RESPIRATORIO, APPARATO (lat. sc. apparatus respiratorius; fr. appareil respiratoire; sp. aparato respiratorio; ted. Atmungsapparat; ingl. respiratory apparatus)
Comprende gli organi destinati alla respirazione (v.) e alla fonazione (v. voce); e risulta dei polmoni e delle vie respiratorie, compresa la bocca (v.; e v. digerente, apparato).
Generalità. - Tutti i tessuti del corpo umano per alimentare i processi più o meno vivi di combustione prodotti dalla loro attività non prendono direttamente l'ossigeno dall'ambiente esterno, ma lo sottraggono al sangue arterioso circolante, al quale cedono una corrispondente quantità di anidride carbonica; questo processo, per il quale il sangue arterioso si trasforma in venoso, costituisce quella specie di respirazione, che si dice interna. Alla sua volta il sangue divenuto venoso cede all'ambiente esterno l'anidride carbonica e ne assume l'ossigeno, divenendo nuovamente arterioso e compiendo quella specie di respirazione, che si dice esterna. Alla respirazione esterna provvedono, oltre la cute, un complesso di organi i quali hanno l'ufficio di stabilire un intimo rapporto tra il sangue venoso e il mezzo esterno e col loro insieme formano l'apparato respiratorio: questo apparato è diversamente costituito a seconda che l'animale respira nell'acqua o nell'aria. La respirazione acquatica si compie per mezzo di organi detti branchie, che si ritrovano in molti Invertebrati e nei Pesci. La respirazione aerea si compie o per mezzo di trachee, le quali costituiscono un ulteriore perfezionamento della respirazione cutanea (Insetti), o per mezzo di polmoni, come avviene nei Mammiferi, negli Uccelli, nei Rettili e negli Anfibî dopo la metamorfosi. Nei polmoni, che sono la sede degli scambî respiratorî tra sangue ed aria, si verificano due condizioni importanti per il compiersi di tale funzione, cioè si ha un aumento enorme della superficie, corrispondentemente alla quale sangue ed aria si mettono in rapporto, e si ha un assottigliamento notevole del mezzo interposto tra l'aria e il sangue, condizione che rende lo scambio più facile. Ma i polmoni, pur essendo gli organi fondamentali della respirazione, hanno bisogno del sussidio di altri organi, che permettano l'accesso dell'aria e che perciò si dicono aeriferi; e questi sono: il naso, la faringe, la laringe, la trachea e i bronchi. Occorre inoltre un continuo rinnovamento dell'aria contenuta nell'albero respiratorio e tale rinnovamento è ottenuto per mezzo dei movimenti respiratorî prodotti dall'attività di determinati muscoli e resi più agili dalle pleure, che fanno anch'esse parte dell'apparato respiratorio. Di tutti questi organi, solo la faringe non viene descritta insieme con quelli respiratorî, perché fa parte integrante dell'apparecchio digestivo; perciò nell'apparato respiratorio vanno descritti: il naso, la laringe, la trachea, i bronchi, i polmoni e le pleure.
Cenni embriologici. - L'albero respiratorio è un derivato dell'intestino cefalico: nella parete ventrale di questo compare dapprima un'estroflessione in forma di doccia longitudinale, indi la parte caudale di questa doccia si separa dal tubo intestinale e forma così un diverticolo tubulare terminato a fondo cieco, il quale decorre innanzi all'abbozzo esofageo, parallelamente a esso e nella sua estremità cefalica continua a comunicare col tubo digerente per mezzo di una fessura, detta aditus laryngis. Questo diverticolo tubulare impari, che rappresenta il primo abbozzo della laringe e della trachea, nella sua estremità caudale dà origine a due estroflessioni laterali, una destra e una sinistra, che costituiscono l'abbozzo dei corrispondenti bronchi: questi si avanzano in quella parte della cavità generale del corpo, che viene chiamata recesso polmonare e che è destinata a trasformarsi più tardi nella cavità pleurale. In seguito l'abbozzo del bronco destro emette dalla sua estremità libera tre diverticoli, quello del bronco sinistro ne emette due: questi diverticoli alla loro volta ne emettono altri più piccoli, che si dividono e suddividono ripetutamente e con il loro insieme formano l'albero bronchiale. Le ultime ramificazioni dette bronchioli dànno origine ai dotti alveolari, che terminano con piccole dilatazioni chiamate infundiboli. Tutta questa arborizzazione di natura epiteliale è circondata da mesenchima addensato, il quale dà origine alla parte connettivale del polmone. L'estremità anteriore del primitivo abbozzo tracheale presenta in seguito notevoli modificazioni e si trasforma nella laringe.
Anatomia umana.
Naso (cavum nasi). - Le cavità o fosse nasali sono due condotti anfrattuosi, che decorrono paralleli e sono separati l'uno dall'altro per mezzo del setto nasale; anteriormente comunicano con l'esterno per mezzo delle narici (nares), posteriormente si aprono nella parte più alta della faringe, faringe nasale, per mezzo delle coane (meatus nasopharyngeus). La parete laterale di ciascuna cavità nasale presenta tre ripiegature della mucosa, sostenute da uno scheletro osseo, alle quali fu dato il nome di conche (concha) o cornetti nasali. Le conche si dirigono dapprima medialmente, indi si ripiegano verso il basso e sono distinte in superiore che è la più piccola, media e inferiore, che è la più grande; gli spazî da queste delimitati si dicono meati: ufficio di tali formazioni è quello di aumentare la superficie della mucosa nasale. La mucosa, che riveste la parte più alta delle fosse nasali, ha la funzione olfattoria e presenta un colorito grigiastro: quella che riveste la parte sottostante, ha la funzione respiratoria e presenta un colorito rosso violaceo a causa di un ricco plesso venoso che essa contiene; questi plessi hanno l'ufficio di riscaldare l'aria che deve penetrare nell'albero respiratorio. La mucosa nasale presenta un epitelio cilindrico vibratile e numerose ghiandole tubulo-alveolari, il cui secreto la mantiene sempre umida e trattiene una parte del pulviscolo contenuto nell'aria inspirata, rendendola così più pura. In alcuni individui, la mucosa delle conche e talora anche il loro scheletro s'ipertrofizza e restringe notevolmente le cavità nasali producendo la stenosi nasale: quando questa è molto pronunciata costringe il soggetto a respirare con la bocca. In certi Mammiferi, come nel cavallo, la respirazione non può compiersi che attraverso il naso (v. naso).
Laringe (larynx). - La laringe, oltre alla funzione comune con gli altri organi aeriferi, ha pure un ufficio speciale, servendo come organo della fonazione: è situata sulla linea mediana del collo, sotto l'osso ioide, avanti la parte inferiore della faringe e la 4ª, 5ª e 6ª vertebra cervicale, dietro i muscoli sottoioidei; in basso si continua con la trachea. Risulta formata da uno scheletro cartilagineo, dai muscoli laringei e dalla mucosa laringea (v. laringe).
Trachea (trachea). - La trachea è un tubo situato innanzi all'esofago, insieme con il quale percorre verticalmente la parte inferiore del collo e poi scende nel torace, ove termina a livello della quinta vertebra toracica, dividendosi in due rami laterali, che sono i bronchi: per un mezzo circa della sua lunghezza è situata nel collo, per il resto nel torace. La trachea è cilindrica, ma nella sua faccia dorsale è appiattita, in modo che la sua sezione presenta la forma di una D: è lunga circa 12 cm. nel maschio adulto, 10 nella femmina; ha un diametro trasverso di circa 20 mm. A differenza dell'esofago, la trachea rimane costantemente beante, perché le sue pareti sono sostenute da uno scheletro formato da 16-20 anelli di cartilagine ialina; questi anelli non sono completi, poiché ne manca la parte dorsale per circa un quinto della loro periferia: gli anelli sono immersi in una tonaca fibrosa continua per tutta la trachea, che li mantiene collegati tra loro. Su tutta la parete dorsale della trachea, dove manca il tessuto cartilagineo, al davanti della tonaca fibrosa v'è una banda muscolare formata da fibre lisce a direzione trasversale: questo tessuto muscolare, che con il suo insieme costituisce il muscolo tracheale, è teso tra le estremità posteriori degli anelli tracheali; contraendosi avvicina queste estremità e restringe il lume tracheale. La mucosa che tappezza internamente la trachea è rosea pallida; è rivestita da un epitelio cilindrico vibratile stratificato con cellule caliciformi e contiene molte ghiandole tubulo-alveolari mucose e tubulari ramificate sierose.
Bronchi (bronchi). - Dall'estremità inferiore della trachea nascono i due bronchi, uno destro e uno sinistro: ciascuno di questi si dirige verso il corrispondente polmone, vi penetra attraversandone l'ilo e dà origine a numerose serie di ramificazioni, il cui complesso costituisce l'albero bronchiale: colando nella trachea una massa liquida capace di solidificarsi e distruggendo poi con alcali o con acidi la sostanza organica, si può ottenere lo stampo di questo albero. Per comodità di studio i bronchi si possono dividere in extrapolmonari e intrapolmonari.
a) I due bronchi extrapolmonari, divergendo con un angolo variabile, si dirigono verso il basso e l'esterno: il destro è più largo, ma più breve, e ha una direzione più vicina alla verticale, per cui più facilmente vi possono giungere i corpi estranei penetrati nella trachea: ogni bronco è accompagnato dai corrispondenti vasi polmonari, che gli stanno innanzi. Questi bronchi hanno la stessa struttura della trachea e quello destro presenta 6-8 anelli cartilaginei incompleti, quello di sinistra 9-12.
b) Ogni bronco intrapolmonare si dirige obliquamente verso il basso, verso l'esterno e verso l'indietro per terminare in vicinanza della base del polmone: durante il suo percorso presenta una divisione monopodica, cioè emette rami collaterali, che vengono detti primarî e distinti in ventrali e dorsali: questi alla loro volta emettono rami collaterali più piccoli, detti secondarî, finché per successive ramificazioni si giunge a rami molto piccoli detti bronchioli terminali: in vicinanza della base del polmone la ramificazione monopodica non è più netta, anzi i rami sembrano nascere dicotomicamente. Il primo ramo bronchiale destro, destinato al lobo polmonare superiore, sta al disopra dell'arteria polmonare e ha avuto perciò il nome di epiarterioso. Nel polmone sinistro tutte le ramificazioni bronchiali sono ipoarteriose. I bronchi intrapolmonari hanno una struttura che rassomiglia a quella degli extrapolmonari, però lo scheletro cartilagineo con il diminuire del loro calibro cessa dal formare degli archi e si presenta sotto la forma di pezzi laminari, il cui spessore diminuisce proporzionatamente al calibro bronchiale, finché nelle ramificazioni il cui diametro si avvicina al millimetro sparisce ogni traccia di cartilagine. Col cessare della disposizione ad anello incompleto della cartilagine i rami bronchiali assumono una forma regolarmente cilindrica. Le cartilagini bronchiali sono incluse in uno strato connettivale fibroso ricco di fibre elastiche e internamente a questo strato ve n'è uno di fibre muscolari lisce, non completo, ma a disposizione reticolata. L'epitelio nei rami bronchiali di calibro inferiore a 2 mm. diviene cilindrico vibratile semplice con molte cellule caliciformi. Le ghiandole di questi bronchi, che sono tubulose ramificate, cessano insieme con le cartilagini.
Polmoni (pulmones). - I polmoni sono due, uno destro e uno sinistro; nella sua più semplice espressione ogni polmone si può considerare come un sacco comunicante con l'esterno, capace di dilatarsi e restringersi periodicamente in modo da rinnovare continuamente il suo contenuto aereo. Le pareti del sacco sono occupate da una ricchissima rete capillare e il sangue, che vi circola, assorbe l'ossigeno dell'aria contenuta nel sacco e le cede anidride carbonica. Negli Anfibî e nei Rettili, animali eterotermi, nei quali gli scambî respiratori sono poco vivaci, si trova la forma semplice di sacco; negli Uccelli e nei Mammiferi, animali a temperatura propria e costante, gli scambi respiratorî sono molto più vivaci e quindi occorre un grande aumento della superficie respiratoria: a tal uopo il sacco unico è sostituito da un numero veramente enorme di sacchetti microscopici, detti alveoli polmonari.
I polmoni dell'uomo sono due organi, molli, spugnosi, elastici, che occupano le due metà destra e sinistra della cavità toracica, adattandosi alla forma di questa, separati l'uno dall'altro per uno spazio detto cavità mediastinica, cavum mediastini, nel quale si trovano organi molto importanti, come il cuore, la trachea, l'esofago, l'aorta, il dotto toracico, ecc. Ciascun polmone ha la forma di un mezzo cono e presenta una base concava, che sta in rapporto e si modella sulla forma della cupola diaframmatica e si chiama faccia diaframmatica; una faccia esterna convessa corrispondente alla faccia interna delle costole e detta faccia costale; una faccia mediale incavata, detta mediastinica, e un apice alquanto tronco che viene a sporgere nella regione sopraclavicolare. Nella faccia mediale a circa metà di altezza, ma più vicino al margine posteriore che all'anteriore, vi è l'ilo, in corrispondenza del quale penetrano nel polmone il bronco e i vasi afferenti e ne escono i vasi efferenti. La superficie del polmone coperta dalla pleura viscerale ci presenta una profonda scissura obliqua dall'alto al basso e dall'indietro all'innanzi: nel polmone sinistro si ha questa sola scissura, che lo divide in due lobi, uno superiore e uno inferiore. Nel polmone destro invece dalla parte media di questa scissura, che è distinta col nome di principale, se ne stacca un'altra meno profonda, diretta verso l'innanzi quasi orizzontalmente e chiamata scissura secondaria: così il polmone destro rimane diviso in tre lobi distinti coi nomi di superiore, medio e inferiore. Ogni lobo si presenta diviso in campi poligonali del diametro un po' inferiore a un centimetro, ciascuno dei quali corrisponde alla base di un lobulo polmonare. Col crescere degli anni la limitazione dei lobuli diviene più netta per il deposito, che avviene lungo i loro confini, di polveri colorate assorbite con la respirazione. Vi è un rapporto tra la divisione del polmone in lobi e la ramificazione bronchiale: così, per esempio, il bronco destro appena attraversato l'ilo emette il ramo bronchiale epiarterioso, che si distribuisce a tutto il lobo superiore; segue poi un ramo ventrale destinato al lobo medio, mentre i successivi rami ventrali e tutti i dorsali si distribuiscono al lobo inferiore. Mancando nel polmone sinistro il bronco epiarterioso, che si rinviene a sinistra solo in pochi Mammiferi (cavallo, foca, delfino), i due polmoni dell'Uomo non sono simmetrici e il polmone destro ha un'area respiratoria superiore a quella del sinistro.
Le ultime ramificazioni bronchiali, il cui calibro è appena superiore a un millimetro, decorrono tra i lobuli e si dicono perciò interlobulari: divenute più sottili penetrano nei lobuli e si dicono intralobulari: ciascun ramo intralobulare, che forma il peduncolo di un lobulo, si divide in una decina di esili condotti chiamati bronchioli terminali finché hanno le pareti lisce, bronchioli respiratorî quando sulle loro pareti comincia ad apparire qualche alveolo. Ogni bronchiolo respiratorio finisce con una piccola dilatazione, detta vestibolo, e da questa partono 3-6 condottini alveolari ciascuno dei quali termina a fondo cieco con una dilatazione chiamata infundibulo. Le pareti di queste formazioni sono interamente costituite da alveoli.
Pleure (pleurae). - Con il completarsi della formazione del diaframma la cavità pleuroperitoneale viene divisa in una parte inferiore, che accoglie i visceri addominali e costituisce la cavità peritoneale, e in due parti superiori, che accolgono i polmoni e formano le cavità pleurali, una destra e una sinistra. Per pleura intendiamo quel foglietto sieroso ehe riveste la superficie del polmone e che in corrispondenza dell'ilo s'inflette per tappezzare la parete della corrispondente cavità emitoracica. Perciò in ogni pleura dobbiamo distinguere un foglietto interno, che riveste il polmone e che si dice pleura viscerale, e un foglietto esterno, che riveste la faccia interna dell'emitorace e costituisce la pleura parietale. I due foglietti in corrispondenza del peduncolo polmonare si continuano l'uno con l'altro rivestendo gli elementi del peduncolo. Tra i due foglietti esiste una cavità virtuale, essendo scarsissimo il liquido che bagna le due pleure e che ha l'ufficio di facilitare lo scorrimento dell'una sull'altra; ma in casi patologici questo liquido può aumentare notevolmente, come avviene nella pleurite essudativa. Nella pleura parietale possiamo distinguere tre porzioni: una laterale, che sta in rapporto con le costole e si dice pleura costale, una inferiore in rapporto con il diaframma, pleura diaframmatica, una mediale, limitante la cavità mediastinica, detta pleura mediastinica; la parte anteriore della pleura mediastinica, la quale si mette in rapporto con il pericardio, si dice pleura pericardica. La pleura costale si continua con la diaframmatica per mezzo di un angolo molto acuto, specialmente nella parte dorsale, e forma così una doccia assai ristretta, alla quale fu dato il nome di seno costodiaframmatico: in questo, per la legge della gravità, comincia a raccogliersi il liquido nella pleurite essudativa. L'apice della pleura parietale, che sporge nella regione sopraclavicolare e non si mette in rapporto diretto con lo scheletro, è mantenuto sollevato per mezzo di un complesso muscololegamentoso detto apparecchio sospensore della pleura.
Fisiologia.
La parola respirazione nel suo più largo significato indica la funzione per cui le cellule di un organismo vivente assumono l'ossigeno necessario a quelle reazioni ossidative che sono la base del ricambio energetico, ed eliminano l'anidride carbonica, ultimo prodotto gassoso dell'ossidazione. La respirazione presenta dunque due fasi che negli esseri unicellulari e inferiori hanno luogo, senza necessità di meccanismi speciali, per processi di assorbimento ed eliminazione fra le cellule e l'ambiente esterno; ma negli organismi più complicati, lo spessore degli ammassi cellulari, alcuni dei quali costituiscono organi interni, rende necessarî meccanismi e apparati appositi che mettano in contatto le cellule con l'ambiente esterno e facilitino lo scambio dei gas.
Tali meccanismi sono diversi nelle diverse classi di animali, ma i principali tipi che possiamo distinguere sono: 1. l'apparato tracheale degl'Insetti, consistente in un sistema di tubi aerei che si distribuiscono con le loro ultime ramificazioni nella compagine dei tessuti, apportandovi l'aria che viene ricambiata mercé adatti movimenti; 2. l'apparato branchiale dei Pesci, consistente in organi a larga superficie su cui l'acqua si ricambia rapidamente, e in cui lo scambio gassoso avviene fra l'acqua e il sangue che irrora abbondantemente le branchie stesse; 3. l'apparato polmonare di tutti gli altri animali (polmonati) compreso l'uomo.
Sia nei branchiati, sia nei polmonati si suole distinguere la respirazione esterna che è lo scambio gassoso che si compie fra il sangue e l'ambiente esterno nelle branchie e nei polmoni, dalla respirazione interna che è lo scambio fra il sangue e i tessuti. Tale distinzione non è solo di sede ma di natura, perché nella respirazione esterna il sangue si arricchisce di ossigeno e cede anidride carbonica e nella respirazione interna esso cede ossigeno e assume anidride carbonica (e altri prodotti catabolici). Da questo punto di vista il sangue viene definito l'ambiente interno in cui vivono le cellule dell'organismo.
Oltre che per i polmoni la respirazione esterna ha luogo anche attraverso la pelle. L'importanza della respirazione cutanea, considerevole in alcuni animali (Anfibî) è però scarsa negli omeotermi, nei quali la quantità di anidride carbonica emessa per la cute sarebbe 1/225 della quantità totale.
Meccanica respiratoria. - Il rinnovamento dell'aria contenuta nei polmoni ha luogo come in un mantice per espansioni e contrazioni alternate che si chiamano rispettivamente inspirazione ed espirazione. I polmoni sono normalmente in contatto con la parete interna del torace, ma sono liberi di scivolare sulla parete stessa perché non sono legati se non all'ingresso dei grossi bronchi e dei vasi, mentre per il resto della loro superficie sono separati dalla parete toracica per mezzo della pleura i cui due foglietti, viscerale e parietale, sono mobilissimi uno sull'altro (v. sopra: Anatomia). Nell'inspirazione l'aria penetra dalla trachea e dai bronchi (vie respiratorie) fino negli alveoli polmonari, e nell'espirazione l'aria contenuta negli alveoli esce percorrendo in senso inverso la stessa strada. Va notato che, essendo una sola la via d'ingresso e di egresso, l'aria non può mai rinnovarsi del tutto, ma sempre l'aria inspirata viene a mescolarsi con quella porzione contenuta nelle vie aeree che per la notevole rigidità delle loro pareti non si vuotano durante l'espirazione e costituiscono il cosiddetto spazio morto che ha una capacità, nell'uomo, di 100-150 cmc. Oltre che la porzione d'aria contenuta nello spazio morto, dopo ogni espirazione il polmone contiene ancora l'aria cosiddetta residua e quella di collasso, onde il contenuto del polmone dopo un'inspirazione non è aria atmosferica, ma una miscela di questa e delle porzioni che non avevano potuto essere emesse. Nell'inspirazione la gabbia toracica aumenta tutti i suoi diametri: il trasversale e il sagittale per il cambiamento di posizione delle costole che tendono ad abbandonare la loro posizione obliqua dall'alto in basso, dall'interno all'esterno e dall'indietro in avanti, per avvicinarsi a un piano orizzontale; e quello longitudinale per la diminuzione della convessità in alto della cupola diaframmatica. Si chiamano muscoli respiratorî quelli che, contraendosi, modificano la capacità toracica e si distinguono a seconda della loro funzione in inspiratorî ed espiratorî. I muscoli respiratorî in genere si distinguono poi in muscoli intrinseci e muscoli estrinseci o accessorî. I primi sono quelli che entrano in giuoco nella respirazione normale o tranquilla, gli altri quelli che coadiuvano i primi nella respirazione forzata.
Sono muscoli inspiratorî intrinseci gl'intercostali esterni, il dentato postero-superiore, il diaframma, l'azione del quale è aiutata dal quadrato lombare che contraendosi dilata la parte inferiore del torace, e gli elevatori delle costole, la cui partecipazione all'atto inspiratorio viene però negata da qualche autore moderno. I muscoli inspiratorî accessorî sono: i muscoli scaleni, lo sterno-cleido-mastoideo, il trapezio, i pettorali, il romboide e il dentato anteriore. Nell'espirazione il torace torna nella posizione di riposo in gran parte passivamente, vale a dire per il semplice rilassamento dei muscoli inspiratorî e il ritorno elastico delle parti legamentose, cartilaginee e ossee alla loro posizione primitiva. Però intervengono anche potenze muscolari, rappresentate dai muscoli intercostali interni e dai muscoli tutti della parete addominale, i quali, comprimendo i visceri, spingono in alto il diaframma, nonché - nell'espirazione forzata - il muscolo dentato posteriore inferiore. La prova che anche normalmente l'espirazione è in parte attiva fu data da V. Aducco (v. appresso: Innervazione respiratoria).
Pneumografi sono gli strumenti che permettono di registrare graficamente le variazioni della circonferenza toracica (o addominale), e pneumogramma si dice il tracciato che se ne ottiene. Il più conosciuto è il pneumografo di Marey che può applicarsi facilmente anche all'uomo. Le potenze muscolari non entrano in giuoco sempre tutte, né nella stessa misura. Si è già visto che nella respirazione forzata agiscono anche i muscoli accessorî; ma anche nella respirazione tranquilla si notano due tipi principali caratterizzati dalla prevalenza dell'attività dei muscoli toracici (respirazione toracica) o del diaframma (respirazione addominale). Nella specie umana questi due tipi costituirebbero quasi un carattere sessuale secondario, sulla cui origine si è molto discusso, in quanto che l'uomo ha un tipo di respirazione addominale, e la donna di respirazione toracica (J. H. Hutchinson). Anche altre cause però, come lo stato di veglia o di sonno, modificano il tipo di respiro (A. Mosso).
I polmoni, anche nella posizione espiratoria del torace, occupano uno spazio superiore a quello che sarebbe richiesto dal loro volume proprio, volume che essi per l'elasticità del loro tessuto tendono a riprendere. Da questo fatto risulta uno stato di trazione permanente che essi esercitano sulle pareti toraciche e più direttamente sulla pleura. Nella cavità pleurica domina quindi una pressione inferiore a quella atmosferica e che si dice pressione negativa. Praticando nella parete toracica un'incisione interessante la pleura, anche in un cadavere, l'aria esterna penetra nella cavità pleurica (pneumotorace) e il polmone riprende il suo volume proprio. La grandezza della pressione negativa che si può misurare mediante un manometro connesso con la cavità pleurica è funzione del grado di distensione cui sono sottoposti i polmoni e aumenta quindi nella posizione inspiratoria del torace. Essa è di 6 mm. di mercurio in posizione espiratoria, e di 30 mm. di mercurio nell'inspirazione forzata.
Nella posizione inspiratoria il polmone si estende per la pressione dell'aria che penetra nella trachea e precisamente viene disteso da una forza uguale alla differenza fra la pressione atmosferica e quella endotoracica negativa moltiplicata per la superficie polmonare su cui agisce questa differenza di pressione. Le cause che annullano la pressione endotoracica negativa aboliscono la respirazione; e quelle che diminuiscono l'elasticità del polmone (come l'enfisema) la ostacolano appunto perché diminuiscono la pressione negativa.
Ventilazione polmonare è detto il rinnovamento dell'aria che si compie per un atto respiratorio, e grandezza respiratoria (I. Rosenthal) il volume della ventilazione nell'unità di tempo. Aria respiratoria è il volume di aria che entra ed esce dalle vie aeree in una respirazione tranquilia. L'aria che dopo un'inspirazione tranquilla può ancora introdursi con un'inspirazione forzata si chiama aria complementare; si dice invece aria di riserva quella che si può emettere con un'espirazione forzata dopo un'espirazione tranquilla. Il volume dell'aria respiratoria più l'aria complementare, più l'aria di riserva si chiama capacità vitale.
Già si è detto che per effetto della pressione endotoracica negativa il polmone non può mai riprendere il suo volume proprio o cadaverico. Esso dunque contiene, anche dopo un'espirazione forzata, un certo volume di aria che si chiama aria residua. Neanche il polmone estratto dall'organismo si vuota però completamente: esso trattiene sempre una certa quantita di aria - conosciuta col nome di aria di collasso - che non può uscire dagli alveoli per la obliterazione dei bronchioli o bronchi capillari. L'indagine volumetrica della ventilazione polmonare si chiama spirometria.
Applicando l'orecchio sul torace durante gli atti inspiratorî - e solo durante questi, e se l'apparato respiratorio è normale - si percepisce un suono simile a un mormorio, chiamato appunto murmure vascicolare, dovuto verosimilmente alla distensione degli alveoli o anche alla corrente aerea che dai sottili bronchioli penetra nella più ampia cavità alveolare. Ascoltando invece in corrispondenza delle vie aeree superiori (bronchi, trachea, laringe) si sente un rumore più forte e più aspro, simile a un h aspirato pronunciato a bassa voce. Esso si chiama murmure bronchiale e accompagna tanto l'inspirazione, quanto l'espirazione. Lo studio di questi rumori, nonché delle variazioni di sonorità, che si avvertono con la percussione nelle varie fasi del respiro e in condizioni normali e patologiche, fa parte della semeiotica dell'apparato respiratorio.
Chimismo respiratorio. - Già Leonardo da Vinci aveva affermata l'analogia fra la combustione di una candela e la respirazione animale ("Dove non vive la fiamma, non vive l'animal che aliti", Cod. Atlantico), ma, prescindendo dalle osservazioni di qualche precursore (G. B. Helmont, R. Boyle, R. Hook, C. Fracassati), si riconosce che le nostre cognizioni sulla natura del chimismo respiratorio si originano da quella della composizione dell'aria atmosferica (J. Mayow, 1668) e dalle ricerche del Lavoisier a cui si deve anche la denominazione di ossigeno e azoto, e che stabilì che la respirazione è una combustione lenta di carbonio e d'idrogeno del tutto simile a quella che si opera in una lampada accesa (1777). Mentre però il Lavoisier riteneva erroneamente che i polmoni fossero la sede della combustione respiratoria, G. L. Lagrange (1736-1813) per primo sostenne l'ipotesi, sperimentalmente dimostrata da L. Spallanzani, che sede dei processi ossidativi siano invece tutti i tessuti in cui circola il sangue.
Nei polmoni non avviene che un equilibrarsi della tensione parziale dei gas del sangue e dell'aria alveolare, vale a dire un processo che è funzione della diversità di queste tensioni. Se nel sangue i gas avessero la stessa pressione parziale che nell'aria alveolare, possiamo ritenere che non avverrebbe alcuno scambio gassoso. Ma nel sangue venoso si trova anidride carbonica in quantità molto maggiore che nell'aria atmosferica, e ossigeno in quantità minore, perché la composizione dei gas del sangue è l'espressione del metabolismo dei tessuti da cui esso proviene.
Abbiamo già veduto però che l'aria alveolare non è mai uguale a quella atmosferica perché il suo rinnovamento non può mai essere completo, né a quella espirata per l'esistenza dello spazio morto; quindi le differenze che corrono fra le tensioni parziali dei gas del sangue e le loro tensioni parziali nell'interno degli alveoli non possono mai essere tanto grandi quanto le differenze rispetto all'aria atmosferica. Poiché dunque lo scambio gassoso avviene tra il sangue e il contenuto degli alveoli, per la conoscenza del chimismo respiratorio oltre che la composizione dell'aria atmosferica (aria inspirata) e dell'aria che esce dalle vie aeree (aria espirata) è di massima importanza la conoscenza dell'aria alveolare.
L'aria dell'atmosfera, in cui noi respiriamo ordinariamente, ha la seguente composizione media che può confrontarsi con quella dell'aria espirata esprimendola in volumi per cento:
La differenza in più di CO2 è un po' inferiore alla differenza in meno di O2 perché l'ossigeno non viene impiegato esclusivamente nella combustione del carbonio. I grassi, p. es., contengono un certo numero di atomi di H non ossidato che ossidandosi forma acqua; e altri composti ossidati si eliminano con l'urina. Il volume dell'aria espirata nell'unità di tempo è quindi un po' minore di quello dell'aria inspirata.
Il rapporto fra anidride carbonica (CO2) escreta e ossigeno (O2) consumato (CO2/O2) si chiama quoziente respiratorio e varia col variare del regime alimentare e della qualità delle sostanze ossidate nei processi vitali; nell'uomo il quoziente respiratorio medio è 0,85.
In media si può ammettere che un uomo emetta 300 cmc. di CO2 e consumi 350 cmc. di O2 per ora e per kg. di peso corporeo, vale a dire che, se pesa 60 kg., produce 21 litri di CO2 e consuma 24,5 litri di O2. Questi dati medî valgono per l'uomo allo stato di veglia e di moderata attività, perché durante il sonno sia l'uno sia l'altro diminuiscono mentre aumentano quando l'organismo lavora intensamente. E s'intende che il volume è calcolato allo stato di secchezza, a 0° e 760 mm. di pressione; mentre l'aria espirata alla temperatura del corpo è ricca di vapor d'acqua, vale a dire contiene vapor d'acqua con una tensione di 47 mm. di mercurio. Un animale che respira aria secca a 760 mm. di pressione avrà perciò nei suoi alveoli polmonari una miscela gassosa di 760 − 47 = 713 mm. di gas dell'aria e 47 mm. di vapor d'acqua.
I primi esperimenti per determinare la quantità di C emesso nelle 24 ore furono fatti da H. Ranke (1862) usando l'apparecchio di Pettenkofer, per la descrizione di questo e di altri metodi per la determinazione diretta o indiretta del ricambio respiratorio v. ricambio.
La composizione dell'aria alveolare dipende da tanti fattori (ampiezza del respiro, frequenza del respiro, temperatura del corpo, temperatura, pressione e composizione dell'atmosfera, intensità del metabolismo organico, ecc.), che per uno studio del chimismo respiratorio è indispensabile determinarne la composizione caso per caso.
Il metodo introdotto da J. S. Haldane permette di raccogliere con facilità un campione di aria alveolare e consiste nell'espirare attraverso un tubo di gomma lungo circa 1,5 m. e del diametro di circa 2,5 cm. raccogliendo, per mezzo di un piccolo tonometro adattato alla prima porzione del tubo (vicino cioè alla bocca del soggetto) quella porzione di aria che proviene dall'ultimo momento dell'espirazione forzata. Si prendono due campioni di aria, uno espirando profondamente dopo un atto inspiratorio normale, l'altro espirando profondamente dopo un atto espiratorio normale: la media dei due campioni esprime la composizione dell'aria alveolare. Per avere un'idea concreta del maggior contenuto di CO2 nell'aria alveolare che nell'aria atmosferica, si ricordino le determinazioni fatte dal Haldane stesso trovando una tensione di CO2 da 5,62, a 6,28 mm. di mercurio ossia da 0,73 a 0,82 volumi per cento.
La composizione quantitativa dei gas del sangue è una nozione legata a quella della proprietà che ha il sangue di assorbire e fissare più o meno stabilmente i gas con cui si trova a contatto, per cui v. sangue. Sulla proprietà che ha il sangue di cedere nel vuoto torricelliano tutti i gas in esso contenuti, sia allo stato di semplice soluzione sia allo stato di combinazione, si basano tutti i metodi di estrazione dei gas per mezzo di pompe, da quella del Magnus (1837), che per primo applicò le leggi fisiche dell'assorbimento e della diffusione dei gas allo studio fisiologico della respirazione, alla pompa di Pflüger (apparecchio classico che solo recentemente ha ceduto il campo a strumenti più perfezionati) fino a quella di Töpler, modificata da J. Barcroft.
Da 100 cmc. di sangue si estraggono circa 60 cmc. di gas consistenti in una miscela la cui composizione varia naturalmente a seconda che si tratta di sangue arterioso o venoso. Ecco, senza tener conto delle tracce di argon, un esempio dei gas che si possono estrarre da 100 cmc. di sangue di un cane, espressi in volumi a 0° e 760 mm.
La necessità di usare cospicue quantità di sangue per estrarre i gas col metodo della pompa, costituisce un grave inconveniente sia per l'impossibilità di compiere ripetute analisi su diversi campioni in diverse condizioni sperimentali, sia per la difficoltà di eseguire la determinazione su sangue umano. Di grande vantaggio è stato quindi il metodo introdotto da J. Barcroft, che permette di analizzare i gas contenuti in un cmc. e anche in 0,1 cmc. di sangue mediante l'apparecchio che porta il suo nome. Esso è fondato sulla proprietà del ferricianuro potassico di liberare rapidamente tutto l'O2 legato all'emoglobina e consiste essenzialmente in un manometro differenziale che permette di conoscere la quantità di O2 che in tal modo si svolge. L'apparecchio serve anche a misurare il CO2 del sangue, spostandolo con un acido più forte.
Per curva di dissociazione del sangue s'intende una curva che riunisce i punti disposti sopra un sistema di assi coordinati, ciascuno dei quali esprime la quantità di ossigeno legato all'emoglobina del sangue per una determinata tensione parziale di ossigeno. Queste curve esprimono sinteticamente il contegno del sangue come trasportatore di ossigeno nelle varie condizioni sperimentali. Importanti sono gli effetti che sulla curva di dissociazione del sangue esercitano gli elettroliti e gli acidi. Tra questi importantissimo l'acido carbonico, il quale ha la proprietà di abbassare la curva di dissociazione del sangue, vale a dire di permettere che in un ambiente ove domini una determinata tensione di CO2, il sangue ceda ossigeno in quantità maggiore di quel che farebbe se non vi fosse CO2.
Ad es., per una tensione parziale di O2 uguale a 20 mm. di mercurio se CO2 fosse presente a una tensione di 5 mm. la quantità di O2 fissata del sangue sarebbe 67,5/100 della saturazione completa. Ma per una tensione di CO2 di 40 mm. la quantità stessa sarebbe 29,5/100. In altri termini i tessuti sono in grado di ricevere più facilmente ossigeno quando sono più ricchi di CO2, vale a dire quando di O2 hanno più bisogno.
Le due facce della respirazione che abbiamo ricordate e definite, l'interna e l'esterna, appaiono abbastanza chiare sulla base di queste proprietà del sangue. La respirazione interna è condizionata dalla bassa tensione di O2 che regna nei tessuti, e forse anche dal loro energico potere riduttore, per il quale è probabile che essi sottraggono O2 al pigmento sanguigno più energicamente di quello che non avverrebbe per la semplice bassa tensione. Inversamente nei tessuti si ha generalmente una tensione di CO2 di 60-70 mm. di mercurio mentre nel sangue essa è in genere di 40 mm. Hg.
Bisogna tener presente che questi scambî non sono immediati giacché l'O2 degli eritrociti deve passare attraverso il plasma sanguigno, le pareti dei capillari, la linfa degli spazî lacunari e la membrana (ove questa esista) cellulare. Ma le leggi della diffusione dei gas insegnano che questa avviene anche attraverso membrane porose o liquide, per quanto le proprietà di queste membrane possano modificare la velocità di diffusione dei varî gas.
La respirazione esterna, ossia lo scambio gassoso fra sangue e aria alveolare, presenta invece qualche complicazione che ha dato luogo a discussioni non ancora esaurite.
Riprendendo in considerazione la composizione dell'aria espirata, inspirata, alveolare, confrontandola con la pressione parziale degli stessi gas del sangue, si può constatare che gli scambî gassosi respiratorî possono essere intesi in armonia con la dottrina della diffusione, per cui l'O2 passerebbe dai punti di maggiore tensione anche tenendo conto del fatto trascurato dai ricercatori più antichi che è l'aria alveolare e non quella inspirata o espirata, che deve presentare condizioni propizie allo scambio.
Ecco alcuni dati, desunti da esperienze fatte sul cane, espressi in mm. Hg.
Si tenga presente il fatto che, trattandosi di una miscela gassosa, come l'aria atmosferica o quella alveolare, si può indifferentemente riferirsi alla composizione volumetrica o alla pressione parziale dei gas perché le due grandezze sono direttamente proporzionali, ma lo stesso non può dirsi a proposito dei volumi di gas sciolti in un liquido e della tensione dei gas nel liquido stesso, grandezza quest'ultima che importa definire esattamente.
Poniamo che sopra una superficie liquida di s cmq. si trovi un gas con la pressione parziale p i cui coefficienti d'invasione e di evasione sono rispettivamente γ e β. Sia stata sperimenta mente determinata la quantita M di cmc. del gas che ogni minuto penetrano dallo strato gassoso nel liquido. Il problema è di determinare il numero di cmc. del gas contenuti per cmc. (ossia la concentrazione) che si trova nello strato superficiale del liquido. Questa quantità x è quella che si chiama la tensione del gas nel liquido, vale a dire quella tensione parziale del gas che dovrebbe esistere al disopra del liquido perché esso gas si possa trovare in equilibrio col gas contenuto nel liquido. Tra la quantità M e x sussiste questa relazione:
dalla quale si può anche dedurre, chiamando p1 quella particolare tensione che abbiamo ora definito e α il coefficiente di assorbimento del gas nel liquido,
Da questa definizione deriva il principio del metodo aerotonometrico che consiste nel cercare quale sia la composizione della miscela gassosa capace di restare in equilibrio con i gas contenuti nel liquido che si studia. Su tale principio si basano l'aerotonometro di Pflüger, quello di Bohr, il microtonometro di Krogh e altri. Il grado di funzionamento di un aerotonometro, ossia la rapidità e l'esattezza con cui si può raggiungere l'equilibrio nel sistema, è dato dalla sua supeficie specifica, ossia dal rapporto fra la superficie di contatto della fase gassosa con quella liquida e il volume del liquido. Da questo punto di vista il polmone - che funziona in realtà come un aerotonometro - è un apparecchio di gran lunga più perfetto di quelli fabbricati dai fisiologi per la grandissima area totale rappresentata dalla somma delle superficie dei suoi sette milioni di alveoli, area totale che si calcola di 140 mq. (G. Hüfner).
Ma i risultati delle ricerche fatte da C. Bohr col suo aerotonometro avrebbero dimostrato che la tensione dell'ossigeno può essere spesso più elevata nel sangue che nell'aria alveolare e che la tensione di CO2 può essere più elevata negli alveoli che nel sangue. Questo fatto, insieme con altri da lui osservati sull'influsso dei nervi sulla quantità di O2 esistente nella vescica natatoria di alcuni pesci, condussero il Bohr alla formulazione di una dottrina, secondo la quale lo scambio gassoso nei polmoni non avverrebbe per un mero processo di diffusione, ma per una funzione di secrezione attiva dei gas da parte dell'epitelio alveolare. Gli argomenti sperimentali in favore della teoria del Bohr non sono mancati; ma altri, fra questi A. Krogh, esaminando il problema con una tecnica molto accurata hanno dimostrato che i dati del Bohr devono essere corretti e che i rapporti di tensione fra alveoli e sangue sono tali da giustificare la dottrina della diffusione. Anche J. S. Haldane, continuando le sue indagini, riconobbe che una funzione secretoria attiva si manifesta solo in condizioni che si allontanano dalle normali, e cioè quando la respirazione avviene in un ambiente molto povero di ossigeno. Sicché, anche ammettendo la possibilità di un potere secretorio da parte dell'epitelio polmonare, questo non rappresenterebbe che l'espressione di un adattamento funzionale a condizioni anormali, mentre il processo fisiologico dello scambio gassoso dei polmoni sarebbe sempre un processo fisico di diffusione. Per fissare le idee ricordiamo che dall'esperienza di Krogh risulta che l'andamento della curva della tensione di O2 e CO2 nel sangue arterioso segue l'andamento della curva delle tensioni stesse nell'aria alveolare. Quanto alla grandezza di questa pressione, il sangue arterioso ha una tensione di CO2 uguale o appena leggermente superiore a quella dell'alveolo; mentre la sua tensione di O2 è da i a 4 centesimi di atmosfera inferiore a quella dell'aria alveolare.
L'aria alveolare nell'uomo ha in media 107 mm. Hg di ossigeno e il sangue venoso ha una tensione parziale di 37 mm. Hg; è quindi una differenza di 70 mm. di pressione, quella che dà luogo all'arterializzazione del sangue venoso. La tensione di CO2 nell'alveolo è di 40 mm. Hg e quella del sangue venoso è di 46 mm. con una differenza di 6 mm., grazie alla quale il sangue che abbandona il polmone può avere una tensione di CO2 ridotta a 40 mm. circa, che è quella appunto del sangue arterioso. In seguito alle osservazioni di O. M. Henriques (1928) sulla velocità molto maggiore con cui CO2 viene liberata dal sangue o da una soluzione di emoglobina in confronto che dal plasma, si è supposto che l'emoglobina abbia un'azione catalitica ossia acceleratrice sulle reazioni del CO2. R. Margaria e R. Brinkman (1931) mostrarono che quest'azione catalitica è rilevabile anche se l'emoglobina è in diluizione di 1 su 100.000. Ma N. V. Meldrum e F. G. W. Roughton (1932) dimostrarono che l'azione è dovuta a un enzima specifico - l'anidrasi carbonica - che si trova sempre associata all'emoglobina.
Innervazione respiratoria. - Perché tutti i muscoli inspiratorî agiscano sinergicamente e altrettanto facciano gli espiratorî, occorre un meccanismo nervoso che coordini tutti gl'impulsi che promanano dalle cellule di origine dei rispettivi nervi motori. Perché gl'impulsi provenienti dal centro abbiano la frequenza e il ritmo richiesti dalle necessità fisiologiche di un organismo, il centro dev'essere eccitato da stimoli condizionati dalle necessità stesse. L'insieme degli ordegni costituenti questo meccanismo nervoso respiratorio presenta quindi gli elementi caratteristici del meccanismo riflesso vale a dire:
1. Vie efferenti, rappresentate da tutti i nervi motori che si distribuiscono ai muscoli respiratorî.
2. Un complesso di centri, rappresentato da gruppi cellulari situati nelle corna anteriori lungo il tratto cervicodorsale del midollo spinale e da un centro coordinatore situato nel bulbo, che eccita e regola l'azione dei precedenti. I primi esperimenti per localizzare questo centro nel bulbo sono dovuti a J.-J.-C. Legallois (1811). Egli e più tardi P.-J.-M. Flourens lo localizzarono nel punto da essi detto nodo vitale, in corrispondenza della punta del calamus scriptorius, perché la sua distruzione causa paralisi respiratoria. Indagini più recenti fanno credere che l'estensione del vero centro respiratorio sia assai maggiore e che comprenda la formatio reticularis. La simmetria bilaterale degli atti respiratorî viene alterata da lesione delle fibre commissurali intrabulbari.
È stata molto discussa l'esistenza di centri respiratorî spinali, capaci di attività ritmica anche indipendentemente dall'azione del centro bulbare; più sicura è l'esistenza di strutture nervose cerebrali, da cui promanano impulsi capaci di modificare il ritmo e l'ampiezza del respiro, com'è dimostrato dalle svariate e frequenti modificazioni di origine volontaria o emotiva. Del resto s'è già detto che non di centro respiratorio, ma di complesso di centri si deve parlare e l'indagine fisiologica tende sempre più a dimostrare l'esistenza di parecchi centri differenziati e capaci di funzionare, in condizioni particolari, indipendentemente uno dall'altro. L'esistenza di un centro espiratorio attivo, addominale, la cui funzione si manifesta in condizioni nelle quali i centri inspiratorî ed espiratorî toracici sono stati paralizzati dal cloralio, è stata posta in evidenza da V. Aducco (1889), il quale in altri casi invece vide paralizzata l'attività ritmica dei centri addominali e aumentata quella del centro espiratorio toracico. Recentemente Th. Lumsden (1923) avrebbe distinto un centro inspiratorio situato a livello delle strie acustiche e da lui chiamato apneustico, da un centro espiratorio situato subito al disotto del precedente e un centro che li regola entrambî situato nella metà superiore del ponte e da lui chiamato pneumotassico.
3. Vie afferenti, rappresentate principalmente dai nervi vaghi e secondariamente da numerosi altri nervi afferenti, come il trigemino, il frenico (S. Baglioni), ecc. I vaghi contengono fibre di due specie: una, la cui stimolazione arresta l'inspirazione e provoca l'espirazione, l'altra che interrompe l'espirazione e provoca l'inspirazione. La dottrina cosiddetta dell'auto-governo del respiro, enunciata da E. Hering e J. Breuer, spiega la regolazione fisiologica dei movimenti respiratorî ammettendo che lo stato di distensione inspiratoria del polmone ecciti le terminazioni di una di queste categorie di fibre, dando luogo a un'espirazione, che viene a sua volta interrotta dalla stimolazione dell'altra specie di fibre. Gli stimoli nervosi che pervengono ai centri per la via dei vaghi e degli altri nervi afferenti non sono che uno dei mezzi capaci di indurre i centri respiratorî in quello stato di attività ritmica da cui dipende il respiro. Un'altra categoria di stimoli, anche più importante, è costituita dagli stimoli dinamici, i quali sono quelli che regolano l'attività respiratoria in accordo con i bisogni dell'organismo. Infatti questi stimoli sono portati al centro dal sangue che lo irrora e sono condizionati dalla composizione chimica del sangue, la quale dipende dal metabolismo dei tessuti. Il centro respiratorio è molto sensibile alle variazioni della concentrazione di CO2 nel sangue, cosicché si considera quest'ultimo come uno stimolo specifico, il cui significato biologico è facile comprendere pensando che esso è il prodotto delle reazioni ossidative organiche. Più l'organismo lavora e più consuma O2 producendo CO2; ma il maggior bisogno di O2 che ne consegue, viene soddisfatto da un aumento della ventilazione polmonare, che viene provocato appunto dall'aumento di CO2nel sangue che eccita il centro respiratorio. Questo adattamento fisiologico appare anche più perfetto considerando che non solamente CO2 ma anche altri metaboliti agiscono come stimolo. Infatti le più recenti ricerche hanno dimostrato che lo stimolo adeguato non è costituito dall'anidride carbonica come tale, ma dalla concentrazione degl'idrogenioni nel sangue. Anche l'acido lattico prodotto dall'attività muscolare ha quindi l'effetto di aumentare l'attività respiratoria sulla quale hanno influsso notevole tutte le condizioni che modificano l'equilibrio acido-basico del sangue (v. acidosi).
Per altre nozioni sopra gli effetti, sulla respirazione, della composizione e pressione dell'aria inspirata e via dicendo, v.: apnea; asfissia; altitudini, male delle; ecc.
Bibl.: C. Fracassati, De lingua et cerebro, Bologna 1665; L. Spallanzani, Memorie su la respirazione (opera postuma), Milano 1803; P. Bert, La pression barométrique, Parigi 1888; R. du Bois-Reymond, Mechanik der Atmung, in Ergebnisse d. Physiologie, I, Monaco 1902; A. Mosso, Fisiologia dell'uomo sulle Alpi, Milano 1898; Chr. Bohr, Blutgase und respiratorische Stoffwechsel, in Nagel's Handbuch d. Physiologie d. Menschen, I, Berlino 1905; N. Zuntz, A. Loewy, F. Müller e W. Caspari, Höhenklima und Bergwanderungen, Berlino 1906; L. Luciani, Fisiologia dell'uomo, I, 3ª ed., Milano 1908, cap. 11-13; S. Baglioni, Zur vergleichenden Physiologie der Atembewegungen der Wirbeltiere, in Ergebnisse d. Physiol., XI, Monaco 1911; A. Krogh, The respiratory exchange of animals and man, Londra 1916; J. Barcroft, The respiratory function of the blood, Cambridge 1925.
Anatomia patologica. - A parte le anomalie di forma congenite, invero tra le più rare, i varî costituenti dell'apparato respiratorio ammalano principalmente per l'apporto di stimoli che provengono dall'ambiente esterno. Dal naso alle estreme ramificazioni dell'albero bronchiale, fino alle minutissime vescicole polmonari, non v'è parte che non possa risentire le perniciose conseguenze di variazioni termiche o di pressione o della presenza di vapori irrespirabili o di polveri irritanti o di esseri viventi microscopici, dotati di potere morbigeno, frammisti casualmente all'aria di respirazione. Il raffreddore banale (rinite catarrale) non è che la più mite delle espressioni di questa sensibilità delle vie del respiro all'influenza dell'ambiente e una risposta immediata o quasi all'azione dannosa del freddo intenso sulla mucosa nasale e laringo-tracheale. La genesi di questo disturbo così comune è duplice: innanzi tutto l'improvvisa corrente d'aria fredda provoca lo spasmo dei piccoli vasi, cui segue uno stato di congestione quasi compensatoria, di natura angioparetica, che mena a una trasudazione esagerata; poi, sul terreno della congestione e favoriti dalla trasudazione, pullulano rigogliosamente sulla mucosa nasale e laringo-tracheale molti dei batterî che vi hanno stabile dimora, vegetandovi di norma come ospiti innocui. Essi da saprofiti si tramutano in morbigeni e come tali coadiuvano il fattore ricordato per primo.
Non è soltanto l'aria inalata la sorgente di malattie della porta d'ingresso alle vie del respiro qual'è il naso, ma, a parte le lesioni della cute, che possono per conto loro determinare gravi deformità della regione, sono le dita o gli strumenti infetti introdotti nelle narici la fonte non infrequente di sofferenze della mucosa nasale. La lebbra, la tubercolosi, la morva degli equini, il carbonchio delle pecore e dei buoi contagiano talora l'uomo accidentalmente per via nasale e generano malattie a carattere estensivo e fatalmente mortali. Altre infezioni, come la sifilide, colpiscono lo scheletro del naso tardivamente, dopo cioè avere impressa la loro orma in altri distretti organici e ne risulta, per la carie delle ossa, un incavo alla radice del naso con arricciamento del lobulo detto volgarmente punta del naso (naso a sella). La sifilide stessa induce talora la carie isolata della vòlta palatina, con ulcerazione della stessa e anormale comunicazione tra naso e bocca, onde l'uscita dal naso dei liquidi ingeriti e la caratteristica voce a timbro nasale per la fuga dell'aria anche attraverso le nari quando la distruzione sia bastantemente estesa, come lo è di fatto in quel difetto di conformazione congenita che va sotto il nome di gola lupina, in cui manca buona parte del pavimento del cavo nasale, sì che la bocca e il naso formano una cavità unica. All'opposto, l'ostruzione del naso, più comunemente provocata da vegetazioni polipose molli, da calcoli (rinoliti) o da tumori maligni (cancro), ostacola il respiro e obbliga l'individuo a tenere costantemente la bocca aperta per provvedersi l'aria indispensabile alla vita. Nei bambini affetti da linfatismo è frequente il turgore della mucosa nasale e della porzione retro-nasale della faringe per accrescimento del tessuto linfatico abbondantemente ivi presente. Si formano così piccole escrescenze rosee, mollicce, che impartono alla superficie aspetto granuloso e che vanno sotto il nome di vegetazioni adenoidi. La parziale obliterazione del cavo nasale che ne risulta difficulta il respiro e cagiona ai piccoli sofferenti secchezza delle fauci per la forzata abituale respirazione orale, nonché tendenza alle malattie delle tonsille costantemente esposte agli sbalzi di temperatura e agl'inquinamenti. Polipi, vegetazioni adenoidi ed eventuali calcoli del naso cadono sotto il dominio della chirurgia e vengono facilmente rimossi: non così i tumori maligni, per il loro carattere invadente e aggressivo, che li spinge alla usura delle ossa della faccia e della base cranica e a complicazioni d'indole meningea (meningiti) e polmonare (cancrena).
Procedendo dalla superficie del corpo in profondità, il secondo segmento dell'apparato respiratorio che segue al naso è la laringe, una specie di ponte di passaggio, nei riguardi delle malattie, tra il naso e i polmoni. Ponte di passaggio non in senso puramente topografico, per quanto più che del cavo nasale, la laringe risenta precipuamente l'influsso delle malattie dei polm0ni. È però certo che le riniti acute spesso si combinano con l'infiammazione della laringe: donde vellichio laringeo che stimola la tosse, espulsione di catarro e voce stridula (disfonia) o completa impossibilità all'emissione dei suoni (afonia). Questa è la più comune conseguenza dell'inalazione di gas o di polveri irritanti o anche dell'inalazione casuale di piccoli corpi estranei, che rimangono a contatto dei tessuti laringei e in specie delle corde vocali (semi di cereali innicchiati nei seni laringei) fino a tanto che per via strumentale si provveda a rimuoverli. Il fumo di tabacco e le bevande alcooliche ad alto titolo abitualmente ingerite sono i fattori più comuni delle infiammazioni laringee (v. laringiti). In ordine di frequenza le forme di durata effimera, acute o subacute, prevalgono sulle permanenti e tra queste ultime le banali, sostenute da gas o liquidi irritanti, sono in maggior numero al confronto delle altre derivate dalla vegetazione locale di microbî del genere di quelli della tubercolosi, della lebbra o della sifilide. Tra le forme infettive acute la difterite laringea, più comunemente nota sotto il nome di croup, indubbiamente predomina (v. difterite). Al presente, con un progresso fatale e per ora infrenabile, che trae forse sua ragione, almeno in parte, dall'urbanesimo e dalle infinite occasioni d'inquinamento e d'irritazione cui la laringe è esposta nel ritmo accelerato del transito commerciale attraverso le città popolose, i tumori laringei si affacciano come una minaccia alla vita ben più terribile che per il passato. Si allude qui non ai tumori benigni, che lo specialista escide agevolmente, senza postumi, ma a quelli maligni che sporgendo nel lume laringeo ostacolano il respiro e attizzano, col distacco e l'inalazione di particelle superficiali cancrenate, nuovi focolai di sepsi nei polmoni. Sono compresi tra i maligni buona parte dei papillomi, specie di escrescenze a cavolfiore recidivanti, piantate quasi sempre sulle corde vocali, cioè sulle parti più delicate dell'organo della fonazione, onde i disturbi già menzionati più sopra, e i genuini cancri in cui i papillomi vanno talora trasformandosi grado a grado o che possono anche svilupparsi come tali fin da principio, traendo a morte il colpito in pochi mesi, con le sofferenze indicibili di chi si sente progressivamente ingombre le vie del respiro ed è incapace di liberarle con atti violenti di raschiamento o con energici colpi di tosse. L'abbondante escreto, spesso sanguigno e fetido, tradisce questa come altre croniche e letali malattie delle sezioni più profonde dell'apparato respiratorio. La perforazione dello scheletro cartilagineo laringeo (v. laringe) distrutto dal cancro può condurre all'infiltrazione di aria e di pus nel piano profondo della cute del collo (flemmone putrido), stabilendo una tra le complicanze di chiusura dei tumori maligni di quest'organo.
La patologia della trachea è meno varia di quanto non sia quella dei tratti sopra- e sottostanti delle vie respiratorie. L'ampiezza del canale, che si apre subito al disotto della strettura laringea; la sua forma quasi regolarmente cilindrica; la rapidità con cui l'aria percorre il suo lume sotto l'influsso delle escursioni toraciche; lo stato di relativa depurazione dal pulviscolo della massa aerea, che prima di giungere nel lume tracheale passa attraverso i filtri nasale e laringeo, rappresentano altrettante condizioni atte a preservare la trachea da molte delle calamità che sovrastano agli altri segmenti a essa congiunti nello stesso compito funzionale. Pur tuttavia anomalie di plasmazione congenite, infiammazioni e tumori non la rispettano del tutto. Può avvenire, per esempio, che il canale tracheale nel suo segmento cervicale comunichi con la superficie cutanea (fistola congenita esterna) o presenti una via diretta di comunicazione con l'esofago nel suo segmento toracico (fistola congenita tracheo-esofagea) o termini a fondo cieco. Mentre la prima fistola, l'esterna, consente la sopravvivenza, quando non risulti combinata con difetti di formazione di altri organi, che siano per conto loro incompatibili con la vita, le due seguenti anomalie costituiscono alterazioni anatomiche tali che la vita è resa impossibile o per l'impedito afflusso dell'aria ai polmoni o per il passaggio degli alimenti dall'esofago in trachea. Per converso, è raro il caso di una duplicità della trachea, che si associa di solito a duplicità della laringe, o di una dislocazione della trachea all'indietro dell'esofago. Se infrequenti sono le deformità congenite, non può dirsi siano tali le malattie contratte dalla trachea nel corso della vita autonoma. Negli adulti e nei vecchi ci s'imbatte talora in un'ossificazione degli anelli cartilaginei che formano lo scheletro, la quale obbliga l'organo a una permanente rigidità (tracheopatia osteoplastica). Il fenomeno è imputabiie a un'infiammazione cronica della trachea o a una semplice metamorfosi presenile o senile delle cartilagini. Al contrario vi sono casi di rammollimento degli stessi anelli e ciò in coincidenza con tumori della ghiandola tiroide e in particolare con gozzi voluminosi, così che il canale si affloscia e si restringe a fodero di sciabola. La trachea può essere dilatata per quanto è lunga, o possedere qualche dilatazione parziale a saccoccia (tracheocele) da aumento della pressione interna (nelle tossi croniche), associato a rammollimento della parete per trasformazione fibrosa del suo scheletro cartilagineo. La perforazione spontanea della trachea può presentarsi nei soggetti affetti da aneurisma dell'aorta nei quali la sacca aneurismatica corrode la parete del canale nel suo segmento intratoracico e vuota in esso, lacerandosi, il suo contenuto di sangue, donde la morte pressoché istantanea. Perforazioni avvengono anche talora per contatto con linfonodi peritracheali colpiti da tubercolosi cronica o da tumori maligni. Incisioni chirurgiche della superficie anteriore della trachea (tracheotomie) vengono praticate d'urgenza per ovviare al pericolo della soffocazione in tutti i casi di stringimento della laringe (difterite, tumori).
Le infiammazioni della trachea (tracheiti) non sono quasi mai primitive e isolate, ma secondarie e associate ad analoghe forme dei tratti sopra- o sottostanti delle vie del respiro. Si potrà perciò avere una tracheite catarrale, contraddistinta cioè da essudazione mucosa, nel catarro laringeo o in quello dei bronchi; una tracheite difterica combinata al croup della laringe; una tracheite cancrenosa nel corso della bronchite omonima e così via. La tubercolosi e la lebbra vi lasciano pure talvolta la loro impronta, come manifestazioni che complicano le corrispondenti forme della laringe e dei polmoni. I tumori, a differenza delle infiammazioni, sono nella trachea rarissimi, salvo il caso in cui derivino da organi vicini. Si ricorda qualche esemplare di tumore vascolare sanguinante, pendulo, moriforme (papilloma), sviluppatosi dalla mucosa tracheale e asportato in vita con tracheotomia, mentre sono all'opposto numerosissimì gli esempî di cancri dell'esofago diffusi alla trachea per contiguità di tessuto. Ne conseguono di solito fistole putride esofagotracheali, che menano a morte il malato con la sindrome terminale di un'affezione acuta dei polmoni da penetrazione nei bronchi di alimenti attraverso la breccia o da distacco e consecutiva inalazione di frammenti di tessuto cancerigno putrefatto derivante dai margini del canale fistoloso.
Come la trachea, così i bronchi, che ne rappresentano la continuazione, sono tra gli organi meno esposti alle malformazioni di carattere ereditario. La più comune è la dilatazione a saccule del loro lume (bronchiettasia), per cui il polmone, come sarà detto più oltre, acquista l'aspetto di una spugna a grossi pori; la più rara, la loro mancanza, associata naturalmente a quella del polmone corrispondente e la loro formazione in eccesso come diverticoli dei rami maggiori, a fondo cieco. Forse più della trachea, i bronchi soffrono di disturbi nella circolazione sanguigna e nella linfatica, onde sono facili le congestioni da malattie del cuore o da irritazione da fumo di tabacco, da gas tossici, da polveri o per raffreddamento intenso, con il meccanismo già ricordato dello spasmo vascolare e successiva paralisi, nonché gl'ingorghi della rete linfatica da ostacolo al deflusso della linfa verso le ghiandole satelliti. Da ciò gonfiore della mucosa, accumulo di muco nel lume e tosse seguita da emissione di catarro talora striato di sangue. Sotto queste condizioni i batterî abitualmente inoffensivi, che vegetano sulla mucosa dei maggiori bronchi, si moltiplicano a dismisura e acquistano carattere aggressivo, trasformando in infettiva la forma originariamente vascolare, per cui seguono l'attacco di febbre, il malessere generale, la cefalea, l'inappetenza proprie della maggior parte delle infezioni. Codesta forma di reazione bronchiale (bronchite) accompagna del resto molte infezioni che non hanno il loro punto primitivo di presa negli organi del respiro, come per esempio il tifo, la malaria perniciosa, la febbre puerperale, l'erisipela, e ciò perché esse agiscono sul cuore indebolendone la funzione e cagionando di riflesso la surricordata congestione dei bronchi, che prepara il terreno al catarro, o perché si trasporta e alligna sulla mucosa bronchiale (caso non comune) quello stesso microrganismo, ch'è causa dell'infezione generale. In simile frangente l'intero albero bronchiale corre il pericolo di essere colpito e in tal caso allo stimolo della tosse si aggiunge la difficoltà del respiro (dispnea), per gli ostacoli che l'aria di respirazione deve superare nel raggiungere i recessi polmonari più minuti attraverso canali resi pressoché impervî dall'accumulo del secreto (bronchite obliterante) e s'aggravano le condizioni generali, sia per la possibilità della diffusione al tessuto proprio del polmone (v. broncopolmonite) dell'infiammazione che affligge i bronchi di calibro capillare (bronchioli lobulari), sia per l'esclusione funzionale di aree polmonari più o meno estese nelle quali la ventilazione non ha più modo di effettuarsi e l'aria stagnante finisce con l'essere grado a grado assorbita (v. ateletrasia). Da ciò, limitazione evidente nella fissazione dell'ossigeno atmosferico indispensabile alla vita. Consimili alterazioni si esteriorizzano, a dir così, attraverso sintomi di natura oggettiva oltre che subiettiva, quali la comparsa di un respiro soffiante o di rantoli bollosi percettibili alla diretta ascoltazione del torace e lo smorzamento del suono polmonare alla percussione. Quando le mentovate infermità hanno durata breve e favorevole decorso ogni disturbo materiale e funzionale svanisce senza postumi: ché se insistono a lungo, rimangono fatalmente lesi i bronchi e lo stesso tessuto polmonare in forma irreparabile, sia per la perdita della contrattilità bronchiale da distruzione del costituente muscolare ed elastico della parete, ristagno del secreto nel lume e dilatazione dello stesso (bronchiettasia), sia per una specie di consolidazione del tessuto spugnoso del polmone, che si rende stabilmente impervio per il coalito delle pareti delle sue cellette aerifere (alveoli) da interposizione di un tessuto di nuova formazione, che si coarta e indurisce similmente a una cicatrice (cirrosi polmonare). Se nelle cellette era raccolto dell'essudato amicrobico, il che avviene ogniqualvolta l'impervietà all'aria duri qualche giorno, il processo di cementazione permanente viene favorito anziché ostacolato e ne risulta la cosiddetta carnificazione della zona polmonare esclusa dalla ventilazione.
Le modalità di contegno della sezione più profonda, cioè dei polmoni, nel corso delle più svariate affezioni morbose, sono oggetto, dal punto di vista anatomico, di una così ampia trattazione nella voce polmone, da esimere da un ulteriore chiarimento sul significato dell'uno o dell'altro tipo di lesione da cui questa sezione può essere interessata. Pur tuttavia qualche notizia complementare su particolari reperti che il polmone può offrire in casi non comuni non è fuori di luogo sia aggiunta a quelle già date in precedenza.
Che i polmoni abbiano in qualche caso a mancare sembra anomalia così strana, da non parere possibile: ma le mostruosità dell'organismo umano e in specie quelle che non compromettono la continuità del suo sviluppo nell'alvo materno, ov'esso vive di vita parassitica, non hanno limiti e sono a malapena giustificate dalle varie tappe dell'evoluzione embrionale, senza che sia sempre concesso risalire con certezza alle cause che le determinano. È, per es., accertato dall'osservazione anatomica, che un embrione umano privo del tutto dei polmoni e con difetto associato delle cavità pleuriche può raggiungere l'ottavo mese di sviluppo, avendo il cuore e i visceri dell'addome dislocati verso l'alto nello spazio normalmente occupato dai polmoni. In tal caso il cuore si presenta spostato a destra (destrocardia), l'esofago e la trachea sono fusi in un canale unico a fondo cieco, l'arteria polmonare sbocca nell'aorta, mentre la gabbia toracica conserva la sua forma abituale e perciò nulla lascia intravedere all'esterno di questa strana mostruosita. Di individui forniti di un solo polmone, e, ciò nonostante, pervenuti all'età matura, se n'è osservata circa una dozzina, e senza che accusassero disturbi di sorta imputabili a questa mutilazione congenita, per quanto fosse in essi retratta la metà corrispondente del torace.
Meno facile è persuadersi dell'esistenza di un'anomalia per eccesso, a meno che il reperto non riguardi lobazioni polmonari in soprannumero (quattro nel destro, invece di tre) o quel tipo particolare di malformazione che va sotto il nome di metamorfosi cistica, in cui, più che le cellette aerifere che si distendono, è l'albero bronchiale nei suoi rami più sottili che concorre, con ectasie vescicolari, a dare al polmone l'aspetto di una spugna a grandi pori.
Un genuino ingigantimento dei polmoni per aumento reale del loro tessuto non è facile a dimostrarsi, giacché di solito ingrandiscono per accumulo maggiore d'aria (enfisema) nella forma da altri prima descritta (v. polmone). È invece segnalata qualche osservazione di polmoni in soprannumero, preferibilmente nella cavità pleurica sinistra e perfino al disotto del diaframma, cioè fuori del cavo toracico. Naturalmente si tratta di visceri senza funzione come il polmone fetale, ma, a differenza di questo, all'infuori di ogni possibilità di funzionare, perché privi di canali bronchiali in comunicazione con l'aria esterna e anche di rapporti di continuità con i polmoni normalmente conformati e funzionanti, e quindi vere espressioni di uno stato teratologico risalente al primo abbozzo dell'apparato respiratorio nella vita embrionale.
Quale appendice all'illustrazione delle malattie polmonari (v. polmone), merita essere ricordato, che l'impedimento all'immissione d'aria entro il tessuto polmonare per sospensione d'ogni scambio gassoso con l'ambiente, onde il collasso (atelettasia), può derivare altresì da semplice immobilizzazione del polmone, senza che vi concorrano né una compressione dall'esterno, né l'obliterazione dei canali aeriferi (bronchi) diramantisi nell'aia collassata. Una tale immobilizzazione può effettuarsi in varie condizioni patologiche capaci di stabilizzare il malato in una posizione supina per molto tempo o di porre in diretta comunicazione la cavità in cui il polmone giace (cavità pleurica) con l'ambiente esterno, come può fare, p. es., una ferita profonda della parete toracica casuale od operatoria. Il meccanismo di questa atelettasia non ha alcunché di comune con le altre forme descritte a suo luogo. Difatti nel primo caso, a giacenza supina del corpo, le parti dorsali della gabbia toracica (docce polmonari) non si dilatano che di poco o nulla affatto e il respiro è prevalentemente costale e anterolaterale: ne deriva che quelle parti del polmone che corrispondono, per topografia, al territorio dorsale del tronco e che sarebbero tenute, come tutto il rimanente polmone, a seguire il torace nelle sue escursioni, rimangono immobili e in esse l'aria ristagna e fatalmente si riassorbe, onde il collasso. Nel caso delle ferite penetranti viene improvvisamente a gravare sulla superficie del polmone la stessa pressione atmosferica, che già persiste nell'albero bronchiale sino ai suoi rami capillari: e poiché il polmone è mantenuto in uno stato di espansione dalla pressione negativa esistente di norma nella cavità pleurica chiusa, l'apertura repentina di questa cavità lo riconduce in toto a una pressione di equilibrio, e il polmone, elastico com'è, si coarta ed entra in uno stato di riposo funzionale. Se la comunicazione tra pleura e ambiente si mantiene a lungo, lo stato di atelettasia del polmone diviene irreparabile: in caso diverso la sua funzione, almeno in parte, si ripristina, così come quando si provvede tempestivamente a mutare il decubito supino del malato in decubito laterale, alternativamente destro e sinistro, nel collasso del primo tipo.
Il polmone atelettasico, in quanto è privo di ossigeno, è mal nutrito ed è perciò predisposio all'invasione microbica lungo l'albero bronchiale: da ciò le frequenti broncopolmoniti in soggetti vecchi, che decombono a letto supini per molti giorni. Per la stessa ragione l'area atelettasica, in cui il sangue scorre a rilento, perché non favorito nel procedere dal movimento del respiro, è di frequente la sede di emorragie.
È altrove descritto il reperto anatomico della pneumonite fibrinosa detta anche lobare ed è ivi ricordato quanto basta nei riguardi delle sue modificazioni cronologiche e di uno dei suoi esiti, la carnificazione, la quale conduce all'impervietà permanente del polmone leso, qualora la malattia non proceda verso il bene, com'è nel maggior numero degl'infermi. Però il corso del morbo è talora funestato da altre complicazioni strettamente locali, quali l'ascesso e la cancrena, giacché, obliterandosi qualche ramuscolo arterioso tra quelli che attraversano la zona infiammata, il distretto di questa che rimane esangue cade in sfacelo o purulento o putrido. Da ciò un aggravarsi improvviso della forma, anche per la possibilità che la sacca marciosa, di solito superficiale, si vuoti nella cavità pleurica e che si formi in questa un'enorme raccolta purulenta e gassosa insieme (piopneumotorace). In cosiffatta contingenza la superficie del polmone è spalmata da sanie e sullo spaccato si scopre l'ascesso o il focolaio di cancrena in pieno tessuto infiammato. Ciò non toglie che ascesso e cancrena polmonare possano sorgere anche indipendentemente dalla polmonite fibrinosa, quali lesioni a sé, com'è il caso nella cosiddetta pneumonite da inalazione, in cui prodotti alimentari, in luogo di scendere lungo l'esofago, vengono aspirati e non rigettati prontamente con colpi di tosse per uno stato precorrente d'insensibilità delle vie respiratorie. Simile evenienza accade non di rado nei dementi, nei paralitici bulbari, negli apoplettici, nei comatosi per nefrite o per diabete, meno di frequente dopo la narcosi chirurgica.
Sia ancor detto, nei riguardi dei tumori maligni dei polmoni, che ai fenomeni strettamente legati alla lesione polmonare e quindi all'aspetto vario del tumore da caso a caso, concomitano talvolta alterazioni corporee a distanza, percettibili anche a profani e consistenti in ingrossamenti a clava delle dita delle mani (dita ippocratiche), incurvamento delle unghie a vetro d'orologio e tumefazione dei polsi e delle caviglie, che arieggiano un'affezione articolare reumatica e che sono invece semplice espressione di una congestione specifica delle capsule articolari elettivamente irritate dai prodotti tossici formatisi in seno al tumore. Cotali manifestazioni di artritismo pseudoreumatico costituiscono quell'affezione che va in medicina come osteoartropatia pneumica (v. bronchiettasia), alla quale dànno alimento, in specie, quei tumori maligni del polmone, che cadono nel loro centro in sfacelo purulento o cancrenoso.
Fisiopatologia.
Fisiopatologia delle prime vie aeree. - L'aria passando nelle anfrattuosità delle fosse nasali, indugiando in queste cavità, e strisciando sulla superficie della mucosa, sempre umettata da un liquido vischioso (muco), mentre viene liberata dalle particelle sospese (pulviscolo atmosferico) viene anche riscaldata. Intanto la mucosa nasale cede vapor d'acqua all'aria la cui eccessiva secchezza potrebbe riuscire dannosa. Questi meccanismi di protezione proseguono ancora nella faringe, nella glottide, nella trachea e la loro insufficienza può essere causa di disturbi e anche di malattie dell'apparato respiratorio. Un'insufficienza di tali mezzi di protezione si ha, per esempio, nell'ostruzione delle vie nasali sia per catarro nasale acuto e cronico sia per la formazione di polipi. In questi casi gl'individui finiscono con l'abituarsi a respirare per la bocca e allora l'aria giunge direttamente ai bronchi e ai polmoni non riscaldata né filtrata.
Altri meccanismi di difesa mirano a impedire l'ingresso di corpi estranei solidi e liquidi nelle vie che conducono al polmone. In condizioni normali ciò accade ben di rado poiché il meccanismo della deglutizione si compie in modo da rendere impossibile la penetrazione del bolo alimentare o di parte di esso nella laringe. Ma ciò può verificarsi quando viene a mancare per cause patologiche la funzione dei muscoli costrittori della glottide e quando per paralisi del nervo laringeo quest'organo abbia perduta la sua caratteristica sensibilità. Le conseguenze della penetrazione di corpi estranei (frammenti di osso, spine di pesci, particelle di alimenti) nella laringe possono essere assai gravi e le polmoniti da corpi estranei finiscono spesso con la cancrena del polmone.
Tra le svariate alterazioni che possono riscontrarsi nelle prime vie aeree bisogna annoverare i disturbi delle diverse forme di sensibilità (tattica, termica e dolorifica) e i fenomeni riflessi che possono aversi per l'eccitazione della mucosa nasale e che in generale si mantengono nel campo del trigemino e del vago (cefalea frontale e occipitale, asma, tosse spasmodica, ecc.) e della rinofaringe e faringe (tosse stizzosa, senso di soffocazione, otalgia, ecc.).
Nelle prime vie aeree si possono avere anche delle modificazioni della motilità del palato molle e della laringe che hanno una considerevole importanza per le funzioni della respirazione, della fonazione e della deglutizione, come si possono ancora riscontrare svariate alterazioni anatomiche tra cui sono da annoverare anzitutto quelle che producono ingombri e stenosi delle dette vie e distruzioni necrotiche e ulcerative per cui può essere alterata la canalizzazione dell'aria. Rammenteremo qui le riniti, le laringiti acute e croniche, le faringiti, l'aumento del tessuto adenoideo della rinofaringe e delle tonsille, le neoplasie e le localizzazioni sifilitiche e tubercolari.
Fisiopatologia della meccanica respiratoria. - Il ritmo respiratorio normale s'indica col nome di eupnea. La sospensione del ritmo si chiama apnea. L'affrettamento polipnea. Se all'affrettamento del ritmo si uniscono sforzi respiratorî si parla di dispnea. L'apnea è sempre la conseguenza di una diminuita eccitabilità dei centri respiratorî e si possono distinguere l'apnea momentanea e lo stato apnoico. L'apnea momentanea può essere volontaria, ma dopo un breve intervallo di tempo cessa spontaneamente e nessun impulso volitivo può impedire la ricomparsa degli atti respiratorî; come può essere spontanea, in conseguenza di una diminuita venosità del sangue per un minore contenuto in anidride carbonica (apnea vera). Lo stato apnoico, cioè la permanente mancanza della respirazione, ha luogo nel feto finché sono intatti i suoi rapporti con l'utero materno, perché in queste condizioni i centri respiratorî del feto sono irrorati da sangue che non è sufficientemente venoso per stimolarli ad agire. La diminuzione del ritmo respiratorio al disotto di quanto è necessario perché gli scambî siano sufficienti è un fenomeno patologico che dipende dalla diminuita eccitabilità dei centri respiratorî per cause traumatiche o tossiche. In questi stessi casi si produce talvolta il cosiddetto respiro periodico o ritmo di Cheyne-Stokes, che consiste nel fatto che gli atti respiratorî si producono a gruppi separati da lunghe pause e in ogni gruppo mostrano un graduale aumento e poi una graduale diminuzione di ampiezza e talvolta anche di frequenza. La polipnea o affrettamento del ritmo respiratorio, oltre che volontaria, può essere: psichica, dipendente cioè da impressioni sensoriali o psichiche, riflessa, per eccitazione di alcuni nervi di senso, termica, per sovrarriscaldamento dei centri nervosi, compensatoria, quando v'è bisogno di una più alta ventilazione polmonare. Se gli atti respiratorî, oltre che più frequenti, diventano anche sforzati e profondi, e specie quando entrano in giuoco i muscoli sussidiarî dell'inspirazione, si parla di dispnea. Esistono poi ancora alcuni movimenti respiratorî modificati quali lo sternuto, la tosse, il singhiozzo.
Lo sternuto consiste in una o più profonde inspirazioni seguite da una espirazione forzata attraverso le vie nasali mentre le coane si restringono per il sollevamento del palato molle e la bocca generalmente si chiude: esso è assai probabilmente dovuto a un particolare modo di funzionare del centro respiratorio sotto l'impulso di stimoli speciali. Le vie afferenti di questi stimoli sono di solito i rami nasali del trigemino; ma qualche volta si producono anche stimoli allo sternuto per i nervi cutanei (impressioni di freddo) e per il nervo ottico. Le vie efferenti sono le vie motrici espiratorie e quelle per la faringe e il palato molle.
La tosse s'inizia con profonde inspirazioni; si chiude poi la glottide mentre si contraggono i muscoli espiratorî; aumenta così la pressione intratoracica finché si apre d'improvviso la glottide o si produce una violenta espirazione che fa vibrare le corde vocali. Il centro della tosse è situato nella rêgione dei centri respiratorî; le vie afferenti sono: il glossofaringeo per gli stimoli che si originano dalle fauci, il trigemino per gli stimoli del naso, il laringeo superiore per quelli della laringe, i rami polmonari del vago per gli stimoli dei bronchi e dei polmoni, i nervi toracici per gli stimoli della pleura, e, in casi più rari, anche i rami viscerali. Le vie efferenti sono rappresentate dai nervi della glottide, del diaframma e dei muscoli respiratorî.
Il singhiozzo è essenzialmente costituito da una contrazione inspiratoria del diaframma mentre la glottide è chiusa; poi si apre alquanto la glottide, si contraggono i muscoli addominali e v'è una rapida entrata e uscita di aria per cui le corde vocali vibrano generando un rumore caratteristico. Il singhiozzo ora si manifesta nella vita normale, ora è segno di gravi stati morbosi, ora costituisce una malattia a sé di cui si discutono i rapporti con l'encefalite epidemica. Per quanto debba essere considerato come un fenomeno respiratorio, pure esso ha piuttosto origine dagli organi addominali e spesso è connesso con disturbi gastrici. Il centro del singhiozzo è unito col centro respiratorio e anche con quello del vomito. Si trova quindi anch'esso nel bulbo.
Patologia dei bronchi, dei polmoni e della cavità toracica. - Tra le alterazioni dei bronchi bisogna in prima linea annoverare le bronchiti, l'asma bronchiale, le bronchiettasie, le adenopatie bronchiali.
Le bronchiti (v.) consistono in processi infiammatorî determinati generalmente da agenti infettivi o da sostanze irritanti. Come conseguenza di esse v'è sempre un restringimento delle vie respiratorie sia per la tumefazione della mucosa, sia per la presenza di essudato che occlude i bronchi più piccoli. Quando molte delle ramificazioni più sottili dell'albero bronchiale sono occluse, gli scambî respiratorî possono essere fortemente ostacolati malgrado l'intensa dispnea e le conseguenze possono essere assai gravi. I prodotti della secrezione bronchiale e gli essudati infiammatorî che si raccolgono nelle vie aeree vengono espulsi mediante la tosse (espettorazione). L'espettorato o escreato ha qualità assai diverse a seconda delle cause che lo hanno determinato e l'esame microscopico e batteriologico di esso ha un'importanza grandissima.
L'asma bronchiale (v.) è un'alterazione funzionale dei bronchi caratterizzata da accessi di dispnea, talora prolungati, che si manifestano spesso di notte, e durante i quali è ostacolata l'inspirazione e ancora più l'espirazione. Durante l'accesso asmatico l'individuo ha una sensazione angosciosa di oppressione al torace e presenta atti respiratorî ansiosi e sforzati. L'ammalato non può giacere ma deve conservare una posizione semieretta del tronco al fine di rendere più facili ed ampî i movimenti del torace. Gli atti respiratorî sono accompagnati da sibili caratteristici. Il meccanismo patogenetico dell'asma si deve ricondurre a uno spasmo dei muscoli bronchiali per eccitazione dei rami bronchiali del vago. L'etiologia dell'asma è molto complessa, ma si può sempre ricondurre a un'eccitazione diretta o riflessa del centro del vago da stimoli provenienti dalla mucosa bronchiale stessa, dal polmone (enfisema), dalla mucosa nasale (polipi), o essere di origine anafilattica come è il caso dell'asma da fieno.
Le bronchiettasie (v.) o dilatazioni bronchiali hanno come fattori etiologici specialmente le infiammazioni croniche che alterano per sclerosi le pareti elastiche contrattili dei bronchi; secondariamente entrano in giuoco dei fattori meccanici, quale l'aumento di pressione endobronchiale per sforzi inspiratorî e per la tosse. Le bronchiettasie limitate possono anche non produrre gravi alterazioni della funzione respiratoria se in esse non si raccolgono grandi masse di essudato. I ganglî bronchiali sono situati nell'ilo di ogni polmone e ad essi fanno capo i linfatici polmonari. Per lungo tempo dello stato di essi non si è potuta avere che solo una conoscenza anatomopatologica; oggi però in grazia alla radioscopia se ne possono anche in vita apprezzare le modificazioni.
Le adenopatie bronchiali accompagnano spesso le alterazioni nasofaringee e sono un'espressione dello stato adenoideo generale e specialmente un segno precoce della tubercolosi polmonare. Conseguenze delle adenopatie bronchiali di forte grado sono: la tosse a tipo convulsivo per irritazione dei rami del vago, ostacoli circolatorî con tumefazione delle vene del collo e del torace, facilità alle emottisi.
Per quanto riguarda poi le principali alterazioni dei polmoni bisogna considerare: le atelettasie, i processi infiammatorî e infettivi del polmone, l'enfisema polmonare e i disturbi circolatorî del polmone.
Col nome di atelettasia polmonare s'indica la scomparsa effettiva di cavità alveolari per il combaciare delle pareti degl'infundiboli. Ciò si verifica sia in seguito all'occlusione completa e definitiva di un tronco bronchiale poiché allora l'aria rimasta chiusa negl'infundiboli viene riassorbita e le pareti degli alveoli vengono a contatto tra di loro sicché il polmone assume l'apparenza di un polmone fetale, sia ancora quando il polmone non può più distendersì negli atti inspiratorî a causa di un pneumotorace o di un versamento intrapleurico durato a lungo. Le conseguenze dell'atelettasia polmonare dipendono dall'estensione della lesione; se questa è limitata si stabiliscono ben presto dei compensi mediante l'enfisema detto vicariante; se, invece, una considerevole parte del tessuto polmonare è divenuta impervia all'aria, insorge la dispnea. Quando tutto un polmone è atelettasico, le escursioni respiratorie di metà del torace diminuiscono o cessano mentre la parete toracica si deforma per la pressione atmosferica esterna.
Nei processi infiammatorî acuti del polmone si producono sempre quantità abbondanti di essudato che, riempiendo gli alveoli polmonari, impediscono in essi l'arrivo dell'aria. Le più frequenti forme infiammatorie del polmone sono le infettive e tra queste si è soliti distinguere le broncopolmoniti (in cui è leso anche l'apparato bronchiale e che si presentano a focolai diffusi, che spesso passano da regione a regione del polmone formandosene dei nuovi mentre altri migliorano) e la polmonite croupale o fibrinosa (caratterizzata da un denso essudato fibrinoso che riempie gli alveoli) detta anche polmonite lobare perché in genere interessa uno o due interi lobi del polmone. Le broncopolmoniti vengono in generale prodotte da stafilococchi, streptococchi e bacilli di varia natura, mentre l'agente etiologico della polmonite franca, lobare, è rappresentato dal diplococco di Fraenkel.
Tra gli altri processi infiammatorî del polmone vanno ricordati l'ascesso polmonare, che si ha come conseguenza di bronchiti e broncopolmoniti purulente o tubercolari o per emboli settici, e la polmonite pestosa, assai somigliante alla polmonite crupale e che è sempre mortale.
Nei polmoni si possono ancora avere dei processi infiammatorî cronici quali l'induramento polmonare o sclerosi, in cui vi è aumento del connettivo interstiziale a scapito degli alveoli e delle reti capillari perialveolari; la tubercolosi polmonare, in cui mentre da una parte si ha occlusione degli alveoli nelle regioni in cui si producono noduli tubercolari giovani dall'altra si riscontra distruzione del tessuto polmonare (formazione di caverne); l'actinomicosi e la morva, infezioni però molto più rare.
Per enfisema polmonare s'intende un ampliamento delle cavità alveolari del polmone mentre sono distrutti molti dei sepimenti che separano tra loro queste cavità. Esso è causa di un'insufficienza della funzione respiratoria per la diminuita elasticità polmonare, per la riduzione considerevole della superficie respiratoria e l'obliterazione delle reti capillari. Se l'enfisema è lieve, può non aversi dispnea o apparire solo in seguito a fatica; se, invece, è grave, la dispnea è costante e, quando insorgono altre alterazioni polmonari o circolatorie, può essere causa di morte. Si parla di enfisema interstiziale quando l'aria penetra nello stroma connettivale interacinoso o interlobulare attraverso le cavità alveolari per lacerazioni di sepimenti. L'enfisema interstiziale si ha principalmente quando per potenti movimenti respiratorî si lacerano i sepimenti alveolari atrofici in un polmone con enfisema alveolare.
La funzione polmonare, infine, è ancora in dipendenza della velocità e della pressione del sangue nel piccolo e nel grande circolo e quindi anche dello stato del cuore e dei vasi. Si comprende perciò facilmente come dei disturbi della funzione respiratoria possano insorgere nelle malattie di cuore e per embolie, infarti e trombosi nei polmoni.
Anche le alterazioni del torace possono evidentemente apportare dei disturbi più o meno gravi nella meccanica respiratoria. Così per tumori del mediastino, per aneurismi dell'aorta, per essudati intrapericardici, ecc., si ha una diminuzione della cavità toracica e gli effetti di questi ostacoli, pur essendo diversi a seconda della natura e dell'entità della lesione, hanno comune la diminuita possibilità del tessuto polmonare di espandersi durante i movimenti inspiratorî. Inoltre per questi ostacoli vi può essere compressione dei rami arteriosi polmonari e quindi disturbi circolatorî gravi, come si possono avere anche alterazioni nervose di varia natura, per compressione dei tronchi del vago e del frenico. Gli effetti più gravi e più palesi della diminuzione dello spazio toracico si hanno nelle pleuriti essudative e negl'idropi (idrotorace) da qualsiasi causa prodotti. Le lievi diminuzioni dello spazio intratoracico non dànno in genere alcun disturbo o tutt'al più qualche disturbo lieve nell'inspirazione forzata.
La comunicazione poi delle cavità pleuriche con l'aria atmosferica produce uno stato morboso grave detto pneumotorace. Questa comunicazione si può stabilire in seguito ad apertura della cavità pleurica per ferite della parete toracica o per perforazione dal polmone già malato (caverne tubercolari, processi ulcerativi dei polmoni, enfisema, ecc.). Nell'atto respiratorio normale, a torace in stato di riposo, la pressione nell'interno degli alveoli è uguale a quella dell'aria atmosferica mentre esternamente a essi la pressione è inferiore. Quando si viene a stabilire una comunicazione fra la cavità pleurica e l'aria atmosferica, p. es., per una ferita del torace, allora la penetrazione dell'aria in questa cavità fa sì che le pressioni interna ed esterna degli alveoli divengano eguali e ne consegue una retrazione delle pareti alveolari.
Nelle ossa e nei muscoli della parete toracica possono inoltre insorgere alterazioni che ne impediscono i liberi movimenti e anche ciò rappresenta una causa di modificazioni della funzione respiratoria. Così processi infiammatorî delle articolazioni costo-vertebrali possono limitare l'ampiezza dei movimenti delle costole; lesioni di diversa natura possono diminuire l'elasticità delle cartilagini e la resistenza degli archi costali; si producono allora deformazioni gravi della cassa toracica per le quali la respirazione diviene difficile e anormale.
Per atrofia di alcuni muscoli toracici e del diaframma può ancora diminuire l'energia dell'atto inspiratorio.
Anche alcune malattie dell'addome possono infine cagionare disturbi respiratorî sia perché si altera la funzionalità di muscoli respiratorî importanti, quali il diaframma e i muscoli delle pareti addominali, sia perché aumenta la pressione intraddominale a scapito della cavità toracica, sia anche, per via riflessa, per eccitazione del vago e del simpatico.
Alterazioni dei processi chimici della respirazione. - Le alterazioni dei processi chimici della respirazione possono dipendere: dallo stato dell'atmosfera, dallo stato dei polmoni, del sistema circolatorio e del sangue, dalle condizioni generali del ricambio. È evidente, infatti, che lo stato dell'atmosfera e precisamente la sua composizione chimica e la sua pressione debbano influire sugli scambî respiratorî e ciò tanto per le variazioni quantitative dei componenti usuali dell'aria quanto per la presenza di gas anormali e venefici. La sovrabbondanza dell'ossigeno nell'aria di respirazione favorisce uno degli scambî tra l'aria e il sangue cioè l'introduzione di ossigeno, per ciò è richiesta una minore ventilazione polmonare; ma non è però influenzato l'altro scambio, l'eliminazione cioè dell'anidride carbonica dal sangue. Tuttavia in tutti i casi in cui la ventilazione polmonare è per qualsiasi ragione resa difficile, si è soliti far respirare un eccesso di ossigeno allo scopo di combattere almeno uno dei fattori dell'asfissia. Se un animale al contrario respira in un ambiente povero di ossigeno la ventilazione polmonare si affretta, si produce cioè un certo grado di dispnea e il maggior lavoro dei muscoli respiratorî fa sì che aumenta talvolta l'eliminazione dell'anidride carbonica. Le modificazioni respiratorie si hanno solo quando la quantità di ossigeno nell'ambiente scende a 15-11%. Al disotto di tali valori cambia assai la composizione dell'aria alveolare, ciò che ha una grande importanza per la funzione respiratoria. In ambienti in cui la quantità di anidride carbonica è elevata (circa l'1%) si ha un acceleramento del ritmo respiratorio e compare una vera dispnea quando l'anidride carbonica sorpassa il 7%. Allora per il maggior lavoro dei muscoli respiratorî aumenta il consumo di ossigeno. Ciò però in verità avviene quando si tratta di anidride carbonica pura; se invece l'aria ambiente è viziata per la presenza di fiamme o per la respirazione di molti individui può aversi che tanto il consumo di ossigeno quanto l'eliminazione dell'anidride carbonica si abbassino del 10-15%. L'aumento di pressione atmosferica (fino a 2 atm.) non produce in generale variazioni importanti della funzione respiratoria ma solo tutt'al più un lieve aumento delle ossidazioni. Aumenti superiori della pressione possono però determinare l'effetto opposto: la diminuzione delle ossidazioni. Nella diminuzione della pressione atmosferica, quale si ha in alta montagna o nelle ascensioni in pallone è stato osservato un aumento dei processi ossidativi o una diminuzione della tensione parziale dell'anidride carbonica nell'aria alveolare.
I gas deleterî, presenti nell'aria di respirazione, possono fortemente modificare la funzione respiratoria o perché modificano l'emoglobina del sangue rendendola inadatta a compiere il suo ufflcio di trasportare l'ossigeno ai tessuti (ossido di carbonio, idrogeno arsenicale, idrogeno solforato, ecc.) o perché abbassano la funzionalità dei centri respiratorî (narcotici) o perché, producendo fatti irritativi nelle vie aeree superiori, possono determinare lo spasmo della glottide e dei bronchi con conseguente difficoltà per la ventilazione polmonare, o anche, infine, perché le lesioni determinate nell'epitelio respiratorio alterano profondamente lo scambio dei gas tra sangue e aria (cloro, bromo, acido cloridrico, ecc., e i gas asfissianti e fumogeni quali il fosgene, la palite, la cloripicrina, l'iprite, ecc.).
Poiché poi l'ossigenazione del sangue e il trasporto dell'ossigeno ai tessuti e dell'anidride carbonica all'aria esterna è in stretta dipendenza con la meccanica respiratoria e la circolazione del sangue, si comprende come alterazioni dello stato anatomico e funzionale dei polmoni e del cuore possano avere una grande influenza sui fenomeni chimici della respirazione. In condizioni normali esistono squisiti meccanismi di regolazione polmonari e circolatorî che valgono a compensare ogni momentanea variazione del bisogno di ossigeno e della produzione di anidride carbonica. Ma se sussistono lesioni dei polmoni e del cuore, la compensazione non può più effettuarsi e insorgono allora delle alterazioni gravi dei processi ossidativi dell'organismo.
Infine gli scambî respiratorî non sono che il risultato dei processi ossidativi che avvengono in tutti i tessuti e che rappresentano gran parte delle trasformazioni energetiche che si verificano nell'organismo, e perciò il chimismo respiratorio può anche essere modificato dalle condizioni generali del ricambio (digiuno, febbre, malattie consuntive, malattie principali del ricambio).
Chirurgia.
La storia della chirurgia dell'apparato respiratorio risale molto lontano nei tempi. Già nell'epoca d'Ippocrate e di Celso si aprivano e si drenavano le pleuriti e si curavano le ferite del polmone. Il concetto del moderno pneumotorace esisteva già nel sec. XVII, ed era qualificato sotto il nome di enfisema interno. Notevoli progressi pratici nel trattamento chirurgico delle ferite toraciche in genere e particolarmente di quelle polmonari erano stati fatti nel sec. XIX con l'esperienza delle grandi guerre; però è soltanto degli ultimi decennî l'indirizzo più audace della chirurgia dell'apparato respiratorio, collegato con i progressi dei mezzi tecnici e con i risultati delle esperienze chirurgiche condotte sugli animali.
Nell'apparato respiratorio vanno distinte due parti: le vie aeree e gli organi respiratorî veri e proprî. Dal punto di vista chirurgico le vie aeree hanno un'importanza pratica forse superiore a quella del resto dell'apparato respiratorio. Basta ricordare il naso e il cavo naso-faringeo (adenoidi) con le cavità delle ossa circostanti (seni), la faringe (tonsille), la laringe e la trachea con le malformazioni, le flogosi e i tumori che possono avervi sede, per avere un'idea dell'importanza chirurgica di tali formazioni. Per notizie su tali argomenti, v. le voci relative.
La chirurgia dell'apparato respiratorio presenta speciali caratteristiche che per molto tempo ne hanno limitato le indicazioni e ancora oggi rappresentano una somma di difficoltà che ne rendono la pratica particolarmente delicata e complessa. Il fatto dominante della fisiologia dell'apparato respiratorio è costituito dalla necessità che l'espansione polmonare, e in complesso la funzione respiratoria, avvengano in quelle certe condizioni fisiche di pressione che permettano liberamente il movimento di entrata e di uscita dell'aria nell'albero respiratorio.
Il mantenimento di quelle condizioni è stato ed è la principale preoccupazione del chirurgo che si trovi nella necessità di intervenire sull'apparato respiratorio, mentre in alcuni casi (pneumotorace terapeutico) la riduzione o l'abolizione della funzione respiratoria può costituire lo scopo di un atto chirurgico. Per mantenere le normali condizioni fisiologiche della funzione respiratoria bisogna evitare che l'aria esterna, penetrando nella cavità toracica (pneumotorace), comprima la superficie polmonare in maniera più o meno rilevante. Per ottenere questo scopo, bisogna distinguere i mezzi che tendono a evitare in modo assoluto il pneumotorace e quelli che tendono soltanto a impedire che il pneumotorace, una volta stabilitosi, resti aperto. Per evitare il pneumotorace aperto può bastare afferrare il polmone con uno strumento e attirarlo verso l'apertura esistente nella parete toracica, fissandolo. In questo modo viene impedita l'ulteriore entrata d'aria nel cavo toracico e, una volta riassorbita quella che v'era entrata, si ripristinano le condizioni normali di meccanica respiratoria. L'apertura toracica può venire chiusa, invece che dal polmone, da un tamponamento, ottenendo parimenti lo scopo di trasformare il pneumotorace aperto in pneumotorace chiuso. Naturalmente questa pratica non elimina gl'inconvenienti legati alla presenza del pneumotorace, che possono essere di notevole disturbo sia durante l'atto operativo sia nel periodo immediatamente consecutivo, finché l'aria penetrata non venga riassorbita, fatto del quale non può essere prevista la durata. Le complicazioni del pneumotorace anche chiuso, a parte quelle gravi immediate, consistenti principalmente nello squilibrio improvviso della funzione cardiaca, sono costituite essenzialmente dalle grandi probabilità d'infezione del cavo pleurico che il pneumotorace porta con sé. Per risolvere subito il pneumotorace chiuso è stato anche proposto di sostituire con liquido l'aria penetrata nel cavo toracico e poi di estrarre il liquido provocando così l'espansione polmonare; un tale metodo presenta notevoli difficoltà meccaniche e tecniche. Per cercare di ovviare a tali incanvenienti e impedire che la funzione respiratoria venga ostacolata dal pneumotorace sono stati proposti varî metodi che tendono a mantenere, anche dopo l'apertura della cavità toracica, la possibilità dell'espansione polmonare. Tali metodi essenzialmente consistono nel creare all'esterno del polmone una pressione negativa che tende a farlo espandere oppure mantenendo nell'interno dell'albero respiratorio una pressione più grande della normale, tale che ne impedisca la retrazione. Sono stati chiamati metodi della pressione differenziale.
Tali metodi, che sono stati ideati da non più di trent'anni, possono essere distinti a seconda che si tratti di mantenere il polmone espanso creando all'esterno di esso, malgrado l'apertura della parete toracica, una pressione minore di quella atmosferica esistente nell'interno dell'albero respiratorio, oppure creando nell'interno dell'albero respiratorio una pressione più alta di quella atmosferica. Per ottenere la pressione più bassa di quella atmosferica all'esterno del polmone, a torace aperto, sono state ideate e costruite le camere a pressione negativa. Si tratta di piccole camere operatorie ermeticamente chiuse dov'è possibile creare una pressione inferiore a quella atmosferica: nell'interno di tali camere sono gli operatori e il corpo dell'operato, mentre la testa di esso, attraverso un'apposita apertura, può rimanere all'esterno e quindi respirare nell'ambiente a pressione atmosferica normale. Esattamente il contrario tendono a ottenere gli altri metodi che lasciano il corpo del malato nell'ambiente a pressione atmosferica normale e creano nell'albero respiratorio di esso una pressione più alta di quella atmosferica (in pratica la differenza di pressione che si vuole ottenere con l'uno o l'altro metodo è di 10-12 mm. di mercurio) per mezzo di apparecchi a chiusura ermetica dov'è possibile introdurre la testa del malato e aumentare la pressione dell'aria ch'esso respira, oppure per mezzo di maschere speciali nelle quali il malato respira aria a pressione più alta del normale o ancora più semplicemente insufflando nel polmone aria attraverso una sonda di piccolo calibro che passa nella trachea attraverso la laringe.
Naturalmente ognuno di questi metodi presenta vantaggi e svantaggi: il più semplice, quello dell'insufflazione intratracheale, è probabilmente il migliore, ma bisogna tenere presente che è necessaria un'anestesia completa per passare una sonda attraverso la laringe e che sperimentalmente sono stati dimostrati danni notevoli nel parenchima polmonare se accade che l'aria venga insufflata a pressione troppo elevata, fatto non sempre bene controllabile. È necessario anche ricordare che l'apertura operatoria di un bronco può rendere vani tutti i dispositivi tendenti alla pressione differenziale, perché basta per stabilire una comunicazione e quindi l'equilibrio della pressione tra l'albero respiratorio e l'ambiente stesso. In complesso l'estensione della pratica della chirurgia dell'apparato respiratorio che va facendosi sempre più ampia tende oggi a far pensare che il pericolo del pneumotorace aperto è stato un po' sopravvalutato e che dev'essere tenuto in considerazione in un numero di casi minore di quello che fino a qualche tempo fa veniva considerato.
Collegato assai da vicino al problema del pneumotorace aperto si è trovato nella chirurgia dell'apparato respiratorio il problema dell'anestesia perché tutti i metodi descritti della pressione differenziale hanno dovuto considerare la necessità di unire all'aria della respirazione la sostanza narcotizzante; questa necessità ha portato più grandi complicazioni negli apparecchi che abbiamo ricordato quindi maggiore difficoltà di uso e minore diffusione di essi. L'adozione, ormai larga, dell'anestesia locale, invece di quella generale, anche nella chirurgia dell'apparato respiratorio, malgrado la possibilità, forse troppo temuta, dei riflessi pleurocardiaci, ha eliminato molte diffificoltà e molti rischi e dev'essere considerata come un fattore reale di progresso. L'uso dell'anestesia locale permette, molto più spesso che l'uso della narcosi, di mantenere il paziente nella posizione più adatta, che generalmente è quella semiseduta, e con questo contribuisce a togliere molte incertezze agli interventi sull'apparato respiratorio aumentando la possibilità di buon successo. A questo contribuiscono anche molto gli speciali strumenti che semplificano la tecnica della chirurgia toracica, l'accorgimento di eseguire alcuni interventi in più tempi e tutto quel complesso di cure che vogliono raggrupparsi sotto la qualifica di "trattamento post-operatorio".
Gl'interventi operatorî che si praticano per le malattie dell'apparato respiratorio sono naturalmente di varia natura e di varia entità. Tra essi vanno ricordate anche alcune delle ricerche diagnostiche che possono essere necessarie per tali malattie e che, per la tecnica che deve essere usata per l'applicazione di esse, debbono essere considerate come veri atti chirurgici. Tali sono la broncoscopia e in genere la toracoscopia e anche la broncografia.
La broncoscopia consiste nel far penetrare attraverso la laringe nella trachea uno strumento endoscopico che permette la visione diretta delle pareti e del lume tracheale e del tratto prossimale dei grossi bronchi. Per la toracoscopia, che recentemente ha avuto particolare incremento per l'applicazione del pneumotorace, si fa panetrare attraverso la parete toracica uno strumento endoscopico nel cavo pleurico per poterne ispezionare direttamente le pareti. Tali mezzi diagnostici hanno anche valore terapeutico perché la broncoscopia può servire al trattamento diretto di lesioni tracheobronchiali o all'allontanamento di corpi estranei e la toracoscopia generalmente serve a praticare la sezione di aderenze pleuriche che impediscono o disturbano la collassoterapia per mezzo del pneumotorace. La broncografia serve a dare un'immagine dell'albero bronchiale rendendolo opaco ai raggi X per mezzo dell'immissione in esso di speciali sostanze opache che possano giungere e rimanere senza danno a contatto dell'apparato respiratorio. La parte chirurgica della broncografia è quella che serve a far penetrare il mezzo opaco nell'albero bronchiale; questo si ottiene o facendo giungere una sonda nella trachea e nei bronchi attraverso la laringe, o pungendo direttamente la trachea e iniettando la sostanza opaca per mezzo dell'ago o anche facendo inalare, dopo aver fatto una completa anestesia locale, il liquido opaco versato nella faringe. Questi sistemi, oltre che a scopo diagnostico, possono essere utili anche a scopo curativo per far giungere nell'albero respiratorio sostanze medicamentose. Tali mezzi, sia a scopo diagnostico sia curativo, sono molto delicati e richiedono l'applicazione di una tecnica molto accurata, per evitare che possano essere causa di danni, talvolta di notevole entità. Il mezzo diagnostico di essenza esclusivamente chirurgica è la toracotomia esplorativa. Questo intervento, come tutti gl'interventi esplorativi in qualsiasi regione, dovrebbe tendere a scomparire a mano a mano che i processi d'indagine clinica migliorano e si affinano e infatti si può dire che certamente va diminuendo d'importanza e di frequenza; in genere viene praticata con un taglio nello spazio intercostale più vicino alla regione che si vuole esaminare, grande quanto basti per esaminare bene con la vista o, al massimo, con le dita di una mano.
Per dare un'idea sintetica degli atti chirurgici che si compiono sull'apparato respiratorio è necessario procedere ricordando le varie malattie che possono trarre giovamento dal trattamento chirurgico.
Le lesioni traumatiche dell'apparato respiratorio possono richiedere l'intervento chirurgico per varie ragioni e le principali sono: la necessità di dominare un'emorragia, di chiudere un pneumotorace o di aprirne uno costituitosi a pressione, di evitare l'insufflazione d'aria nei tessuti (enfisema) e di allontanare corpi estranei. L'emorragia ha importanza assai differente se causata da una ferita della parete o da una ferita del polmone. Sarà facile dominare, in qualunque caso, purché sia visibile, un'emorragia, anche se abbondante, che provenga dalla parete toracica, ma potrà essere assai difficile rintracciare e arrestare un'emorragia proveniente da vasi del polmone. Tra le ferite parietali meritano speciale attenzione le ferite delle arterie intercostali che possono essere tali da far versare il sangue nell'interno del cavo pleurico e non all'esterno, ingannando così sulla loro reale gravità finché i segni dell'anemia acuta per il grande emotorace non portano alla diagnosi esatta. Le ferite parietali generalmente vengono trattate con la sutura, se non vi sono speciali ragioni che facciano dubitare della asepsi. Le ferite del polmone possono essere trattate con la sutura diretta, aprendo largamente il torace, seguendo il percorso polmonare della ferita, suturando o legando i vasi aperti ed eventualmente estraendo un corpo estraneo. Raramente può accadere che sia necessario di unire al trattamento della ferita pleurica e polmonare la resezione di costole fratturate che altrimenti continuerebbero a ferire pleura e polmoni. La sutura del polmone si fa generalmente con i comuni mezzi tecnici; nella cura delle emorragie traumatiche e anche di quelle non traumatiche del polmone può essere usato anche il pneumotorace che, comprimendo il polmone ferito, comprime anche i vasi sanguinanti: naturalmente per ottenere la compressione è necessario in tali casi chiudere la ferita della parete toracica. D'altra parte il pneumotorace può essere anche una complicazione grave delle ferite pleuropolmonari: bisogna considerare l'eventualità che il pneumotorace sia aperto o chiuso: se è aperto è opportuno trasformarlo in pneumotorace chiuso per evitare specialmente le possibilità d'infezione. Se invece è chiuso, a pressione, perché dalla ferita polmonare continua a penetrare aria nel cavo pleurico, bisogna aprirlo e riparare possibilmente la ferita del polmone. Fra le lesioni traumatiche può essere considerata anche la penetrazione nella trachea o nei bronchi di corpi estranei attraverso la laringe: questo è il campo nel quale trova la più utile applicazione la broncoscopia: esistono serie intere di speciali strumenti costruiti per estrarre, attraverso il broncoscopio, i vari corpi estranei che più comunemente possono penetrare nelle vie aeree.
Nelle infiammazioni dell'apparato respiratorio, sia acute sia croniche, la chirurgia trova largo campo di azione. L'intervento chirurgico più frequente è quello destinato a curare la pleurite purulenta (empiema pleurico). Tale intervento consiste nell'apertura della parete toracica, generalmente per mezzo della resezione d'un tratto di costola, per dare esito al liquido purulento contenuto nel cavo pleurico. La cura chirurgica dell'empiema può promettere la guarigione completa e rapida della malattia se l'intervento operatorio è precoce, quando il foglietto viscerale della pleura non è diventato rigido e cicatriziale e il polmone può tornare liberamente a espandersi; se, invece, l'empiema data da tempo, fino anche a poter essere qualificato cronico, pure non essendo di natura tubercolare, accade con la massima probabilità che, dopo la resezione costale e lo svuotamento del liquido purulento contenuto nel cavo pleurico, questo non può obliterarsi perché viene a essere costituito da una parete esterna, quella toracica, rigida per la costituzione scheletrica, e da una parete interna che per lo spessore cicatriziale provocato dalla lunga flogosi è anche rigida e tiene immobile il polmone. In tali casi la cavità pleurica resta aperta e si stabilisce quella che si chiama fistola toracica. La cura chirurgica della fistola toracica ha lo scopo di obliterare la cavità rimasta, cercando di far tornare a contatto le pareti eliminandone la rigidità. Per eliminare tale rigidità si agisce sulla parete toracica resecando le costole, per il tratto e per il numero reso necessario dall'estensione della cavità da obliterare; si agisce anche sul foglietto viscerale della pleura cicatrizzato e irrigidito a ridosso del polmone o asportandolo in parte o in tutto (decorticazione del polmone) o sezionandolo in modo da interromperne la continuità e permettere così al sottostante tessuto polmonare di espandersi fino alla parete toracica. Tali operazioni sono generalmente molto gravi, ma riescono bene allo scopo. L'ascesso e la cancrena sono le infiammazioni del polmone che più spesso richiedono cura chirurgica. Gli interventi diretti alla cura di tali malattie sono di varia natura a seconda che si voglia ottenere la guarigione aprendo la cavità ascessuale polmonare oppure obliterandola per compressione oppure facendovi giungere sostanze medicamentose. Il primo mezzo, che è il più diretto, è quello dell'apertura della parete toracica mediante la resezione costale e dell'ascesso mediante l'incisione polmonare. Tale atto chirurgico ha ben diversa importanza se l'ascesso è periferico e il polmone aderisce alla parete toracica o se il cavo pleurico è libero e l'ascesso è in mezzo al tessuto polmonare. In questo caso i rischi operatorî sono molto più rilevanti per la possibilità della creazione di piopneumotorace aperto per lo scolo del pus polmonare infetto nel cavo pleurico e di gravi emorragie dall'incisione del tessuto polmonare necessaria per raggiungere la cavità ascessuale. A questi due pericoli si ripara facendo, quando è possibile, l'intervento in due tempi, limitandosi nel primo tempo a fare aderire il polmone alla parete toracica e procedendo nel secondo all'incisione dell'ascesso, incidendo attraverso il polmone col coltello diatermico o caustico o con legature emostatiche. Il complesso dei rischi inerenti a tali interventi chirurgici e la possibilità della formazione di una fistola bronchiale giustifica l'adozione dei tentativi chirurgici di più modesta portata e delle cure mediche nel trattamento dell'ascesso e della cancrena polmonare. Astraendo dalle cure mediche, i tentativi chirurgici per far guarire una raccolta purulenta polmonare senza aprirla consistono nei metodi di compressione polmonare (pneumotorace; frenico-exeresi) o nell'immissione di sostanze medicamentose nella cavità ascessuale per tentare di guarire l'infiammazione e favorirne la cicatrizzazione. I tentativi di compressione possono avere speranze di successo nei casi di piccole raccolte ascessuali; quelli tendenti al trattamento medicamentoso si arrestano contro l'impossibilità pratica di far rimanere la sostanza medicamentosa a contatto della parete ascessuale per un tempo sufficiente allo svolgimento della sua azione. È bene ricordare che tali tentativi possono essere giustificati soltanto quando si tratti di forme settiche non gravi, nelle quali l'attesa non pregiudichi la guarigione. Generalmente quindi sono da eliminare nei casi di cancrena del polmone. Quanto si è detto per le raccolte ascessuali vale per le cisti di echinococco del polmone; unica differenza da tener presente è che il contenuto di queste non è settico, ma altamente tossico, e che la cura chirurgica delle cisti di echinococco deve tendere anche all'asportazione della parete cistica oltre che allo svuotamento del contenuto liquido; anche in questi casi sono possibili tentativi di svuotamento con punture e di immissione nella cavità di sostanze atte a uccidere il parassita.
Prima di considerare le infiammazioni croniche del polmone, come la tubercolosi, è necessario ricordare anche quella speciale malattia che interessa bronchi e polmoni, ad andamento cronico, costituita dalle bronchiettasie. Le infezioni acute della trachea e dei bronchi praticamente possono essere considerate fuori del campo chirurgico (non è qui il caso di occuparsi della difterite), ma le bronchiettasie, pur avendo generalmente origine da processi morbosi acuti, costituiscono una malattia a sé, che forma tuttora oggetto di studio e che può essere considerata come malattia cronica dei bronchi e dei polmoni. Le cavità multiple, piccole o grandi, che costituiscono tale malattia sono costituite a carico dei bronchi e dei tessuti peribronchiali, cioè polmonari e possono quindi essere considerate come piccoli ascessi multipli. La cura chirurgica delle bronchiettasie viene presa in considerazione generalmente soltanto quando si tratti di lesioni unilaterali e può consistere nell'apertura delle cavità mediante incisione del polmone, o nell'asportazione del tratto di polmone malato. La natura della malattia, ancora oscura nella sua patogenesi e nella sua evoluzione, rende assai incerti i risultati. In tutti questi casi ricordati la cura chirurgica che tende all'apertura di cavità che si sono costituite nel tessuto polmonare deve tener presente la probabilità o almeno la possibilità della formazione di una fistola bronchiale, se nelle cavità aperte viene a corrispondere lo sbocco di un bronco di calibro notevole. Questo fatto costituisce una complicazione e un esito che per sé stesso deve essere poi considerato come speciale malattia ed è passibile di cura chirurgica. Quando si stabilisce una fistola bronchiale il rischio più frequente è quello dell'infezione secondaria dell'apparato respiratorio attraverso la comunicazione diretta che la fistola costituisce con l'ambiente esterno, comunicazione attraverso la quale l'aria e le secrezioni passano all'esterno creando un incomodo veramente rilevante per il malato. La cura della fistola bronchiale può essere soltanto chirurgica ed è tuttora un problema di tecnica assai complesso: è assai poco probabile che la semplice legatura di un bronco possa riuscire a provocarne la chiusura per cicatrizzazione. In genere è più probabile ottenere la chiusura usufruendo dei tessuti peribronchiali; per ottenere la chiusura di una fistola bronchiale è spesso necessaria una serie d'interventi chirurgici praticati a mesi e anni di distanza l'uno dall'altro.
Le flogosi croniche dell'apparato respiratorio interessano la chirurgia quasi esclusivamente per quanto riguarda la cura della tubercolosi polmonare. Nella trachea e nei bronchi i processi infiammatorî cronici, come la sifilide, possono produrre fatti di stenosi e perforazioni che talvolta traggono utilità da cure chirurgiche praticate per mezzo dell'endoscopia; nella pratica tali casi si riducono a rarità assolute. Anche fuori del campo chirurgico possono essere considerate praticamente le flogosi croniche non tubercolari del polmone, come la sifilide e l'actinomicosi. La tubercolosi polmonare, invece, è stata la malattia che nell'ultimo periodo ha dato il più largo impulso alla chirurgia polmonare. Le cure dirette della tubercolosi del polmone, cioè quelle tendenti all'asportazione dei focolai della malattia o alla cura locale di essi con sostanze modificatrici, è rimasta sempre allo stato di tentativo; ma la cura indiretta, quella cioè tendente a favorire la guarigione dei focolai tubercolari mediante l'immobilizzazione del polmone ha avuto larghissime applicazioni. Essa in genere viene compresa sotto la qualifica di collassoterapia (v.) e nelle sue applicazioni segue direttive varie per raggiungere lo scopo.
L'intervento più semplice è il pneumotorace, consistente nella immissione nel cavo pleurico di aria o gas inerte, sotto una pressione tale da comprimere il polmone e mantenerlo in una relativa immobilità. Per tale intervento sono stati costruiti speciali apparecchi che permettono di far penetrare l'aria e di stabilire bene la misura della pressione endopleurica.
La pratica di questo intervento può essere ostacolata dall'esistenza di aderenze che fissino più o meno largamente il foglietto viscerale e quello parietale della pleura. Se si può supporre che tali aderenze siano di non grande estensione, se ne può praticare la sezione o direttamente, aprendo la parete toracica, o per mezzo di speciali strumenti endoscopici e operativi che possono penetrare nel cavo pleurico attraverso piccole aperture. Quando il pneumotorace non è possibile, la compressione del polmone può essere ottenuta o schiacciandolo con mezzi varî di compressione anche insieme con la pleura parietale scollata dalla parete (collassoterapia extrapleurica) o per mezzo della mobilizzazione delle pareti: questi interventi sono le toracoplastiche e il rialzamento paralitico del diaframma. Le toracoplastiche hanno lo scopo di sopprimere la rigidità della parete toracica in modo che questa venga ad addossarsi al polmone comprimendolo per azione di gravità. La tecnica di tali interventi consiste essenzialmente nella sezione o nella resezione di quel numero di costole che si crede necessario per ottenere la compressione del polmone malato. La difficoltà maggiore per raggiungere lo scopo si trova nelle parti più alte del torace dove la rigidità della parete toracica è più accentuata per la costituzione stessa dello scheletro. Le toracoplastiche, anche praticate in anestesia locale, sono interventi sempre di notevole gravità, anche per le condizioni di deperimento nelle quali si trovano i malati, e deve esserne bene vagliata l'indicazione.
Il rialzamento del diaframma, che costituisce la parete inferiore della cavità toracica, si ottiene provocandone la paralisi con la sezione del nervo frenico. Con tale intervento si ottiene la compressione, specialmente della parte inferiore del polmone. Il nervo frenico viene scoperto al collo e sezionato: per impedire che la presenza eventuale di rami collaterali possa rendere incompleta la paralisi, in genere si usa di non limitarsi alla sezione del nervo, ma di praticarne l'asportazione per un tratto di parecchi centimetri: questa è la frenico-exeresi.
I varî interventi che costituiscono la collassoterapia possono essere praticati da un lato o anche dai due lati, successivamente o contemporaneamente; possono essere variamente associati fra loro. Per stabilirne esattamente l'indicazione è necessario tener bene presente da un lato che si tratta di interventi coadiuvanti e non risolutivi e dall'altro lato che i rischi che affronta il malato possono essere notevoli.
Nel campo dei tumori dell'apparato respiratorio debbono essere distinti quelli della trachea e dei bronchi da quelli dei polmoni e della pleura. Con la chirurgia endoscopica possono essere ben curati e guariti piccoli tumori dei bronchi e della trachea.
I tumori dei polmoni e della pleura assai raramente possono essere diagnosticati in tempo utile per un intervento chirurgico. Nella maggioranza dei casi sono secondarî, metastasi di altri tumori esistenti nell'organismo.
In ultimo si può ricordare, fra le malattie dell'apparato respiratorio trattabili con cura chirurgica, l'embolia dell'arteria polmonare. Questa tragica evenienza, che mette un quoziente d'incertezze sull'esito di ogni intervento chirurgico, in senso stretto non è una malattia dell'apparato respiratorio: i trombi si formano nelle vene periferiche e passando per il cuore chiudono l'arteria polmonare come conseguenza può certamente essere considerato l'infarto polmonare, ma la morte in tali casi avviene per il disturbo della meccanica circolatoria e cardiaca e non per la lesione polmonare. In ogni modo, siccome la cura chirurgica di tale malattia rappresenta una delle più audaci conquiste della chirurgia moderna, crediamo possa essere ricordata anche tra gl'interventi diretti a curare le malattie dell'apparato respiratorio. In questo caso l'operazione consiste nella scopertura dell'arteria polmonare al suo inizio resecando una costola e incidendo il pericardio: successivamente s'incide la parete arteriosa, si estraggono i trombi occludenti e poi si chiude con sutura l'incisione dell'arteria. Durante l'intervento viene arrestata anche la grande circolazione (aorta) sicché la durata complessiva (fino alla sutura della arteria), per sperare nel successo, non può superare quella di alcune decine di secondi (1-2 minuti). Naturalmente molte casuali evenienze favorevoli è necessario che coincidano affinché tale intervento ottenga il successo; ma è necessario sapere che in realtà successi sono stati ottenuti e che quindi un tale intervento può essere logicamente tentato.
Radiologia.
L'esame radiologico dell'apparato respiratorio costituisce uno dei capitoli più importanti nella radiodiagnostica. Bisogna anzitutto conoscere come si presenta all'esame radiologico un torace normale e quali caratteri siano da considerare come normali.
Due sono le operazioni radiologiche che si praticano sul torace: la radioscopia con lo schermo fluorescente e la radiografia su pellicole sensibili (che oggi portano un'emulsione doppia sulle due facce) e che si sviluppano e si fissano con le solite modalità note nella tecnica fotografica. I polmoni offrono il migliore esempio di contrasto naturale: perché tutto in radiologia è contrasto e l'immagine radiografica è tutta basata sulla differenza di densità fra le varie parti e sulla capacità dei raggi Röntgen d'impressionare più o meno la pellicola sensibile in modo da avere una certa differenza di ombre fra le varie parti. Ora allo schermo (costituito com'è noto di un supporto su cui vengono spalmati dei sali speciali al tungstato di calcio o al platinocianuro di bario che divengono fluorescenti sotto i raggi Röntgen) noi vediamo due campi luminosi di un verde brillante limitati dall'ombra delle parti molli: sono i campi polmonari pieni d'aria che si lasciano attraversare dai raggi e che contrastano pertanto con l'immagine centrale oscura del mediastino, dovuta al cuore, organo muscoloso e ricco di sangue e che intercetta una parte di raggi e su cui si sovrappongono l'ombra della colonna vertebrale e l'ombra sternale. Sulla pellicola sensibile i campi polmonari appariranno invece in nero, perché essi lasciano passare i raggi che andranno a impressionare la gelatina di argento: l'immagine del mediastino invece resterà bianca perché la gelatina non è stata impressionata dai raggi intercettati.
Ambedue le operazioni sono necessarie per un esame completo del torace: la radiografia permette di analizzare bene le immagini e le mostra in tutta la loro nettezza. Nella visione crepuscolare, invece, che si ha allo schermo e con l'occhio adattato all'oscurità, la fovea (da cui dipende l'acuità visiva e la nettezza delle immagini) presenta uno stato di emeralopia fisiologica e pertanto la visione è essenzialmente periferica. Nella luce crepuscolare sono però specialmente il verde e l'azzurro (colori fondamentali nella luce degli schermi) che appaiono più luminosi e l'occhio è assai sensibile per i più tenui movimenti.
Quando noi studiamo un torace allo schermo o sulla pellicola sensibile dobbiamo procedere con un certo ordine: studiare prima i contorni e i limiti del torace e riconoscere lo stato delle varie parti scheletriche; poi studiare gli apici e i campi polmonari; poi le basi; poi i caratteri delle cosiddette ombre dell'ilo e dell'ombra mediana (cuore, vasi, trachea). I contorni del torace sono dati dall'incrociarsi degli archi costali sul lato esterno; in basso dall'ombra del diaframma; in alto dall'ombra della seconda costa su cui (per lo spazio ristretto) si sovrappone quasi la prima; ciascuna metà è limitata verso l'interno dalla linea che segna i contorni dell'ombra mediastinica.
L'ombra tenue delle coste interseca il campo polmonare (oscuro sul radiogramma): le cartilagini non sono riconoscibili a meno che non siano calcificate. Lo sterno e la colonna vertebrale si confondono (se il torace è simmetrico) con l'ombra mediana mediastinica (cuore, esofago, timo, vasi). Dalla VII cervicale alla IV dorsale l'ombra aerata (oscura sul radiogramma) della trachea si disegna spesso sull'ombra chiara mediana data dal mediastino.
Facilmente sono riconoscibili le clavicole che delimitano in basso l'apice: evidenti le scapole che nascondono parte del campo polmonare se non si ha l'avvertenza di far ruotare al paziente le braccia in avanti (a paziente col petto sulla pellicola sensibile). Altre ombre possono proiettarsi sui campi polmonari: quali, p. es., quella delle mammelle che nelle donne anziane, con mammelle fibrose, possono dare un'ombra a contorni curvilinei sul terzo esterno del campo polmonare; quella dei muscoli sterno-cleido-mastoidei che possono ridurre l'ampiezza o velare l'apice; quella dei muscoli pettorali negl'individui muscolosi (ombra a fascia, ecc.).
I campi polmonari appaiono intersecati dalle ombre costali: non è possibile riconoscere né i lobi né gl'interlobi. I lobi si sovrappongono uno con l'altro dall'avanti all'indietro; gl'interlobi sono spazî virtuali che possono rendersi evidenti solo nel caso che la pleura sia ispessita. Tuttavia noi conosciamo il decorso anatomico degl'interlobi e sappiamo quale sia la loro proiezione su un radiogramma.
Prima di studiare le ombre che si possono riconoscere su un radiogramma di torace normale, occorre far notare che lo studio radiografico può essere fatto in diverse posizioni del paziente e in diverse proiezioni d'incidenza dei raggi. Il paziente può essere prono o supino o in piedi: la posizione è obbligata quando, per esempio, vi sia una raccolta liquida nel torace unitamente ad aria (idropneumotorace): in questo caso il liquido - paziente in piedi - si disporrà orizzontalmente con un caratteristico livello.
D'altra parte un esame radioscopico o un radiogramma può essere eseguito con due modalità: cioè con una proiezione di raggi dal dorso verso il petto (proiezione sagittale dorso-ventrale) o dal petto verso il dorso (proiezione sagittale ventro-dorsale). Nel primo caso l'ampolla dei raggi sarà situata dietro il dorso; nel secondo caso verso il petto: lo schermo naturalmente o la pellicola sensibile sarà disposta inversamente nei due casi. A queste due proiezioni principali se ne aggiungono altre, tra cui specialmente la proiezione laterale e quella obliqua. Nella proiezione laterale (destra-sinistra e sinistra-destra) l'ombra del mediastino viene a dividere i campi polmonari in due parti: una anteriore o retrosternale e una posteriore o retrocardiaca ove decorrono la trachea e l'esofago, ecc.
Nelle proiezioni oblique i campi polmonari appaiono raccorciati; si può eseguire una proiezione obliqua anteriore destra e una obliqua anteriore sinistra: cioè, paziente a 45°, schermo sulla spalla destra (e rispettivamente sinistra); ampolla puntata sulla spalla sinistra (e rispettivamente destra). Possono essere eseguite anche delle proiezioni oblique posteriori. Ora, p. es., nella proiezione obliqua anteriore destra il campo a sinistra di chi guarda è il campo polmonare destro veduto di scorcio e limitato in avanti dalla colonna vertebrale; il campo polmonare a destra di chi guarda appartiene al polmone sinistro anch'esso veduto di scorcio, e questo campo (limitato all'indietro dal cuore, in basso dal diaframma, anteriormente dalle parti molli) trapassa in alto in un campo luminoso mediano (o spazio retrocardiaco) limitato all'indietro dalla colonna vertebrale e in avanti dal cuore veduto di profilo.
I due campi polmonari non sono, allo schermo, luminosi in modo omogeneo né sulla pellicola sensibile sono uniformemente oscuri: esiste un disegno polmonare specialmente evidente all'ilo e alla base e specialmente se la proiezione usata è la dorso-ventrale, se il paziente è in inspirazione e specialmente poi se esiste un certo grado di maggior trasparenza per enfisema. Per quanto riguarda dunque il disegno polmonare, possiamo dire che allo schermo esso è poco bene studiabile: si tratta di piccole ombre, rare alla periferia, più numerose medialmente ove prendono la forma di strisce che fanno capo alle cosiddette "ombre dell'ilo" cioè con quelle ombre che stanno ai due lati del cuore più evidenti a destra che a sinistra, di forma allungata semilunare quasi a direzione verticale. Sul radiogramma il disegno polmonare è meglio analizzabile: si tratta di ombre astiformi a contorni paralleli e pieni e ramificati: queste strisce opache sono spesso collegate con ingrossamenti rotondi od ovalari della grandezza da un pisello (verso l'ilo) a un grano di miglio (alla periferia). Tali ingrossamenti appaiono come un rigonfiamento dell'ombra lineare suddetta e se la ramificazione è a ciuffo possono vedersi più granuli vicini. Tali ombre corrispondono a vasi: quelle tonde non sono che vasi presi d'infilata. Tutte queste ombre sono riunite e intersecate fra loro da un fine reticolato. Esistono infine ombre anulari arcoscriventi uno spazio trasparente; qualche volta strisce trasparenti limitate da un doppio sottile contorno: tali ombre corrispondono ai bronchi. All'infuori dei vasi e dei bronchi, tutte le altre strutture sono troppo minute e poco dense per generare ombre evidenti: tra i vasi la maggior importanza spetta alle arterie, ma non mancano autori che sostengono che anche le vene possono essere costituenti del normale disegno. L'ilo polmonare corrisponde anatomicamente al punto di entrata dei vasi e dei bronchi: l'ilo essenzialmente ha l'aspetto a troncone o ad asta compatta: si tratta del tronco dell'arteria polmonare su cui si sovrappongono i bronchi che rendono l'ombra non perfettamente omogenea. L'ilo di destra appare separato dall'ombra mediastinica da una zona trasparente che corrisponde al bronco comune per il lobo medio e inferiore (spazio intervasculocardiaco); il bronco superiore destro esce alla stessa altezza dell'arteria polmonare (bronco epiarterioso) e si confonde con la parte alta dell'ilo: se il cuore è a tipo verticale, si rende bene visibile anche l'ilo sinistro che altrimenti è in parte coperto dal cuore. L'arteria polmonare a sinistra descrive un arco scendendo fino alla punta; il bronco superiore esce poco sotto l'arteria e vi passa sopra. Quello inferiore emerge più in basso e segue il contorno ventricolare sinistro da cui è separato, come a destra, da uno spazio trasparente solo nel caso di un cuore verticale.
In corrispondenza dell'apice il disegno è appena evidente; sull'apice si possono proiettare ombre diverse date sia dalle parti molli (muscolo sterno-cleido-mastoideo; cute che raddoppia il margine superiore della clavicola), sia da vasi (succlavia che appare come un'ombra nastriforme nel terzo spazio intercostale posteriore specialmente a sinistra; vena azigos a destra per tragitto anormale).
Per quanto riguarda l'ombra mediana, i contorni sono dati dal cuore e dai vasi (le ombre dello sterno e della colonna vertebrale vi si sovrappongono). Nell'ombra cardiaca distinguiamo, com'è noto, due archi a destra; arco inferiore: atrio destro; arco superiore o arco vasale dato dall'aorta ascendente fiancheggiata dalla cava: è riconoscibile l'azigos quasi costantemente come ha messo in evidenza in Italia A. Busi in toraci normali e con decorso normale dell'azigos; tre archi a sinistra (arco superiore aortico; arco medio o della polmonare, arco inferiore o ventricolare; l'auricola sinistra può formare un quarto arco appena accennato fra arteria polmonare e ventricolo sinistro). L'ombra mediana non è ugualmente densa: a parte la minor densità sui bordi che nel centro, si può seguire la striscia trasparente tracheale mediana che si biforca all'altezza della quarta, quinta dorsale.
Se il torace offre un bell'esempio, in radiologia, di contrasto naturale, sta di fatto che con il progredire della tecnica e con l'introduzione dei varî mezzi di contrasto in radiologia per ottenere la visualizzazione dei più diversi organi (colecisti, reni, ecc.) si è cercato anche nel torace, con mezzi di contrasto sia opachi, sia trasparenti, di raggiungere particolari anche più fini e interessanti. Si è cercato anzitutto con mezzi di contrasto opachi di opacizzare i bronchi, i quali nel disegno polmonare hanno un posto del tutto secondario e ne sono riconoscibili solo i più grossi. J.-A. Sicard e J. Forestier nel 1921 con introduzione dell'olio iodato (lipiodol) nell'albero tracheale e bronchiale hanno dato la possibilità di studiare tutto l'albero bronchiale fino alle più sottili ramificazioni. L'introduzione nell'albero bronchiale può essere fatta con varî metodi, tra cui i più comuni sono quelli intercricotiroideo (perforando la membrana intercricotiroidea) e quello transglottideo, controllando la discesa dell'olio iodato con lo specchietto laringeo. Fatta l'anestesia faringolaringea e tracheobronchiale, si inietta l'olio iodato in quantità diversa (10-30 cmc.) a seconda che si vuole iniettare un solo lobo o più e facendo prendere al paziente l'atteggiamento più adatto in modo che l'olio iodato scenda nel distretto voluto.
Con questo sistema si disegnano bene i medî e i piccoli bronchi (oltre alla trachea che appare intonacata sulle pareti); dopo qualche minuto si disegnano le più fini ramificazioni fino agli alveoli. Con questo sistema è stata studiata perfino la peristalsi bronchiale. Nelle cavità patologiche della pleura o del polmone si può iniettare l'olio iodato attraverso le pareti toraciche (metodo italiano transparietale); si può del resto introdurre olio iodato nella pleura in caso di versamenti e studiare il comportamento del liquido pleurico, le possibili aderenze, ecc. Usando olio iodato pesante che va in fondo, e olio iodato leggiero che galleggia, s'è potuto vedere che il liquido in caso di versamenti può arrivare fin sull'apice e l'olio iodato leggiero forma in alto un piccolo livello opaco. È facile comprendere quale vantaggio abbia dato la broncografia in casi di lesioni polmonari. Con altri scopi è utile il cosiddetto pneumodiagnostico; cioè l'introduzione a scopo diagnostico di aria nella pleura praticando un pneumotorace che, creando un mezzo artificiale di contrasto e schiacciando il polmone, permette di studiare possibili alterazioni del parenchima polmonare. Né qui si ferma l'introduzione dei mezzi di contrasto in radiologia polmonare, perché con metodi varî si è cercato e si cerca di praticare una angiopneumografia, cioè di rendere visibili le arterie polmonari, e il relativo disegno polmonare.
Se passiamo dal normale al patologico, le modificazioni che per un processo patologico si possono verificare a carico della chiarezza dei due campi polmonari possono consistere:
a) in una chiarezza maggiore; in un'iperilluminazione di tutto o parte del campo polmonare: ciò si verifica nell'enfisema, nel pneumotorace, nelle forme cavitarie, in genere per un maggior contenuto di aria nel primo caso, per sostituzione di gas e di aria al parenchima nel secondo caso. È logico che nel caso dell'enfisema il disegno polmonare sia rinforzato e meglio visibile per il maggior contrasto, mentre venga completamente a mancare nel caso, per es., del pneumotorace, in cui è caratteristica la trasparenza cristallina.
b) in un'alterazione del normale disegno e della normale trasparenza del campo polmonare: è l'alterazione più importante perché in genere una malattia del polmone si manifesta con un'ombra più o meno estesa che viene a sostituire in tutto o in parte la chiarezza polmonare, perché il processo viene a modificare il contenuto di aria o si sostituisce senz'altro al parenchima polmonare.
Sono queste le due alterazioni fondamentali radiologiche elementari che si riscontrano in tutti i processi patologici. Va tenuto però presente che una stessa ombra può essere l'espressione di una affezione diversa. Si ha opacità quando l'aria manca negli alveoli e il polmone è atelettasico; si ha opacità quando (come nel caso della polmonite) l'essudazione caccia l'aria e vi si sostituisce negli alveoli; si ha opacità quando un altro tessuto non aerato (come un tumore) si sostituisce al parenchima polmonare. Solo l'analisi dei caratteri di dette ombre ci permette di rilevare particolari preziosi per la diagnosi generica e perfino per la diagnosi di natura; ma la radiologia è essenzialmente semeiotica e la diagnosi sarà possibile solo quando si terrâ conto di tutti i dati ricavati dall'esame clinico del malato.
Le più diverse affezioni polmonari possono presentarsi infatti radiologicamente con immagini molto simili: così, per esempio, la polmonite lobare e il carcinoma lobare; la tubercolosi miliare e la carcinosi miliare; il granuloma polmonare e la tubercolosi polmonare, ecc. Un'ombra unica rotonda circoscritta può essere l'espressione di malattie diverse: echinococco del polmone, empiema postpneumonico saccato, sarcoma primitivo del polmone, carcinoma nodulare primitivo, cisti dermoide del mediastino, ecc.
Stabilita la presenza di un processo patologico che ha alterato la normale trasparenza del campo polmonare, dobbiamo anzitutto tener presente che sulla chiarezza del campo polmonare possono proiettarsi: 1. processi proprî della pleura (come un versamento), che nascondono o comprimono il polmone; 2. processi delle pareti toraciche; 3. processi che si originano dagli organi vicini e si fanno strada nel torace o comprimono il polmone aerato (ascessi ossifluenti, pleuriti mediastiniche, aneurismi, ecc.). Dunque la prima cosa che deve fare il radiologo sarà quella di: a) determinare la sede dell'ombra; stabilendo se l'ombra appartiene al polmone o alla pleura o a un organo vicino ed è proiettata sul polmone. La risposta è tutt'altro che facile e non bastano una sola proiezione e un solo radiogramma: bisogna giovarsi delle varie incidenze d'esame, bisogna studiare il modo come si estende e si sviluppa l'ombra, giacché per es., un'ombra di origine pleurica o mediastinica non è mai circoscritta e delimitata nettamente nel polmone ma si appoggia e si slarga a ridosso della parete toracica o a ridosso del mediastino; b) stabilire in quale tratto del polmone ha sede la lesione.
Abbiamo però già detto come non sia possibile dividere in lobi il campo polmonare e ci dobbiamo contentare (data la sovrapposizione dei lobi fra loro) di parlare di regione apicale, di regione superiore, media e inferiore del campo. Ma i processi del lobo medio di destra dànno un'immagine a cuneo abbastanza caratteristica e d'altra parte (se esiste un ispessimento dell'interlobo) sarà anche possibile determinare a quale lobo del polmone appartenga l'ombra.
Dopo questo studio preliminare occorre fare: c) un'analisi completa dell'ombra e precisamente:
1. dei contorni: i bordi possono essere perfettamente regolari, taglienti; possono essere sfrangiati, digitati. È chiaro che tali caratteri sono specialmente in rapporto con il modo con cui si sviluppa la lesione: un processo infiltrante non potrà mai avere dei margini netti, ma digitati; invece un processo a sviluppo espansivo (come una cisti di echinococco) avrà bordi perfettamente delimitati;
2. della struttura dell'ombra; le ombre possono presentarsi di una tinta omogenea (uniforme) o non omogenea (strutturata, chiazzata, ecc.). Un versamento pleurico, un versamento interlobare dànno un'ombra omogenea; anche una cisti, un tumore, una polmonite massiva possono dare ombre omogenee. Ma tolto il caso della cisti di echinococco (raccolta liquida) sia nel caso del tumore, sia nel caso specialmente di una polmonite, sarà sempre possibile, almeno in un certo stadio, notare una certa struttura dell'ombra; perché il tumore non invade di colpo e non si sostituisce di colpo al parenchima e l'essudato pneumonico non riempie di colpo gli alveoli. Altre volte (e in genere questo è il caso più frequente) l'ombra, invece di essere omogenea o strutturata o chiazzata, può presentarsi come un insieme di piccole ombre discontinue: a tralci fini o grossolani, a tralci densi, spessi, moniliformi, a macchie di aspetto pomellato, a noduli netti o soffusi nei margini, ecc. Qualche volta i caratteri strutturali dell'ombra ci permettono non solo di dire se il processo è pleurico o polmonare, ma anche di avanzare qualche ipotesi sulla natura per alcuni particolari caratteri dell'ombra;
3. dell'intensità dell'ombra; l'intensità dell'ombra dipende dal contrasto che si ottiene sullo schermo o sulla pellicola sensibile. In parte dipende dalla radiazione usata, dalla posa con cui è stato eseguito il radiogramma; ma (in radiogramma corretto) l'intensità dell'ombra è condizionata dallo stato e dal contenuto di aria del polmone che circonda la lesione e in via subordinata dallo spessore del focolaio, dalla sede e dal suo sviluppo in profondità. Modificazioni studiate sui radiogrammi in serie ci possono dare quindi criterî sulle modalità di sviluppo e di estensione, ecc. La qualità del focolaio può avere una certa importanza nell'intensità dell'ombra; ciò è evidente quando si tratti di focolai calcarei; ma radiografando i varî liquidi (essudati, pus, sangue) si è potuto constatare che, pur essendo diverso nei varî casi il peso specifico, l'intensità di ombra non è molto diversa;
4. della forma dell'ombra; la forma dell'ombra può essere varia: rotonda, a banda trasversale, longitudinale, ecc. Dalla forma dell'ombra si possono avere criterî anche sulla sede (pleurite interlobare destra con caratteristica banda trasversale; polmonite lobare del lobo medio di destra, tipica immagine a cuneo specialmente nelle proiezioni oblique) e anche criterî sul modo come l'ombra stessa si sviluppa;
5. della grandezza dell'ombra: è un carattere di relativa importanza, ma acquistano notevole valore le sue variazioni studiate su radiogrammi in serie;
6. i rapporti dell'ombra con gli organi vicini possono sempre (se stabiliti con esattezza) offrire criterî importanti sul modo e sulla direzione verso cui la lesione si sviluppa. Un processo a tipo espansivo, sposta il mediastino in senso opposto; un processo retraente attrae il mediastino e la trachea, ecc.;
7. i movimenti dell'ombra, sia nella respirazione, sia nella tosse, sia nel cambiamento di posizione acquistano una certa importanza per stabilire la sede dell'ombra stessa. È importante anche stabilire se l'ombra presenta dei movimenti di pulsazione trasmessi o proprî (vasi).
L'analisi di tutti questi caratteri è necessaria in modo assoluto per il radiologo: l'esame allo schermo o sulla pellicola sensibile dev'essere fatto in modo ordinato cosi come in clinica al letto del malato si raccolgono tutti i dati obiettivi ordinatamente, sistema per sistema, per poi coordinare tutti questi dati per assurgere ov'è possibile alla diagnosi.
Da quanto siamo venuti esponendo, occorre tenere presente che non è possibile con un semplice radiogramma (e anche con più radiogrammi) fare diagnosi di natura; non esiste un'immagine caratteristica di un determinato processo, ma affezioni diverse possono manifestarsi con ombre più o meno simili. Tuttavia l'analisi dettagliata delle ombre, la possibilità che certi determinati caratteri si ripetano solo per certe determinate lesioni, lo studio del modo come il processo s'inizia e si svolge, la possibilità che certe associazioni di ombre si verifichino prevalentemente in certi determinati processi, ecc., tutto questo fa si che il radiologo provetto possa - tenendo presenti i dati clinici - emettere qualche volta una diagnosi di natura, almeno di probabilità.
Passeremo pertanto in rivista il quadro radiologico dei principali processi pleuropolmonari. Possiamo dividere le affezioni toraciche in: 1. malattie dei bronchi; 2. malattie della pleura; 3. malattie polmonari.
Malattie dei bronchi. - Tra le malattie dei bronchi interessano specialmente al radiologo le stenosi bronchiali (da corpi estranei, tumori, compressioni, ecc.) e le bronchiettasie. Le tracheobronchiti acute, le bronchiti croniche, non dànno segni radiologici di qualche entità se non intervengano speciali alterazioni.
Il quadro radiologico nelle stenosi bronchiali è un quadro (a parte la possibilità di vedere direttamente il corpo estraneo di una certa densità) essenzialmente indiretto: torace più stretto, diaframma più alto, movimento diaframmatico minore o abolito, torace velato per l'atelettasia polmonare, deviazione del mediastino verso il tratto stenosato.
Nelle bronchiettasie, specialmente la broncografia dà un aiuto prezioso: sta di fatto però che su un buon radiogramma è possibile oggi in molti casi riconoscere anche direttamente le bronchiettasie senza mezzi di contrasto, specialmente se le bronchiettasie sono ravvicinate e numerose e con piccoli livelli idroaerei (secreto più gas, in posizione eretta). Con la sostanza di contrasto le bronchiettasie prendono un aspetto caratteristico e la diagnosi è facile; per comodità di studio si possono dividere le bronchiettasie in gruppi a seconda delle immagini che saranno sulla pellicola.
Nei bambini possiamo avere: 1. piccole dilatazioni multiple; sono dilatazioni poco numerose, uniformi dei piccoli e dei medî bronchi. Occorre fare attenzione a non scambiare queste dilatazioni con immagini dovute a errori di tecnica (per deformazioni dovute alla lontananza del paziente dalla lastra); 2. dilatazioni cilindriche: si tratta di un gruppo solo di bronchi dilatato uniformemente o in modo progressivo dall'ilo alla periferia con immagini a pennello, a dito di guanto, o a grappolo di banane; 3. dilatazioni ampollari: piccole immagini rotonde od ovalari, della grandezza da quella di un pisello a un grano di uva appese al bronco in modo isolato o raggruppate a grappolo di uva o di glicine; in piedi ogni cavità mostra un livello (aspetto a nido di piccione); 4. dilatazioni moniliformi: specialmente associate a sclerosi pleuropolmonare: sono piccole dilatazioni che interessano saltuariamente tratti successivi di un grosso o medio bronco.
Le bronchiettasie dell'adulto ripetono nei loro caratteri quelle dei bambini e possono essere sia a tipo cilindrico, sia a tipo ampollare, sia a tipo moniliforme, sia a tipo sacciforme (più rare; vere cavità bronchiettasiche). La legge di Sergent (l'olio iodato penetra facilmente nelle cavità formate a spese dei bronchi, cioè dall'interno verso la periferia del bronco mentre penetra difficilmente nelle cavità apertesi secondariamente nel bronco) ci dà la possibilità di poter differenziare le bronchiettasie con altre cause di espettorazione fetida, quali le pleuriti fistolizzate, gli ascessi polmonari o le cisti apertesi nei bronchi, ecc.
Malattie della pleura. - In condizioni normali non è possibile differenziare la pleura costale dalla viscerale e la pleura mediastinica dal pericardio. Però sta di fatto che in questi ultimi anni lo studio della pleura normale ha messo in evidenza fatti interessantissimi che vanno di là dallo studio dei seni pleurici che radiologicamente si possono facilmente riconoscere. È possibile intanto riconoscere la pleura parietale sul lato esterno del torace in quanto con una proiezione cranio-dorso-ventrale (G. Palmieri) si nota una stria opaca che interseca le coste: tale stria appare anche maggiore nei versamenti, nel qual caso è riconoscibile anche (esista o no la stria) la cosiddetta "benderella opaca limitante". Spesso tale stria si continua con la cosiddetta "stria capillare destra" stria capillare che (quando è veramente capillare) è l'espressione della pleura dell'interlobo medio di destra presa d'infilata. Anche nel caso che esista un lobo soprannumerario della vena azigos la pleura (quattro doppî di pleura in realtà) che s'infossa con la vena azigos è ben riconoscibile come una stria, più spessa però che nel caso precedente (subcapillare).
Anche la pleura dell'apice è riconoscibile nella cosiddetta "ombra satellite della II costa" (d'altra parte anche la pleura mediastinica è riconoscibile nella metà inferiore del rachide dorsale come una linea verticale paravertebrale). Un altro tratto bene riconoscibile è quello descritto da A. Busi a proposito della vena azigos in sede normale dal Busi stesso individuata e largamente studiata: la pleura mediastinica si delimita bene sul margine destro della trachea e si continua in basso nella virgola rovesciata che segna la azigos. Si può studiare bene il margine anteromediale del polmone destro (Busi) che s'inizia in alto dal grosso bronco di destra un centimetro sotto la biforcazione tracheale e con decorso curvilineo va a finire nella camera d'aria gastrica o si confonde con il contorno della cupola pleurica. Anche la pleura diaframmatica e mediastinica è stata largamente studiata: per quanto riguarda i seni pleurici noi possiamo distinguere il seno costodiaframmatico anteriore (tra faccia sternocostale e faccia diaframmatica) bene individuabile nella proiezione laterolaterale come un triangolo chiaro al disotto dell'ombra del cuore; il seno costodiaframmatico posteriore (tra diaframma e superficie costale posteriore), anch'esso bene riconoscibile nelle proiezioni laterali; i seni costodiaframmatici laterali (bene e facilmente individuabili in proiezione sagittale); i seni cardiodiaframmatici destro e sinistro e infine (per non insistere in ulteriori particolari) il cosiddetto sfondato pleurico posteriore, cioè la doccia pleurica posteriore che A. Busi e P. Ottonello hanno bene individuato come una trasparenza ovalare inscritta nell'opacità del fegato su radiogrammi eseguiti in posizione prona.
Le pleuriti con versamento nella grande cavità si manifestano con un'opacità densa, dapprima basale per piccoli versamenti, poi sempre più alta crescendo il versamento: il suo limite superiore è soffuso (per l'atelettasia polmonare) e s'innalza lateralmente. La linea più alta verso l'ascella corrisponde al limite più alto percussorio all'ascella secondo la linea Ellis-Damoiseau. La qualità dell'essudato non dà differenze sull'opacità radiologica: introducendo (P. Cignolini) dell'olio iodato leggiero, questo sale fino alla pleura apicale: dimostrazione che il liquido (anche se la linea di opacità è più bassa) sale e riveste a camicia tutto l'apice. Nessuna rispondenza radiologica esiste col triangolo clinico di Garland: per quanto riguarda il triangolo di Grocco alcuni autori hanno riportato tale reperto sia allo spostamento del cuore, sia allo spustamento del mediastino, sia alla distensione del cul di sacco pleurico che sposta a sua volta il mediastino e il polmone. Nei grandi versamenti è in ogni modo evidente lo spostamento del mediastino: non sembra che il cuore ruoti attorno al peduncolo; esso invece si sposta in toto.
Le pleuriti saccate possono radiologicamente prendere aspetti assai diversi: uno dei reperti più caratteristici è la pleurite saccata ascellare (opacità ovalare appoggiata alla parete toracica). Le pleuriti interlobari hanno un aspetto abbastanza tipico solo nel caso dei versamenti nella scissura interlobare media di destra (aspetto a striscia, a banda): negli altri casi l'aspetto è assai diverso a seconda della proiezione e a seconda che il versamento è di tutta o di parte della scissura. La diagnosi sarà più facile, specialmente nelle proiezioni laterali, in cui è possibile seguire il decorso della scissura stessa mentre i radiogrammi sagittali possono per sovrapposizione delle ombre portare a diagnosi anche errate. Per quanto riguarda la pleurite mediastinica la diagnosi radiologica non è facile: si possono distinguere pleuriti mediastiniche superiori e inferiori, destra e sinistra anteriore e posteriore: la maggior frequenza spetta alle pleuriti mediastiniche superiori posteriori e anteriori a destra e poi a sinistra (il primo caso in Italia è stato descritto nel 1922 E. Milani). L'opacità debordante dall'ombra cardiaca può assumere o un aspetto rotondeggiante ovalare o a triangolo ad apice in basso: qualche volta l'opacità da versamento e l'opacità cardiaca si fondono e la diagnosi differenziale è tutt'altro che facile, specialmente con la pericardite. Il metodo del pneumotorace artificiale può permettere una diagnosi differenziale tra pericardite, pleurite della grande cavità e pleurite mediastinica: se si tratta di versamento pleurico la bolla gassosa resterà a destra o a sinistra della parete toracica; se l'ago invece è penetrato nel cavo pericardico (e dopo estrazione di liquido si è introdotto del gas) questo forma una bolla gassosa che occupa tutto lo spazio mediastinico estendendosi sia da un lato sia dall'altro, mentre la bolla è parziale e solo su un lato del cuore se si tratta di una pleurite mediastinica.
Il quadro radiologico del pneumotorace (al di fuori di queste eventualità) è un quadro caratteristico: assenza del disegno polmonare, trasparenza cristallina del campo, moncone polmonare retratto di varia forma; pulsazione vivace del cuore (se il pneumo è a sinistra), diaframma pianeggiante poco mobile e spesso respiro paradosso di R. Kienböck (innalzamento nell'inspirazione) accompagnato da spostamento inspiratorio del mediastino verso il lato del pneumotorace (movimento pendolare del mediastino: per le variazioni di pressione sui due lati e per il fatto che l'espansione della gabbia toracica non è compensata dalla distensione polmonare). Quando il pneumotorace è accompagnato da versamento si ha (in posizione eretta) un caratteristico livello orizzontale mobile nei movimenti che s'imprimono al paziente (succussione).
Malattie del polmone. - Le malattie del polmone trovano tutte nell'esame radiologico un aiuto prezioso ai fini della diagnosi: passeremo in rassegna quelle più interessanti.
Le cisti di echitiococco del polmone dànno le immagini più caratteristiche, sebbene non patognomoniche; radiologicamente la cisti di echinococco si manifesta con un'ombra in genere unica, solitaria (eccezionalmente più), a contorni bene delimitati e netti, di aspetto omogeneo, di grandezza varia (da una noce a una testa di bambino). Se la cisti si è vuotata nel bronco parzialmente, l'immagine è tipica (immagine idroaerea) e l'ombra rotondeggiante appare sormontata da un livello liquido. Ma questi caratteri possono apparire modificati per cause diverse; così la rotondità può far difetto nelle cisti appoggiate sugl'interlobi o a ridosso della parete; i margini possono essere soffusi o poco distinguibili se la cisti è suppurata o è insorta una reazione o un versamento della pleura. D'altra parte i caratteri classici della cisti possono essere presenti anche in altri processi: ricordiamo per esempio i sarcomi nodulari o i cancri nodulari del polmone, le cisti dermoidi del mediastino, gli empiemi saccati, ecc.
Le polmoniti per la presenza dell'essudato che occupa gli alveoli, si manifestano radiologicamente con un'ombra, almeno nello stato di epatizzazione, a tipo uniforme e continuo, con un'opacità lobare limitata dalla chiarezza del lobo vicino non colpito. Specialmente studiata è stata la polmonite nel bambino la quale inizia nella corticalità verso la regione ascellare, prende una forma a triangolo a base periferica e apice verso l'ilo e risolve successivamente dal centro verso la periferia (inizio centripeto e risoluzione centrifuga).
Nel periodo della risoluzione appare di nuovo l'immagine triangolare (triangolo di ritorno): l'opacità ascellare è la prima a manifestarsi e l'ultima pertanto a scomparire. Più discussi sono i caratteri con cui si presenta la polmonite negli adulti e ciò riguarda sia la presenza dell'immagine a triangolo sia l'inizio corticale e la risoluzione ilare. In genere l'immagine triangolare dell'ombra pneumonica più spesso presenta un'invasione rapida di tutto il lobo con attenuazione progressiva delle ombre senza speciale localizzazione nella risoluzione; altre volte è a inizio centrifugo e risoluzione centripeta o inizio centripeto e risoluzione centrifuga; altre volte inizio periferico e risoluzione pure periferica. Questa diversità di evoluzione dell'immagine pneumonica, quest'assenza di costanza nel reperto evolutivo e risolutivo dipende dal fatto che varie sono le cause che influiscono sul reperto dell'esame (sede della lesione, spessore del tratto colpito, ecc.). Interessa il fatto che l'invasione iniziale del lobo è in genere radiologicamente rapida, mentre i segni radiologici sono più tardivi a scomparire anche quando clinicamente si è avuta la risoluzione.
Nella broncopolmonite la malattia non colpisce in genere un intero lobo, ma piccoli territorî corrispondenti al lobulo: tuttavia i focolai possono confluire sì da dare un quadro simile alla polmonite lobare. Se i focolai sono piccoli e rimangono isolati senza confluire, la diagnosi differenziale può essere tutt'altro che facile con forme tubercolari a tipo miliare (specialmente nei bambini e nelle forme morbillose).
I tumori del polmone si possono distinguere in primitivi e secondarî (metastatici): i tumori primitivi sono maligni (cancro, sarcoma) o benigni (condroma, angioma, fibroma, ecc.: più rari); o del tipo cistico (cistici p. del tipo delle dermoidi e dei teratomi o parassitarî come l'echinococco o falsi, scavati entro il tumore).
I cancri primitivi del polmone possono essere distinti in: a) cancro intrabronchiale: si limita al bronco; in genere è stenosante, sia perché infiltrante la parete, sia perché sporgente nel lume del bronco stesso. Il reperto è quello di una stenosi del bronco; b) cancro polmonare a tipo lobare: è la forma più frequente: predilige il lobo superiore destro; radiologicamente si presenta come un'ombra omogenea uniforme, nettamente delimitata in basso dall'interlobo che in genere però è spesso superato; c) carcinoma ilare; viene per frequenza dopo la forma lobare. L'immagine radiologica è la seguente: grosse ombre presso l'ilo ad aspetto digitiforme con ramificazioni più sottili che si sfioccano verso il polmone; altre volte grossa massa ilare con propaggini radiate; altre volte grossa massa diffusa irregolare più o meno omogenea (per invasione a tappe del parenchima) tanto da ricordare l'aspetto di un tumore mediastinico. Non mancano mai però le propaggini verso il polmone, espressione dell'invasione delle vie linfatiche peribronchiali; d) linfangite carcinomatosa: abbastanza rara come manifestazione di un tumore primitivo; radiologicamente si hanno immagini a strie partenti dall'ilo, arborizzate a reticolo con ombre nodulari qua e là in genere sfumate, più o meno grosse, espressione radiologica di linfatici colpiti trasversalmente; e) forma nodulare intralobare: è rara; l'immagine radiologica è quella di un'ombra nodulare più o meno rotondeggiante ben circoscritta, omogenea, di grandezza varia, isolata nel campo polmonare e più o meno vicina all'ilo. È un'immagine che non ha nulla di caratteristico e può facilmente essere confusa con altri processi.
I tumori metastatici del polmone sono originati da tumori lontani che dànno metastasi per via linfatica o sanguigna o da tumori che hanno sede negli organi che circondano il polmone (dall'esofago, dal mediastino, dal bronco, ecc.) e che invadono il parenchima per contatto. Possiamo distinguere: tumori metastatici solitarî, forme nodulari multiple, forme infiltranti e irregolari: forme a tipo miliare, forme di linfangite carcinomatosa. Le metastasi multiple sono le più frequenti e si manifestano come ombre di forma rotonda e ovalare, della grandezza da una lenticchia a una ciliegia fino a una noce e a una mela; di numero vario e a distribuzione irregolare.
La diagnosi differenziale per i tumori polmonari va posta anzitutto con un gruppo di affezioni non neoplastiche polmonari e pleuriche che possono mentire un cancro primitivo del polmone: tra queste affezioni ricordiamo: la polmonite franca (decorso clinico); la polmonite caseosa tubercolare (rapida formazione di cavità); l'actinomicosi polmonare, la cancrena polmonare (aspetto non omogeneo, cavità); la sifilide polmonare (forma gommosa a nodo solitario o a conglomerato di nodi che possono assumere quasi forma lobare; segni clinici: cura ex iuvantibus), ecc. La linfangite carcinomatosa può essere a sua volta confusa con la pneumoconiosi (malattie da polveri, per es., silicee: marezzatura grossolana ai due lati del cuore con grosse ombre ai due ili), con le forme tubercolari, ecc. Anche la forma nodulare intralobare va differenziata radiologicamente con le cisti di echinococco, con i tumori benigni (ben circoscritti), con le pleuriti interlobari, con l'ascesso polmonare (storia clinica), ecc. Difficile può essere la diagnosi con i tumori del mediastino, cioè con quei tumori che prendono origine da uno degli organi che costituiscono il mediastino stesso (trachea, esofago, ghiandole, timo, pericardio, ecc.) e che hanno come carattere comune di slargare l'ombra mediastinica.
Il linfosarcoma del mediastino è il tumore mediastinico per eccellenza. Radiologicamente: ombra che slarga il mediastino e che si estende quasi sempre sui due lati e non in modo simmetrico: i contorni non sono regolari ma dentellati quando la pleura è stata superata e il polmone è stato invaso. L'opacità stessa è densa tanto da nascondere il cuore su cui l'ombra si sovrappone simulando a sinistra un'ipertrofia dell'orecchietta o simulando un aneurisma.
Più facile è la diagnosi radiologica delle forme nodulari metasta. tiche (eccezionale è l'echinococcosi): mentre la forma linfangitica va differenziata specialmente dalle forme tubercolari e la forma a tipo miliare dalla tubercolosi miliare.
Ma non possiamo chiudere il capitolo delle affezioni polmonari dal punto di vista radiologico senza accennare per sommi capi quale sussidio possa portare la radiologia alla diagnosi della tubercolosi polmonare.
Sono stati specialmente gli autori americani, tra cui E. L. Opie, che hanno cercato nel vivente la conferma del reperto anatomopatologico: nell'adulto è facile vedere il focolaio di Ghon guarito (nodulo calcificato unito spesso con ghiandole calcificate ilari consensuali: complesso di K. E. Ranke). Ma nel bambino, C. E. Simon, Fr. Redeker, ecc., hanno potuto colpire e seguire il focolaio primario nel suo sviluppo e nella sua diffusione fino alla sua riduzione e alla calcificazione, o hanno potuto seguire anche l'invasione centripeta ghiandolare fino alla calcificazione (la linfangite intermedia sfugge). Per quanto riguarda la tubercolosi nell'adulto si è cercato nella radiologia di trovare un appoggio alle varie teorie circa i rapporti fra la tubercolosi infantile e quella degli adulti: ma in complesso possiamo dire, con la maggioranza degli autori, che il focolaio di reinfezione dell'adulto (aerogeno) dev'essere ricercato nell'apice e nel sottoapice e non all'ilo (come è stato sostenuto in passato e anche di recente in base a una possibile reinfezione linfogena retrograda del polmone dalle ghiandole dell'ilo). Le cosiddette strie radiologiche di Stürz e Rieder che dall'ilo vanno verso l'apice hanno perduto pertanto oggi gran parte del loro valore e i segni radiologici di una tubercolosi iniziale nell'adulto non andrebbero affatto ricercati all'ilo, regione invece importante nell'età infantile in cui le ghiandole tubercolari possono prendere il sopravvento.
Ma i segni radiologici di una tubercolosi iniziale apicale sono tutt'altro che di facile ricerca: non basta all'esame radioscopico la semplice velatura apicale ma occorre radiograficamente (e spesso con tecniche appropriate per l'apice) individuare le piccole ombre nodulari discrete o riunite a trifoglio, espressione radiologica della broncoalveolite tubercolare. Ma come è noto, alla dottrina dell'insorgenza apicale della tubercolosi si è opposta fin dal 1925 la nuova dottrina di Assmann e Redeker dell'insorgenza sottoapicale. A parte le questioni dottrinarie qui fuori luogo, sta di fatto che radiologicamente possiamo bene individuare il focolaio o infiltrato sottoclavicolare di Assmann come un'ombra piccola all'inizio, rotondeggiante o non, di densità eguale, a confini netti, ma non abbastanza marcati rispetto ai tessuti vicini, situata nella regione infero-esterna della clavicola. Questo focolaio tende a estendersi (focolaio caseoso con alone perifocale), e se il focolaio evolve verso la caseificazione e la caverna, allora un blocco di opacità occupa la regione sottoclavicolare ed entro la zona di opacità facilmente s'individua un'immagine rotonda aerata, espressione della distruzione del parenchima e formazione della caverna tubercolare. Qualche volta si possono constatare la guarigione e la calcificazione del focolaio sottoclavicolare stesso.
Per quanto riguarda la tubercolosi conclamata, i segni radiologici di una tubercolosi evolutiva appaiono abbastanza caratteristici.
I focolai d'ombra radiologici (che spesso si trovano associati dando al quadro un aspetto proteiforme) possono assumere un diverso aspetto. Possono essere ombre miliari quali si riscontrano nella tubercolosi miliare ematogena, in cui è caratteristica la presenza di picco) e ombre rotondeggianti della stessa grandezza che punteggiano in modo regolare i due campi polmonari; possono essere ombre a trifoglio, anulari, irregolari (quali si riscontrano nella tubercolosi a tipo di noduli peribronchiali); possono essere immagini rotondeggianti (come nella broncopolmonite a noduli disseminati); possono essere immagini a cordoni e strie opache e dense (come nelle forme fibrose); possono essere aree opache (come nella caseosi e nella sclerosi); possono essere ombre a focolaio intensamente opaco (come nelle calcificazioni), possono essere aree trasparenti (con cercine più o meno netto e più o meno denso, come si riscontra nelle caverne).
Questi focolai, diciamo così, radiologici elementari si trovano variamente combinati, secondo lo stadio e l'evoluzione del processo tubercolare (forme lobulari, lobari, disseminate, confluenti, distruttive, fibrose; forme in evoluzione; essudative, caseose e caseoulcerose; forme in regressione: sclerose, calcifiche).
Da questa rapida rivista sul sussidio radiologico nelle affezioni polmonari risulta evidente tutta l'importanza che la radiologia è venuta recentemente acquistando: ma occorre tener presente che la diagnosi può essere formulata solo nella perfetta fusione dei dati clinici e radiologici e che spesso solo con esami ripetuti a distanza di tempo e in serie è possibile ottenere dati radiologici preziosi tenendo conto del modo come il processo si è iniziato e si evolve.
V. tavv. XXVII-XXX.
Bibl.: S. Gsaff e L. Kupferle, Die Lungenphtisie, Berlino 1923; V. Maragliano, Trattato italiano di radiologia medica, Ferrara 1928; H. R. Schinz, Lehrbuch der Röntgendiagn., Lipsia 1928; A. Busi, Esplorazione radiologica nella tubercolosi polmonare, Roma 1928; H. Chaoul, Radiagnostik der Brustorgane, Berlino 1929; R. Lenk, Röntgendiagnostik der Torax-Tumoren, Berlino 1929; E. Sergent, E. Bordet, ecc., Explor. radiol. de l'app. resp., Parigi 1931; A. Busi, Tecnica e diagn. radiol., Torino 1933; R. Ledoux-Lebard, Manuel de radiodiagn. clinique, Parigi 1933; H. Assmann, Klir. Röntgendiagnostik, Berlino 1934.
Patologia veterinaria.
Riniti. - L'infiammazione della mucosa delle cavità nasali (rinite o corizza) può essere primitiva o secondaria. La rinite primitiva è favorita da cause occasionali climateriche, dall'azione di sostanze irritanti contenute nell'aria (muffe, emanazioni ammoniacali o comunque irritanti, pulviscolo stradale, il fumo e l'aria eccessivamente calda negl'incendî), da corpi estranei penetrati nelle cavità nasali, da tumori o da certi medicamenti (ioduri, bromuri). Queste cause, determinando reazioni vascolari, nervose e secretorie della mucosa nasale, favoriscono l'azione patogena di germi saprofiti che vivono sulla stessa, i quali vengono complicare il quadro della malattia. La rinite può essere secondaria a malattie infettive (morva, adenite equina, peste bovina, corizza cancrenosa, cimurro del cane, ecc.), o a infestazioni parassitarie (estro ovino, Linguatula e Aspergillus nel cane, coccidi nel coniglio) o a diffusione di processo dai seni frontali, dalla laringe. Dal punto di vista clinico si distinguono una rinite semplice o catarrale, acuta e cronica, e varie forme di riniti speciali: follicolare o pustolosa, bollosa, croupale, infettiva dei suini, infettiva del coniglio, infettiva del gatto.
Nella rinite semplice o catarrale acuta, i sintomi generali fanno generalmente difetto. l piccoli animali starnutiscono mentre i grossi sbruffano. È presente uno scolo nasale bilaterale dapprima acquoso e scarso, poi torbido e più abbondante, quindi purulento e, infine, avvicinandosi la fase di risoluzione, ritorna chiaro. Per la tumefazione della mucosa nasale, la respirazione si fa, specie nei carnivori e suini, russante o soffiante. La mucosa si mostra congesta, talvolta cosparsa di piccole emorragie o di erosioni. Le complicazioni più frequenti sono date da congiuntivite e laringite acuta. La guarigione avviene in 8-15 giorni; solo nel cane, per la particolare conformazione delle sue cavità nasali, può incontrare difficoltà. La rinite catarrale cronica si osserva quasi soltanto nel cavallo e nel cane per la persistenza delle cause che hanno determinato la forma acuta. Lo scolo nasale è molto variabile come qualità e quantità; la mucosa è grigiastra, ipertrofica o atrofica. Per l'esatta diagnosi eziologica spesso è necessario ricorrere all'esame rinoscopico. Il processo infiammatorio si diffonde spesso ai seni frontali e mascellari.
La rinite follicolare o pustolosa, è una particolare malattia del cavallo, decorrente in 15-30 giorni, caratterizzata da lieve rialzo termico, da infiammazione della mucosa nasale con ingrossamento delle ghiandole mucose a guisa di noduletti che più tardi si ulcerano. La malattia è infettiva e contagiosa; l'agente eziologico è identico allo streptococco dell'adenite equina (T. Kitt). Lesioni simili a quelle della mucosa nasale si rilevano sulle narici e sulle labbra per infiammazione delle ghiandole sebacee. Esiste tumefazione acuta dei ganglî linfatici sottomascellari. La rinite bollosa degli equini, è contraddistinta dalla comparsa di numerose macchie emorragiche sulla mucosa nasale che in seguito evolvono in noduli, vescicole, ulceri e cicatrici. La rinite croupale colpisce specialmente gli equini, ma anche i bovini. La forma primitiva, quale si osserva indipendentemente da malattie contagiose (peste bovina, corizza cancrenosa, ecc.), ha spesse volte carattere contagioso e si manifesta, oltre che con fatti generali, con scolo nasale sieroso, poi purulento, sanguinolento e contenente false membrane. La mucosa nasale si mostra coperta, a tratti piccoli o estesi, da pseudomembrane che si allontanano con facilità lasciando allo scoperto delle ulcerazioni. Sono frequenti le complicazioni di laringite, bronchite, broncopolmonite, stomatite, ecc. Nelle forme non complicate, la guarigione sopravviene in una decina di giorni. La rinite infettiva dei suini si diffonde in forma enzootica nei suinetti di 3-6 mesi ed è caratterizzata da un'infiammazione emorragica e purulenta della mucosa nasale ed etmoidale, spesso associata a una meningoencefalite emorragica. È sostenuta dal bacillo piocianeo. Dal punto di vista clinico si manifesta con febbre elevata, respirazione dispnoica, russante, scolo nasale emorragico poi purulento. Nell'ulteriore decorso si manifestano i sintomi meningoencefalici. Il decorso è in generale acuto e altamente mortale. La rinite infettiva del coniglio, è un'infezione polibatterica, ordinariamente a carattere setticemico, con localizzazione alla mucosa degli organi della respirazione, a diffusione enzootica, manifestantesi con febbre elevata, inappetenza, dimagramento, scolo nasale sieroso e purulento. Nelle forme acute la morte avviene di regola; in quelle subacute o croniche, la prognosi è più favorevole. Anche la rinite infettiva del gatto è caratterizzata da una infezione setticemica con localizzazione alle mucose delle vie respiratorie e specie a quella nasale. Completo a questo riguardo è lo studio del Cremona (1933). La malattia è causata dal B. felisepticus (H. Gärtner) o da uno streptococco (R. De Jong). Nel decorso acuto l'esito è generalmente mortale per la complicanza di polmonite croupale; nel decorso subacuto descritto da R. De Jong, la prognosi è più favorevole.
Intraprendendo la terapia delle riniti è necessario sottrarre gli animali, quando è possibile, all'azione della causa; in secondo tempo s'interviene con la detersione delle cavità nasali con bicarbonato di sodio sciolto in soluzione fisiologica all'1%, seguita dall'irrigazione o dall'inalazione con sostanze antisettiche e astringenti (allume 1%, solfato di zinco 1%, tannino 2-5%, nitrato d'argento 0,4%). Nelle forme infettive e contagiose bisogna allontanare gli animali dalla possibilità di contagio.
Le cavità nasali possono essere sede di tumori di varia natura (iperplasia adeno-fibrosa della mucosa, polipi, angiomi, lipomi, osteomi, carcinomi, ecc.), i quali, detenninando una stenosi lenta e progressiva delle cavità nasali, ostacolano in vario grado il libero passaggio dell'aria.
Una particolare importanza hanno le riniti parassitarie. Negli ovini è diffusa la rinite da estro ovino (v. miasi). Le cavità nasali del cane possono essere parassitate dal Pentastoma taenioides; il cane si contamina mangiando o fiutando organi di bovini infetti; esso può ospitare da 1 a 12 parassiti. Dal punto di vista clinico si manifesta l'esistenza di una rinite cronica, con notevole irritazione della mucosa nasale, difficoltà di respirazione, irrequietezza, agitazione. La cura si fonda sull'allontanamento dei parassiti attraverso i fori di trapanazione delle cavità nasali o dei seni frontali. Nei conigli è rilevabile una rinite da coccidî. I sintomi clinici sono avvicinabili a quelli della rinite infettiva del coniglio; la malattia è altamente mortale. La diagnosi eziologica è assicurata dalla dimostrazione microscopica dei coccidî. La cura si fonda su irrigazioni nasali con antisettici e astringenti e sulla somministrazione per via orale di parassiticidi (blu di metilene, atoxil, tartrato antimonico sodico, ecc.).
Sinusiti. - Nelle riniti con somma facilità ammalano in via secondaria le cavità accessorie a quelle nasali (seni mascellari, frontali, sfenoidali). La loro infiammazione (sinusite) di frequente è pure secondaria alle affezioni dei denti e degli alveoli, alla morva, all'adenite equina, alla corizza cancrenosa, a tumori, ecc. Le sinusiti primitive conseguono di solito ad azioni traumatiche.
Le sinusiti acute, quando sono secondarie a rinite, hanno manifestazioni che si confondono con quelle di questa malattia. Nelle forme primitive o secondarie ad altre malattie, si rileva uno scolo nasale di vario aspetto, uni- o bilaterale, intermittente, copioso quando gli animali abbassano la testa. Nelle sinusiti unilaterali i bovini tengono la testa inclinata dal lato ammalato. L'aria espirata può essere fetida. Nelle sinusiti croniche, oltre alle manifestazioni accennate, talora è rilevabile una deformità delle pareti esterne dei seni, un suono più ottuso o più chiaro del normale alla percussione delle stesse. In rapporto al decorso della sinusite, esiste adenite acuta o cronica dei ganglî sottomascellari. La cura delle sinusiti, quando non ha controindicazioni, è solo chirurgica; si pratica la trapanazione delle pareti dei seni, allo scopo di allontanare la causa, se rimovibile, e di modificare la mucosa mediante un'appropriata medicazione.
Laringiti. - L'infiammazione primitiva o secondaria della laringe riconosce le stesse cause che determinano le riniti. Il catarro epizootico laringo-tracheale del cavallo, secondo le ricerche di G. Finzi, confermate da altri autori, è una speciale manifestazione dell'influenza del cavallo (v. influenza, XIX, p. 215). Dal punto di vista clinico e anatomo-patologico, si può distinguere una laringite catarrale e una laringite croupale.
La laringite catarrale può decorrere in forma acuta o cronica. La prima si manifesta con febbre moderata, con tosse superficiale, secca, dolorosa, spesso ad accessi e accentuantesi per minimi stimoli; dopo qualche giorno si fa grassa e accompagnata da scolo nasale. Nei casi gravi la respirazione è ostacolata. La sensibilità alla palpazione è notevole; all'ascoltazione si possono avvertire dei rantoli. La malattia evolve in una decina di giorni. La laringite catarrale cronica può evolvere fin dall'inizio come tale o può conseguire alla forma acuta. La tosse è poco dolorosa, aspra, secca, di rado umida, presentantesi al mattino ad accessi. La sensibilità della laringe è poco aumentata; la guarigione è difficile. La laringite croupale si osserva specialmente nei bovini e negli ovini. Inizialmente si manifesta con i sintomi della laringite catarrale acuta; bentosto però la respiraziope si fa fischiante o rantolante per stenosi laringea; la tosse è dolorosa, rauca, secca, convulsiva. Con i colpi di tosse vengono espulse masse muco-purulente, purulente e brandelli di membrane fibrinose. Alla palpazione si avverte un fremito inspiratorio. L'esito è generalmente infausto. Si può reperire un'infiammazione concomitante della faringe e della trachea e un'infiammazione consecutiva del polmone e dell'intestino dello stesso carattere anatomopatologico.
Nella cura delle laringiti acute, oltre agli accorgimenti igienici, ai quali si deve attribuire il massimo valore, si mira all'antisepsi delle vie respiratorie con l'uso di inalazioni (analogamente a quanto si fa nelle riniti), alla revulsione con frizioni irritanti o con compresse caldo-umide in corrispondenza della regione laringea, all'impiego di antispasmodici. Nella laringite cronica si ricorre alla medicazione iodurata; s'è preconizzata la polverizzazione intralaringea o l'iniezione intratracheale di calmanti, antisettici, risolventi, astringenti, ma questi mezzi non hanno un grande valore pratico.
Edema della laringe. - È caratterizzato dalla raccolta di liquido sieroso nel connettivo sottomucoso delle ripiegature ariteno-epiglottidee e dei legamenti laterali dei ventricoli, per cui si stabilisce stenosi laringea. Esso può essere primitivo per azione di gas irritanti, aria calda o polverosa, o secondario a laringiti, a infiammazione di organi vicini, a malattie infettive, a malattie croniche del cuore. La malattia provoca corneggio, dispnea, cianosi delle mucose; nei casi gravi si ha morte per asfissia. Esistendo il pericolo di soffocazione si ricorre alla tracheotomia; si fanno applicazioni di ghiaccio alla regione della gola.
I tumori della laringe sono assai rari; essi provocano principalmente disturbi respiratorî.
Per la paralisi della laringe, v. nervoso sistema, XXIV, p.657: Paralisi del ricorrente.
Bronchiti. - Sono specialmente frequenti nel cavallo, nel bue e nel cane. Le bronchiti primitive sono favorite da cause occasionali, come i raffreddamenti repentini, l'aria carica di pulviscolo, di gas irritanti, il passaggio nei bronchi di sostanze solide o liquide in seguito a false deglutizioni. Queste cause determinano un indebolimento dei poteri di difesa della mucosa bronchiale e quindi il facile attecchimento dei germi che spesse volte vengono veicolati direttamente dalla stessa causa debilitante. Le forme secondarie conseguono a malattie della laringe e della trachea, dei polmoni, spesso a infezioni specifiche (setticemie emorragiche, tubercolosi, morva, adenite equina, influenza del cavallo, cimurro del cane, ecc.), a infestazioni parassitarie, a malattie organiche del cuore. La causa determinante, specialmente delle bronchiti acute, risiede dunque in un'infezione; i germi arrivano ai bronchi per via aerogena, linfatica e sanguigna. Dal punto di vista clinico le bronchiti si distinguono in acute e croniche; queste ultime conseguono alla forma acuta o si sviluppano in modo indipendente.
Nella bronchite acuta: i sintomi generali sono poco evidenti nella macrobronchite, più accentuati nella microbronchite, in cui la febbre può essere elevata. La tosse, inizialmente secca e dolorosa, si fa in seguito umida; lo scolo nasale è poco abbondante, all'inizio mucoso, poi mucopurulento e purulento. La dispnea è evidente specialmente nelle microbronchiti. I rilievi più caratteristici sono forniti dall'ascoltazione della cassa toracica ove si percepisce un murmure rude, con rantoli sonori, ronzanti e secchi dapprima, umidi o secchi, ronzanti o a grosse bolle, sibilanti o subcrepitanti in seguito, a seconda della costituzione dell'essudato e della sede di produzione del rumore. I rantoli si percepiscono nei due tempi della respirazione; nella bronchite capillare il murmure può essere assente. Nella bronchite cronica i sintomi generali fanno difetto. La tosse è generalmente grassa, provocabile con minimi stimoli e accompagnata dall'espulsione di essudato mucoso o mucopurulento. All'ascoltazione, specie nelle respirazioni profonde, si avvertono rantoli secchi, di carattere russante o fischiante. La macrobronchite acuta ha decorso più benigno e più rapido della microbronchite acuta, la quale spesso si complica con broncopolmonite. La bronchite cronica, in rapporto alla causa che la sostiene, può persistere per mesi e anni. Il trattamento della bronchite acuta è igienico e medicamentoso. Il primo comporta il riposo, il soggiorno in ambiente sano, un'alimentazione appropriata; il secondo si basa sull'impiego di narcotici quando la tosse si fa troppo frequente e dolorosa, e di espettoranti quando l'essudato bronchiale fosse scarso e vischioso. Fra questi meritano speciale menzione il pentasolfuro di antimonio, la radice di poligala (nei piccoli animali), il cloruro d'ammonio, lo ioduro di potassio. Anche nella bronchite cronica, si ricorre allo ioduro di potassio, al cloruro d'ammonio. Nelle bronchiti secondarie bisogna mirare innanzitutto alla terapia causale.
Iperemia ed edema polmonare. - L'iperemia può risultare da un aumentato afflusso di sangue (iperemia polmonare attiva), o da un ostacolato deflusso dello stesso (iperemia polmonare passiva). Tanto l'una, quanto l'altra, possono essere causa di uno stravaso di liquido sieroso negli alveoli, nei bronchioli e nel tessuto interalveolare (edema polmonare). L'iperemia attiva può conseguire a un lavoro esagerato, all'azione dell'aria calda, di gas irritanti; insorge nel primo stadio del processo infiammatorio acuto del polmone, in forma collaterale nel pneumotorace, nelle trombosi di grossi rami dell'arteria polmonare, ecc. L'iperemia passiva insorge soprattutto nelle cardiopatie, nel decubito prolungato, nel meteorismo dello stomaco e dell'intestino. L'edema polmonare è prodotto dalle stesse cause che sostengono le due forme d'iperemia polmonare. Queste forme morbose conducono a dispnea, che compare e si accentua in modo rapido, e ad accessi di soffocazione. Nell'edema polmonare scola dalle narici un liquido schiumoso bianco o rossiccio e l'animale è colpito da accessi di tosse breve e ottusa. Il suono di percussione è tendenzialmente subottuso; il murmure respiratorio, a seconda dei punti, è debole o rude nell'iperemia, debole o scomparso nell'edema, in cui sono percettibili crepitii e rantoli. Nell'iperemia passiva e nell'edema la prognosi è spesso infausta. I malati richiedono ambiente tranquillo, ben aerato, salasso, uso di eccitanti e tonici cardiaci.
Emorragia polmonare. - Può essere causata da iperemia polmonare, da diminuzione della resistenza delle pareti vasali (nella polmonite, febbre petecchiale, carbonchio ematico, ecc.), da distruzione dei tessuti (morva, tubercolosi), da rottura di aneurismi aderenti a un bronco, ecc. I sintomi si manifestano soltanto se la quantità di sangue uscita dai vasi è sufficiente per apparire all'esterno. Nelle piccole emorragie si hanno delle semplici strie sanguigne nello scolo nasale, mentre in quelle più copiose si ha emissione dal naso e dalla bocca di sangue rosso e schiumoso, dispnea, agitazione, rantoli a grosse bolle e tutti gli altri sintomi che caratterizzano le emorragie acute. Le emorragie copiose possono anche condurre a morte in breve tempo. La cura richiede riposo, tranquillità, impacchi freddi al torace, l'uso di coagulanti, il pneumotorace nelle emorragie unilaterali.
Polmonite croupale (polmonite fibrinosa, polmonite lobare). - Dal lato anatomico è caratterizzata dalla raccolta di essudato fibrinoso negli alveoli di sezioni polmonari estese. La malattia è particolarmente frequente nel cavallo. Essa può rappresentare la localizzazione polmonare di germi di determinate malattie infettive (setticemie emorragiche, adenite equina, pleuropolmonite contagiosa dei bovini, ecc.); nella forma primitiva, hanno una notevole azione predisponente le cause occasionali (v. bronchite), le quali preparano il terreno all'azione di germi ospiti banali (micrococchi, stafilococchi, streptococchi) delle prime vie respiratorie e digerenti. Questi germi possono in seguito subire un'esaltazione della loro virulenza, al punto da contagiare gli animali sani conviventi con quelli malati, anche senza l'intervento di cause predisponenti. Indipendentemente da queste circostanze, la polmonite primaria può essere espressione della pleuro-polmonite contagiosa del cavallo (v. influenza, XIX, p. 215).
Le lesioni riscontrabili al tavolo anatomico sono in relazione con il periodo di sviluppo del processo polmonare; comunemente hanno sede nel tratto antero-inferiore del polmone. Nello stadio di congestione la porzione malata ha colore rosso-bruno, ed è di elasticità diminuita; alla sezione sgorga un liquido spumoso, sanguinolento; gli alveoli contengono aria e un essudato ricco di elementi cellulari e di fibrina. Avvenendo la coagulazione di questo essudato, gli alveoli sono privati d'aria, e il tessuto leso appare compatto e friabile; nell'acqua affonda. Per l'abbondanza dei globuli rossi nell'essudato polmonare, il tessuto leso ha un colorito rosso scuro (epatizzazione rossa), che si fa grigio chiaro nei giorni successivi (epatizzazione grigia). L'essudato subisce poi un progressivo processo di degenerazione grassa, per cui il tessuto leso si fa più molle, meno asciutto, e assume una colorazione gialliccia (epatizzazione gialla). In un periodo successivo (stadio di risoluzione) il polmone si rende ancora più molle, l'essudato si presenta fluidificato, gli alveoli contengono di nuovo aria. Lo sviluppo dei varî stadî non avviene sempre contemporaneamente in tutta la zona malata. In varî casi a decorso mortale, si possono reperire focolai di suppurazione e di necrosi. Nella polmonite primitiva, il primo sintomo è dato dalla comparsa improvvisa di alta febbre; seguono tosse, mucose congeste, subitteriche. Il suono di percussione in corrispondenza della regione lesa è dapprima timpanico, poi ottuso; diviene ancora timpanico nella fase di risoluzione, e infine normale. All'ascoltazione, nello stadio iniziale il murmure è rinforzato e rude, sono presenti rantoli a piccole bolle e crepitanti, inspiratorî; nella fase di epatizzazione il murmure è scomparso e sostituito dal rumore bronchiale e da rantoli sonori. Nel periodo di fluidificazione dell'essudato, ricompaiono i rantoli del primo stadio e il rumore vescicolare. Sul principio del periodo di epatizzazione, è presente scolo nasale di color bruno-ruggine o giallo-zafferano; nel decorso di questo periodo la tosse è debole e dolorosa. La febbre spesso è caratterizzata da fastigio continuo; la risoluzione del processo febbrile avviene per crisi o per lisi. Tutte le grandi funzioni sono, parallelamente a quella respiratoria, compromesse, e in special modo quella cardiaca e renale. Le complicazioni più gravi sono rappresentate da debolezza cardiaca, cancrena polmonare, pleurite, pericardite, nefrite. Nelle forme tipiche il decorso è di due settimane; sono frequenti però quelle atipiche, per un decorso anormalmente lungo o breve, o per eventuali complicazioni. Nel processo tipico, non complicato, la prognosi è favorevole. I malati vanno isolati (anche come indicazione profilattica) e sottoposti a un'appropriata igiene dell'alimentazione e del ricovero. La cura comporta l'uso di derivativi; risponde bene allo scopo l'ascesso di fissazione (praticato al petto con essenza di trementina), perché risveglia inoltre la leucocitosi. Quando il polso è debole e frequente, si ricorre ai cardio- e vasotonici (caffeina, canfora e digitale e loro preparati, adrenalina, soprarenina, ecc.). Se la febbre è troppo elevata, o perdura troppo a lungo, si ricorre agli antitermici (antifebbrina nei grossi animali, fenacetina, antipirina nei piccoli). Azione benefica possono svolgere tanto le sostanze proteinoterapiche quanto quelle cheminterapiche. Nella fase di risoluzione si facilita l'assorbimento e l'eliminazione dell'essudato con diuretici ed espettoranti. Nella cancrena polmonare si possono tentare le iniezioni intratracheali di formalina o di creosoto.
Polmonite catarrale (broncopolmonite, polmonite lobulare). - Dal punto di vista anatomico è caratterizzata da focolai infiammatorî limitati a lobuli polmonari isolati o a gruppi di lobuli, con raccolta nei bronchioli e alveoli interessati di un essudato composto prevalentemente di epitelî di desquamazione, di globuli bianchi, di muco e di siero ricco di albumina. La malattia insorge per quelle stesse cause che sostengono le bronchiti; la causa determinante è di natura microbica.
I focolai broncopneumonici al tavolo anatomico hanno dapprima aspetto carneo, diventano poi rosso-grigi, grigi o giallicci; non è raro il reperto di focolai purulenti. Oltre ai sintomi proprî delle bronchiti e specie delle bronchioliti, con le quali spesso s'incontrano delle difficoltà di diagnosi differenziale, si può rilevare un'ottusità limitata ai focolai broncopneumonici, in corrispondenza dei quali il murmure respiratorio è assente o sostituito da respiro bronchiale. Il decorso è molto variabile, dipende dalla virulenza dei germi, dalla resistenza del malato e dall'estensione delle lesioni. Negli animali giovani e vecchi la prognosi è sempre grave. La cura va regolata secondo gli stessi principî igienici e dietetici della polmonite croupale; come in questa malattia, quando il caso lo richieda, si ricorre ai derivativi, ai cardiocinetici, agli antitermici, agli espettoranti. Nelle forme secondarie a malattie infettive o parassitarie, si ricorre anzitutto alla terapia causale, e si seguono le indicazioni profilattiche.
Polmonite enzootica dei giovani animali. - È caratterizzata da una pleuropolmonite, o da una polmonite catarrale o croupale, di natura polimicrobica, a diffusione enzootica. Nell'insorgenza e nella persistenza del focolaio infettivo, le cause debilitanti hanno un'azione preponderante. La malattia è diffusa in tutti i paesi ove si fa allevamento intensivo; essa colpisce gli animali dai primi giorni di età al 6° mese; ammalano più facilmente i vitelli, gli agnelli, i suinetti; con difficoltà i puledri. Nei singoli focolai, l'infezione resta generalmente localizzata alla stessa specie. Gli agenti morbosi che più comunemente sono chiamati in causa sono i bacilli delle setticemie emorragiche, i batterî del gruppo coli e paratifo, lo streptococco e stafilococco piogene, il bacillo piogene.
La malattia evolve in forma acuta o cronica; la prima suole manifestarsi negli animali molto giovani. Dal lato clinico e anatomopatologico, essa riveste i caratteri delle comuni polmoniti; sono frequenti i focolai suppurativi del polmone, specie nelle forme croniche. La diagnosi si fonda, oltre che sui dati clinici e anatomici, sul carattere enzootico della malattia e sulla sua diffusione, limitata agli animali giovani. La diagnosi eziologica è concessa solo alle ricerche di laboratorio. La prognosi in generale è sfavorevole. La dieta opportuna, il miglioramento delle condizioni igieniche (la vita all'aperto soprattutto), la cura comune alle polmoniti, la sieroterapia specifica, possono portare però a discreti risultati.
Polmonite cancrenosa. - È consecutiva all'introduzione di corpi estranei nelle vie tracheobronchiali per false deglutizioni, o al passaggio nel polmone di corpi estranei dal reticolo o dal pericardio, oppure è secondaria a polmonite o insorge in seguito a metastasi. In ogni caso la natura della malattia è da ricercarsi nei germi della putrefazione.
I focolai cancrenosi sono spesso numerosi, situati nelle regioni infero-anteriori del polmone e inclusi in tessuto polmonare in preda a infiammazione catarrale o croupale. Tali focolai sono di color rosso-bruno o giallo-bruno, constano di una sostanza poltigliosa, di odore nauseante, che si rinviene anche nel lume dei bronchi. Fra le manifestazioni più significative si rileva odore sgradevole dell'aria espirata e dello scolo nasale; alla percussione, accanto ad aree con suono ottuso, ve ne sono di quelle con suono timpanico o di pentola fessa (per l'esistenza di caverne); in corrispondenza delle prime all'ascoltazione è rilevabile soffio bronchiale e delle seconde rantoli a timbro metallico, rumori di guazzamento, di gorgoglio. La febbre, oltre alle altre manifestazioni generali, non manca mai. L'esame microscopico dello scolo nasale mette in rilievo la presenza di fibre elastiche. Sono facili le complicazioni di pleurite, pneumotorace, emorragia polmonare. Il decorso è acuto e la prognosi grave. Oltre alle indicazioni terapeutiche delle altre polmoniti, si raccomanda la pneumotomia o le iniezioni intratracheali di sostanze disinfettanti.
Polmonite cronica. - È generalmente di origine secondaria a infiammazione protratta, banale o specifica dei bronchi e del polmone. Si osserva in particolar modo negli equini e nei bovini.
Dal lato anatomico la malattia è caratterizzata da un'iperplasia connettivale diffusa o a focolai, localizzata agli spazî interalveolari, interlobulari e peribronchiali. Le manifestazioni cliniche della malattia rientrano in quelle che costituiscono il complesso quadro della bolsaggine (v.).
Enfisema polmonare alveolare. - È caratterizzato da uno stato di dilatazione degli alveoli polmonari (enfisema polmonare alveolare acuto), o da dilatazione degli alveoli e da atrofia e scomparsa dei loro setti (enfisema polmonare alveolare cronico).
L'enfisema polmonare alveolare acuto si sviluppa nel corso di quelle affezioni acute dell'apparecchio respiratorio che sono causa di dispnea e accessi di tosse. Questo enfisema ha spesso ufficio vicariante e scompare con il cessare della causa determinante. Esso si manifesta con aumento di sonorità alla percussione e con affievolimento del murmure vescicolare. L'enfisema polmonare alveolare cronico primario è causato da inspirazioni profonde e da espirazioni forzate come si verifica nel lavoro esagerato; quello secondario è prodotto da quelle malattie croniche dell'apparecchio respiratorio accompagnate da tosse e in cui le inspirazioni sono pure profonde e le espirazioni forzate. L'enfisema polmonare alveolare cronico, costituisce la causa più comune della bolsaggine del cavallo (a questa voce sono rimandati tutti gli altri dati riferibili alla malattia).
Enfisema polmonare interstiziale. - caratterizzato dalla raccolta di aria nel connettivo intra- e interlobulare per rottura delle pareti degli alveoli o dei bronchi.
La malattia è frequente nei bovini per la struttura particolare anatomica dei loro polmoni. Essa è sostenuta da tutte quelle evenienze che determinano un aumento notevole della pressione aerea interalveolare, come avviene in seguito a colpi di tosse frequenti e convulsivi, a muggito continuo, a espirazioni faticose o forzate, qualunque ne sia la causa. Nel connettivo interalveolare e interlobulare, si formano raccolte di aria sotto forma di vescicole, che nei casi gravi raggiungono la grandezza di una noce, di una mela e anche più. All'esame clinico, oltre alla dispnea di grado più o meno marcato, si rileva suono superchiaro o timpanico e rumori crepitanti e di scoppiettio. Può evolvere in forma acuta, si da aversi la morte per asfissia in 1-2 giorni. In questi casi si ha sempre ingrandimento dell'area polmonare. Le forme gravi possono complicarsi da enfisema sottocutaneo. Le indicazioni profilattiche e terapeutiche devono mirare a sopprimere o a mitigare le cause della malattia.
Parassiti del polmone. - Fra le forme parassitarie dei bronchi e del polmone, oltre agli echinococchi (v. echinococco: Echinococcosi negli animali), occupano un posto preponderante gli strongili polmonari, i quali determinano una bronchite e una broncopolmonite a carattere enzootico o epizootico.
La malattia è quasi esclusiva degli animali pascolanti in regioni soggette a inondazioni o paludose. In certe circostanze l'infestione può verificarsi anche su pascoli asciutti, nelle stalle e anche per via intrauterina, Ammalano più di frequente le pecore, le capre, i suini; si mostrano molto sensibili anche parecchi ruminanti selvaggi. Le maggiori perdite si registrano fra gli animali giovani. L'infettività dei pascoli è determinata o accresciuta dalle larve espulse con i colpi di tosse di animali ammalati. L'infezione avviene per l'ingestione delle larve raccolte sulle erbe o contenute nell'acqua di abbeverata; dall'intestino raggiungono il polmone per mezzo della circolazione sanguigna. Nei bronchi e negli alveoli, dove si annidano, i parassiti determinano per azione meccanica e tossica un processo infiammatorio interessante i bronchi e gli alveoli. Al tavolo anatomico la malattia è svelata dalla presenza di noduli (noduli verminosi), in numero vario, della grandezza variabile da un seme di miglio a un pisello o a una noce, situati preferibilmente nelle sezioni antero-inferiori del polmone, a forma di cuneo con la base rivolta verso la superficie del polmone, generalmente prominenti, di consistenza molle o dura a seconda dell'età del nodulo, di colore rosso o grigio-rossastro o grigio-giallastro (broncopolmonite verminosa lobulare). In certi animali si può reperire un'infiammazione diffusa a interi lobi (broncopolmonite verminosa lobare). I noduli si organizzano attorno ai parassiti o alle loro uova; avvenendo la morte dei vermi, si ha degenerazione caseosa e calcificazione dei noduli. Clinicamente la malattia si manifesta come una bronchite o una broncopolmonite a decorso generalmente cronico, che nei casi più gravi riduce gli animali in uno stato di profonda anemia e cachessia. La diagnosi eziologica negli animali in vita è accertata dalla dimostrazione microscopica delle uova e degli embrioni nell'espettorato. La prognosi dipende dal grado dell'infestazione, dall'età e dalla specie degli animali colpiti. A parità di condizioni essa è infausta negli ovini e caprini, fausta nei suini. Nella cura è raccomandabile l'impiego combinato di polverizzazioni, di soluzioni acquose e oleose parassiticide per via tracheale. Fra queste sostanze meritano speciale menzione l'olio di trementina, l'acido fenico, il creosoto, il liquido di Lugol. Parallelamente alla cura si devono ritirare gli animali dai pascoli sottoponendoli ad alimentazione intensiva. Dal punto di vista profilattico non si devono mai introdurre animali ammalati su pascoli indenni. Laddove i pascoli sono infetti, la migliore indicazione sarebbe di non farli pascolare. Quando questo non sia possibile, si può limitare l'ingestione delle larve riducendo il pascolo alle ore calde, isolando con staccionate gli stagni e le pozzanghere, prosciugando i pascoli acquitrinosi, spargendo sugli stessi sistematicamente e in più riprese perfosfati, scorie Thomas, nitrato di calcio. I ricoveri e gli abbeveratoi richiedono accurate disinfezioni.
Tumori. - I più frequenti tumori del polmone sono carcinomi, adenocarcinomi, sarcomi, melanosarcomi. Essi si manifestano col quadro della polmonite interstiziale cronica. Nei tumori solitarî si può ricorrere alla pneumotomia.
Pleurite. - È una malattia ordinariamente di natura infettiva e secondaria a malattie infettive (setticemie emorragiche, tubercolosi, polmonite essudativa, morva, pioemia, ecc.), a ferite toraciche penetranti o a ferite prodotte da corpi estranei provenienti dallo stomaco, o dall'esofago, a propagazione di processo da organi vicini e dal polmone più di frequente. Si considerano primitive quelle pleuriti che si sviluppano indipendentemente da ogni infezione anteriore. Le cause occasionali, prima fra tutte il raffreddamento, hanno nello sviluppo dell'affezione un'importanza decisiva.
Dal punto di vista anatomico, nelle forme acute la pleura si mostra in un primo tempo ruvida, opaca e asciutta. In una seconda fase si forma un essudato che può essere fibrinoso (pl. fibrinosa), siero-fibrinoso (pl. sierofibrinosa), sieroso (pl. sierosa), purulento (pl. purulenta), ecc. La quantità dell'essudato liquido è molto variabile, nel cavallo oscilla in media sui 15-20 litri. Nella pleurite cronica si forma sulla sierosa un tessuto di granulazione, per cui la pleura si ispessisce, diviene fibrosa, oppure si determinano delle aderenze fra i due foglietti pleurici. Si ha inoltre raccolta di un essudato che può essere sieroso, emorragico, purulento. Nel cavallo la malattia è generalmente bilaterale. Nello stadio iniziale della pleurite acuta si rilevano turbe di ordine generale, fra le quali primeggiano un'elevazione termica anche notevole e disturbi funzionali: i movimenti respiratorî sono accelerati e superficiali; il respiro è di tipo addominale o può essere anche di tipo toracico quando la pleurite è solo diaframmatica; esiste tosse breve, secca, dolorosa, notevole pleurodinia. All'ascoltazione accanto a un murmure respiratorio affievolito, è udibile un rumore di sfregamento isocrono con i movimenti respiratorî, presente tanto nell'inspirazione quanto nell'espirazione, o in uno solo di questi tempi. Nello stadio di essudazione lo stato generale, facendo eccezione per le pleuriti purulente, migliora. La respirazione si fa più faticosa, meno dolorosa e spesso discordante. Nei piccoli animali specialmente, si può avere un'alterazione della forma del torace in rapporto alla grande quantità di liquido che vi si è raccolto. Alla percussione si rileva un'ottusità bilaterale o unilaterale nella parte inferiore del torace, limitata superiormente da una linea orizzontale; l'ascoltazione praticata a livello di questa zona, rivela la soppressione del murmure respiratorio e un affievolimento dei rumori cardiaci. Nella pleurite cronica senza versamento, lo stato generale spesso non è alterato; sono presenti rumori di sfregamento pleurale. Nelle forme essudative si rilevano gli stessi segni fisici di quelle acute. Per la diagnosi hanno valore patognomonico i rumori di sfregamento nella pleurite fibrinosa e l'ottusità spesso bilaterale, delimitata in alto da una linea orizzontale, nella pleurite con versamento. Nei casi dubbî si ricorre alla puntura esplorativa, con la quale si accerta anche la natura dell'essudato. Le pleuriti acute se non evolvono verso la guarigione in una ventina di giorni, passano allo stato cronico. Le pleuriti purulente e icorose, quelle emorragiche, quelle caratterizzate da notevole versamento, hanno poche probabilità di esito felice. Nella terapia si dà molto valore alle indicazioni igieniche e dietetiche; nello stadio d'invasione si ricorre alla cura derivativa o, al contrario, alle applicazioni di ghiaccio al torace; in quello di essudazione si favorisce l'assorbimento e l'arresto della formazione dell'essudato, ricorrendo a diuretici e diaforetici, a composti di calcio, alla rivulsione, all'autosieroterapia. L'eliminazione dell'essudato viene però più facilmente raggiunta con la toracentesi; l'estrazione del liquido può essere fatta seguire dall'introduzione intrapleurale di una soluzione antisettica e modificatrice. Nella pleurite purulenta s'impone il lavaggio pleurico.
Idrotorace. - È caratterizzato dalla raccolta di trasudato nella cavità pleurica. La malattia può essere in relazione a stasi nel territorio della vena cava, ad anemia cronica, a malattie croniche esaurienti.
I rilievi clinico-fisici sono gli stessi della pleurite con versamento. La diagnosi differenziale si fonda sul decorso cronico e afebbrile, sulla dimostrazione della malattia causale e soprattutto sull'esame fisico, chimico e microscopico del liquido pleurico. Indicano un trasudato, anziché un essudato, la densità inferiore a 1016, la prova del Rivalta negativa, l'esclusiva presenza nel sedimento di globuli bianchi e in scarso numero. La cura mira alla malattia fondamentale.
Pneumotorace. - È caratterizzato dalla raccolta di aria o di gas nel cavo pleurico. Può essere causato da ferite penetranti nel torace e più di frequente da lesioni polmonari.
La malattia si manifesta con dispnea, che può svilupparsi e crescere rapidamente, ingrandimento dell'area polmonare, riduzione dei movimenti delle pareti toraciche. Il suono di percussione è soprachiaro o timpanico; il murmure respiratorio è affievolito e può anche scomparire completamente nei casi gravi; nel pneumotorace aperto è udibile un soffio anforico, soprattutto espiratorio. Se con l'aria si trova anche una raccolta liquida, si manifestano rumori di guazzamento o di goccia. La guarigione non manca nel pneumotorace chiuso, non infettato. La morte è dovuta ad asfissia o a infezione secondaria. Nel pneumotorace aperto all'esterno si richiede la chiusura dell'apertura; in quello chiuso l'allontanamento dell'aria. Contemporaneamente va sostenuta l'attività cardiaca e calmata la dispnea facendo ricorso a narcotici.
Bibl.: F. Hutyra e J. Marek, Patologia e terapia speciale degli animali domestici, Milano 1929.