere calcolata sulla base delle proprietà del corpo nero. Il flusso radiante monocromatico emesso in modo isotropo da un volumetto dV di gas può essere scritto come jλove jλ è il coefficiente spettrale di emissione. All'equilibrio termodinamico, assumendo che la potenza radiativa emessa e quella assorbita dal volumetto dV nello stesso intervallo di lunghezza d'onda siano eguali, si ricava la relazione (di Kirchhoff) tra i coefficienti spettrali di emissione e di assorbimento jλ/kλ,a=4Bλ(T), dove Bλ(T) è la radianza monocromatica di corpo nero. L'ipotesi di equilibrio termodinamico in senso stretto comporta l'omogeneità e l'isotropia del mezzo. Poiché, di regola, l'atmosfera è perlomeno anisotropa, si fa riferimento al cosiddetto equilibrio termodinamico locale, ove la legge di Kirchhoff si ritiene valida ma la diffusione della radiazione può non essere trascurabile e il campo radiativo non essere isotropo. Se il mezzo, oltre ad assorbire, emette radiazione, la forma dell'equazione del trasporto si modifica: trascurando la diffusione e facendo uso della legge di Kirchhoff, risulta che uno strato di atmosfera si comporta come una sorgente di corpo nero di radianza B(T)dσa, essendo dσa lo spessore ottico dello strato; nell'attraversare quest'ultimo, un fascio di radianza L subisce una riduzione pari a −Ldσa e un incremento pari a Bdσa.
Per uno spessore ottico notevole, un'atmosfera isoterma vista dall'esterno si comporta come un corpo nero. Nelle zone ove l'atmosfera non è otticamente densa, al contributo della radiazione atmosferica si somma il contributo della radiazione superficiale, che, anche se attenuato, riesce ad attraversare l'atmosfera. Per un profilo della temperatura atmosferica T(z) e una temperatura superficiale Tsup la radianza monocromatica uscente verticalmente dall'atmosfera risulta:
[7] Ll =∫0σλ,a(max)Bλ(T)exp(−σλ,a)dσλ,a+Bλ(Tsup)exp(−σλ,a).
I due termini a destra rappresentano, rispettivamente, gli effetti dell'emissione atmosferica e dell'emissione superficiale: quanto più lo spessore ottico dell'atmosfera aumenta, tanto più aumenta la sua emissione, mentre diminuisce il contributo della superficie. Con strumenti a bordo di satelliti, la dipendenza della radiazione uscente dalla lunghezza d'onda consente di determinare, con buona precisione, la temperatura della superficie e un profilo di massima della temperatura atmosferica.
La fig. 8 mostra il fattore di assorbimento lungo la verticale dell'atmosfera gassosa nello spettro da 1 a 15 μm, separatamente per i vari gas e complessivamente: l'atmosfera è poco assorbente in alcune finestre spettrali tra 1 e 5 μm, e in due ampie regioni tra 8 e 9,5 e tra 10 e 12,5 μm.
Stratosfera e mesosfera, in prima approssimazione, sono in equilibrio radiativo. I diversi componenti atmosferici si comportano alcuni in modo da riscaldare il gas ambiente, altri in modo da raffreddarlo. La fig. 9 indica il tasso di riscaldamento in funzione della quota tra 10 e 80 km, espresso in K/giorno; questo è l'incremento di temperatura che si avrebbe in un giorno nel volume di gas se il riscaldamento avvenisse a pressione costante e rappresenta il termine adiabatico della [5]. La fig. 9 indica, nella parte destra, il tasso di riscaldamento netto; nella parte sinistra i contributi parziali, positivi o negativi, cioè di riscaldamento o raffreddamento, dei vari costituenti. Si nota un contributo, sempre positivo, dovuto all'assorbimento della radiazione solare nel processo di formazione dell'O3, e contributi prevalentemente negativi del CO2 nella banda a 15 μm e dell'H2O nelle bande rotazionali, e dell'O3 nella banda a 9,6 μm. Non è considerata la presenza degli aerosol, che possono dare un sensibile apporto al riscaldamento in occasione di eruzioni vulcaniche e della conseguente immissione di materiale particolato nella stratosfera.
Per i principali gas atmosferici, nello spettro visibile, la diffusività (misurata dalla sezione d'urto di diffusione) risulta inversamente proporzionale alla quarta potenza della lunghezza d'onda: la luce solare viene prevalentemente diffusa nella zona blu dello spettro, ove la sezione d'urto molecolare è maggiore. Questo è il motivo per cui guardando il cielo ad angoli grandi rispetto al Sole, condizione nella quale si vede la sola componente diffusa, il cielo appare blu; viceversa, guardando in direzione del Sole, quando questo è prossimo all'orizzonte, la radiazione solare diretta, impoverita dalle componenti di lunghezza d'onda minore durante il lungo percorso nella bassa atmosfera, fortemente diffondente, risulta impoverito della componente blu e appare quindi di colore tendente al rosso. Alla risonanza, la sezione d'urto di diffusione aumenta considerevolmente. Relativamente all'effetto che sulla diffusione hanno le risonanze, sono poche le specie atmosferiche per le quali si hanno risonanze nello spettro visibile: si menziona il sodio presente nell'alta atmosfera, a causa dell'ablazione dei meteoriti, le cui righe a λ=589,0 nm e λ=589,6 nm sono osservabili spettroscopicamente appunto in virtù dell'aumentata diffusione risonante della luce solare. Nella diffusione da parte degli aerosoli, le cui dimensioni tipiche sono paragonabili alle lunghezze d'onda λ della luce solare visibile, la radiazione incidente produce sulla loro superficie e all'interno un sistema di correnti elettriche; ciò, a sua volta, determina all'esterno un campo elettrico diffuso variabile in funzione della lunghezza d'onda e della direzione; il campo diffuso è un campo di dipolo quando le particelle sono piccole rispetto a λ.
Quando si hanno insiemi di particelle eguali distribuite a caso, e se lo spessore ottico complessivo è piccolo, vale l'ipotesi di diffusione per urto singolo: si suppone che i fotoni della radiazione diffusa ricevuta dall'osservatore subiscano, nel percorso sorgente-osservatore, una sola collisione con le particelle del mezzo. In tal caso, la sezione d'urto di un insieme di N particelle è pari a N volte la sezione d'urto di una singola particella. Il caso più semplice è la diffusione di Rayleigh, dovuta a particelle molto piccole distribuite a caso. Se il mezzo è denso, si è in condizioni di diffusione multipla: nel percorso sorgente-osservatore un fotone può subire molte collisioni, e la distribuzione della radiazione diffusa dipende in modo non semplice dalle caratteristiche delle particelle.
Anthes 1975: Anthes, Richard e altri, The atmosphere, New York, Merrill, 1975.
Banks, Kockarts 1973: Banks, Peter M. - Kockarts, Gaston G., Aeronomy, New York, Academic Press, 1973.
Bengtsson 2003: Bengtsson, Thomas - Snyder, Chris - Nychka, Doug, Toward a nonlinear ensemble filter for high-dimensional systems, "Journal of geophysical research", 108, 2003, p. 8775.
Di Sarra 2002: Di Sarra, Alcide e altri, Effects of desert dust and ozone on the ultraviolet irradiance at the Mediterranean island of Lampedusa during PAUR II, "Journal of geophysicalresearch", 197, 2002, p. 8135.
Di Sarra 2002: Di Sarra, Alcide e altri, Lidar observations of polar stratospheric clouds over northern Greenland in theperiod 1990-1997, "Journal of geophysical research",107, 2002, p. 4152.