RESPIRATORIO, APPARATO
(XXIX, p. 99; App. II, II, p. 695)
Il panorama offerto dalla medicina respiratoria nell'immediato dopoguerra era, come, e più, di quello di altri settori della medicina, grigio e monotono.
La fisiologia respiratoria, che pure aveva fatto importanti progressi (anche per i contributi di una grande scuola italiana: quella di R. Margaria a Milano), era ancora confinata in laboratorio e, dunque, patrimonio di pochi. Siamo ancora lontani dallo sviluppo (merito della cultura medica anglosassone) della fisiologia clinica: di quella fisiologia, cioè, che fornisce supporto, culturale e pratico, alla patologia; nel nostro paese si è dovuta attendere la fine degli anni Cinquanta perché si muovessero i primi (contrastati) passi in questa direzione: e non sono stati i fisiologi a compierli, ma i clinici, con inevitabili limiti. La patologia respiratoria era ancora dominata dalla tubercolosi, una sorta di spettro con i suoi riflessi clinici, sociali e psicologici. La svolta iniziò a metà degli anni Cinquanta: nacque e progressivamente assunse coscienza di sé la fisiopatologia respiratoria che rapidamente entrò nell'ambito clinico, a far luce (per quanto di sua competenza) nella patologia; nacquero nell'ambito di una straordinaria risorsa terapeutica (gli antibiotici) i primi farmaci antitubercolari. Per realizzare un consistente decremento di questa malattia, sarebbero occorsi comunque anni e questo limitatamente a quei paesi in cui, accanto alla disponibilità di efficaci mezzi terapeutici, si fossero sviluppate condizioni socio-economiche tali da impedirne insorgenza e diffusione.
L'attuale medicina respiratoria nasce, dunque, e progredisce utilizzando due strumenti: lo studio della funzione (che ha consentito di valutare e interpretare le alterazioni funzionali e le modificazioni indotte dalla terapia e, con ciò, d'istituire correlazioni clinico-fun zionali), e l'utilizzo di farmaci in grado di liberarla dall'incidenza prevalente della tubercolosi. Esaurita questa spinta, alla fine degli anni Settanta, altre vie vengono percorse: ricorrendo alle scienze di base (biochimica, immunologia, biologia cellulare), portatrici di un immenso patrimonio scientifico-culturale. Si assiste così al progressivo ''viraggio'' di una branca della medicina − tipicamente e tradizionalmente funzionalistica − verso altri orizzonti, biologici in prevalenza.
In un'epoca di rivoluzione scientifica che ha comportato un'esplosiva crescita delle conoscenze, i progressi (intesi come acquisizione di nuove informazioni e loro applicazioni) sono stati enormi per contributi scientifici, tecnologici, culturali e socio-economici. Con l'introduzione e la diffusione del cateterismo cardiaco destro (A.F. Cournand e D.W. Richards, New York, fine anni Quaranta), una ''sonda'' per esplorare le cavità cardiache e il circolo polmonare, si acquisiscono tutte le informazioni di emodinamica polmonare e sistemica. Con la progressiva diffusione (a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta) di strumenti quali lo spirometro, il pletismografo, il pneumotacografo, si rende agevole e completo lo studio della ventilazione. Con la misura delle pressioni parziali dei gas respiratori nel sangue (pO2: elettrodo di Clark, 1956; pCO2: elettrodo di Stow-Severinghaus, 1957) la diagnosi d'insufficienza respiratoria è resa possibile sulla base di dati obiettivi. Il contributo alla comprensione degli scambi gassosi è enorme. Lo sviluppo del broncoscopio flessibile a fibre ottiche (S. Ikeda, Tokyo: seconda metà degli anni Sessanta) provoca un'autentica rivoluzione nelle indagini endoscopiche: il panorama esplorabile all'interno del polmone si allarga enormemente. La messa a punto (a metà anni Settanta) della tomografia assiale computerizzata (TAC) realizza anche a livello toracico un importante progresso delle tecniche diagnostiche. Lo sviluppo (fine anni Settanta), nell'ambito delle tecniche diagnostiche non-invasive, della polisonnografia e delle prove da sforzo cardio-respiratorio, rappresenta ulteriori contributi.
Nell'ambito del progresso scientifico non immediatamente legato ad aspetti tecnologici, gli eventi seguenti sono risultati particolarmente produttivi: gli studi di morfometria polmonare, che hanno consentito di trasferire, anche a questo livello, le più ampie tematiche dei rapporti tra struttura e funzione (correlazioni morfo-funzionali); lo sviluppo del concetto fisiologico, assai complesso, dei rapporti ventilazione:perfusione (VA/Qc) all'interno del polmone, quale principale determinante dell'assunzione di ossigeno; l'avvio, tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta, di indagini epidemiologiche in ambito respiratorio, che forniscono informazioni di notevole importanza; la possibilità di studio del modo di operare dei centri respiratori e dei muscoli respiratori che ha reso possibile un'adeguata valutazione, all'interno dell'a.r., dei rapporti tra centro e periferia.
Il lento, faticoso progredire dei mezzi terapeutici, legato, ma non solo, allo sviluppo delle scienze farmacologiche, è stato contrassegnato da successi, speranze e delusioni. La nascita degli antibiotici e la loro rapida crescita in termini qualitativi e quantitativi, se non ha debellato le malattie infettive ne ha comunque cambiato il volto: è iniziata così una storia (quella del rapporto tra agenti patogeni e antibiotici) ricca di insegnamenti, in ambito biologico e clinico, che sembra destinata a rinnovarsi all'infinito. Invece il lento progresso di farmaci in grado d'interferire con la funzione (broncodilatatori selettivi, anti-allergici, anti-infiammatori) sviluppati nei primi anni Settanta ha dimostrato quanto sia difficile produrre farmaci realmente innovativi. In ambito non farmacologico lo sviluppo dei ventilatori meccanici (cosiddetti ''polmoni d'acciaio'') e il progressivo miglioramento dei mezzi di supporto ventilatorio hanno reso possibile in anni recenti l'esecuzione a domicilio di due importanti modalità terapeutiche (ventilo- e ossigeno-terapia). Infine, progressi della chirurgia toracica consentono ormai interventi fino a un recente passato irrealizzabili.
Oltre al normale progresso medico-scientifico, altri eventi hanno contribuito a rivoluzionare alcuni settori della medicina respiratoria; valga per tutti lo sviluppo (e rapido diffondersi) dell'AIDS che sull'a.r. ha conseguenze enormi: 2/3 circa di questi pazienti muoiono, direttamente o indirettamente, per affezioni respiratorie.
Gli ormai quasi 50 anni che ci dividono dalla fine degli anni Quaranta possono essere distinti, in uno sguardo d'insieme, in due fasi che realizzano, con inevitabili sovrapposizioni, la previsione fatta alla fine degli anni Trenta da un grande istologo polmonare francese, A. Policard: una prima fase (fino all'inizio degli anni Ottanta) in cui ha prevalso lo studio della funzione di per sé; una seconda fase (quella attuale) in cui è possibile valutare il modo in cui le diverse componenti dell'a.r. (le cellule) realizzano la funzione.
Struttura e funzione dell'apparato respiratorio. - L'architettura. - La principale funzione dell'a.r. è quella di assicurare un'ottimale assunzione di ossigeno, onde fornirlo (con il concorso dell'apparato cardiovascolare) in adeguata quantità ai tessuti, ed eliminare l'anidride carbonica, prodotto del metabolismo cellulare. Per questo compito, l'a.r. è organizzato in sezioni funzionalmente distinte. La prima è rappresentata in primo luogo dai centri respiratori (situati nel tronco encefalico) deputati alla generazione del ritmo respiratorio e alla sua regolazione in funzione degli stimoli che provengono dai recettori (periferici e centrali), poi dalla gabbia toracica e dai muscoli respiratori con funzione di mantice. La seconda è rappresentata dal polmone, costituito da:
a) vie aeree, deputate a consentire un adeguato passaggio di aria e una sua uniforme distribuzione verso e da il polmone, e fornire un adeguato sistema di difesa verso le sostanze inalate e un supporto strutturale al parenchima (funzione meccanica);
b) parenchima, con bronchioli respiratori e alveoli (300 milioni; rete capillare: 280 miliardi) formano le unità di scambio gassoso.
Popolazioni e funzioni cellulari nel polmone. - Anche se lo scambio gassoso è un fenomeno passivo (diffusione), necessita tuttavia di un certo numero di funzioni ''ancillari'' cui sono deputate le cellule (fig. 1): mantenimento di un'adeguata permeabilità della barriera aria/sangue che comporta la necessità di mantenere asciutto l'interstizio polmonare; mantenimento di un'adeguata tensione di superficie a livello alveolare che comporta la secrezione di una sostanza a composizione chimica complessa (il surfattante) che come un film riveste la superficie interna degli alveoli, ove esercita la sua funzione stabilizzatrice; mantenimento di un'adeguata pervietà delle vie aeree che comporta la secrezione di muco da parte di cellule specializzate e il suo allontanamento in virtù del movimento coordinato delle cilia (clearance muco-ciliare: il sistema di trasporto); necessità di disporre di adeguati meccanismi di difesa (cellulari e umorali) per proteggere il polmone profondo dagli agenti nocivi che ivi dovessero giungere; necessità di armonizzare ventilazione e perfusione (onde ottimizzare il contatto tra aria e sangue, indispensabile per gli scambi gassosi) che richiede la presenza di cellule muscolari lisce in grado di operare una regolazione attiva del calibro dei bronchi e di quello dei vasi arteriosi.
A queste funzioni, spesso definite ''non-respiratorie'' ma che in realtà servono solo a rendere efficienti gli scambi gassosi, il polmone normale provvede con i quasi 40 tipi di cellule di cui è dotato.
Morfometria: una struttura per la funzione. - Lo studio quantitativo della struttura polmonare ha conferito al polmone una ''nuova dimensione'' ed è stato alla base di importanti informazioni circa i rapporti tra struttura e funzione in condizioni normali e patologiche: come e in che misura le alterazioni della struttura modificano la funzione.
La funzione dei polmoni, e di tutto l'albero respiratorio, è regolata dalla geometria dei diversi segmenti anatomici. Alcuni dati saranno utili a fornire una misura dell'efficienza del sistema: il 90% del volume del polmone è costituito dalle zone di transizione e respiratoria al cui interno la suddivisione è tale per cui il 55% dell'aria è situato negli alveoli e un 30% nella zona di transizione. In queste stesse zone, il 50% del volume dei tessuti e dei vasi è costituito da sangue nei capillari alveolari. In definitiva: del volume polmonare totale (in corso di respirazione tranquilla) il 77% è costituito da aria e sangue nelle regioni di transizione e respiratoria; al termine di un'inspirazione profonda, l'80% circa del volume polmonare è costituito da aria, il 10% da sangue e solo il restante 10% da tessuto. Dunque: nel polmone la maggior parte del volume è deputato agli scambi gassosi.
All'interno del polmone sono individuabili tre zone funzionali distinte:
a) zona di conduzione: la sua geometria deve soddisfare due necessità: bassa resistenza al flusso (che necessita di vie aeree brevi e di grande calibro) e un piccolo ''spazio morto'' (spazio, cioè, non deputato agli scambi gassosi) che richiede vie aeree con un piccolo volume. L'area della sezione trasversa aumenta progressivamente via via che si scende dall'alto verso la periferia dell'albero bronchiale: disposizione geometrica che ha numerose conseguenze funzionali; per es. la maggior parte della resistenza al flusso avviene a livello delle vie aeree con diametro interno superiore ai 2 mm; a questo livello si realizza la maggior parte del rallentamento del flusso aereo;
b) zona di transizione: è costituita dai bronchioli respiratori ed è la zona di mescolamento: a questo livello avviene l'incontro tra la colonna d'aria inspirata e il gas intrapolmonare della fine della precedente espirazione;
c) zona respiratoria: è costituita dai dotti alveolari e dagli alveoli e si tratta della regione del polmone deputata agli scambi gassosi; gli alveoli hanno un diametro compreso tra 200 e 300 micron e un rapporto superficie/volume dell'ordine di 4,5÷5/1.
La morfometria polmonare ha molto contribuito a una migliore interpretazione della funzione, in condizioni normali e patologiche. Tuttavia, pur con gli ovvi limiti che i rapporti tra struttura e funzione presentano (i dati morfologici sono di facile visualizzazione, ma di difficile quantificazione; quelli funzionali, al contrario, sono per loro natura quantitativi e concettuali), quella del polmone si configura proprio come una struttura disegnata per la funzione.
Il sistema di trasporto dell'ossigeno. - L'ossigeno dev'essere continuamente rifornito alle cellule per metterle in grado di svolgere le loro normali attività metaboliche; ciò è vero indipendentemente dalle loro funzioni, anche se alcuni tessuti consumano più ossigeno di altri (l'encefalo, con un peso pari al 2% dell'intero organismo, ha un consumo di O2 pari al 20% del totale). L'O2 deve compiere un lungo e accidentato percorso dalla ''fonte'' (l'atmosfera) alla sede ultima di utilizzazione: i mitocondri all'interno delle cellule. Il trasporto è reso possibile dall'attività integrata di tre componenti: il polmone deputato all'assunzione dell'O2 (trasferimento dall'aria al sangue); l'apparato cardiovascolare (cuore e vasi) deputato al trasporto e alla distribuzione ai diversi tessuti; l'emoglobina (Hb) nei globuli rossi, che costituisce la proteina specializzata nel legame con l'O2 che ne rende possibile l'assunzione e la cessione ai tessuti.
Per soddisfare le necessità dell'organismo (consumo di O2, VO2=250 ml/min a riposo; 3÷4000 ml/min durante sforzo) il trasporto di O2 (TO2=1000 ml/min) è assicurato da:
Q (portata cardiaca=5 l/min): la componente circolatoria; x (Hb × 1,34)=15 g × 1,34 ml di O2 (1 g di Hb è in grado di trasportare 1,34 ml di O2)=20 ml di O2:la componente eritrocitaria; × f (pO2): la componente respiratoria (la saturazione percentuale dell'Hb è funzione della pressione parziale di O2 secondo il rapporto definito dalla curva di dissociazione dell'Hb).
L'O2 compie il suo percorso seguendo gradienti pressori: dall'atmosfera (160 mmHg) all'interno delle cellule (pochi mmHg). L'O2 viene trasportato nel sangue principalmente in combinazione chimica con l'emoglobina (Hb), molecola che, allorché reagisce con l'O2, va incontro a modificazioni conformazionali tali per cui si espande quando lo rilascia e si contrae quando lo assume (una molecola, dunque, che, come è stato detto, ''respira'').
L'utilizzazione dell'O2 avviene per l'80% circa a livello mitocondriale (formazione di ATP o adenosintrifosfato per fosforilazione ossidativa dell'ADP o adenosindifosfato). Gli enzimi della catena ossidativa terminale (citocromi) hanno un'elevata affinità per l'O2: queste reazioni (formazione di ATP) sono compromesse soltanto in presenza di un'importante deplezione di O2 (ipossiemia grave). Il 20% del consumo basale di O2 è utilizzato per reazioni extra-mitocondriali (biosintesi, a livello intracellulare, di numerose molecole importanti per la normale funzione cellulare: per es. neurotrasmettitori). Molte di queste reazioni hanno una relativamente bassa affinità per l'O2: dunque, sono sensibili anche a moderate deplezioni di O2 (ipossiemia lieve).
Il sistema di trasporto dell'O2 assicura la fonte energetica alle cellule i cui mitocondri operano la fosforilazione ossidativa dell'ATP che consente alle cellule di operare. È indispensabile, dunque, che un flusso di O2 sia costantemente mantenuto dai polmoni alle cellule; il processo si attua attraverso varie tappe: nei polmoni (mediante la ventilazione); nei capillari polmonari (mediante la diffusione alveolo-capillare); nel circolo (mediante il flusso ematico e il legame con l'Hb); nei capillari tissutali (ancora per diffusione) ove l'O2 viene ceduto alle cellule e ai loro mitocondri per sparire, infine, consumato nel processo di fosforilazione ossidativa.
In questo sistema, il polmone è ''al servizio'' dell'intero organismo in quanto organo di collegamento tra mondo esterno e mondo interno. Un approccio quantitativo (morfometrico) al sistema dev'essere in grado di definire in quale misura il polmone sia in grado di soddisfare le necessità dell'organismo. L'entità del flusso di O2 (relativamente allo scambio gassoso a livello polmonare) può essere calcolata in base all'equazione di Bohr:
VO2=(PAO2− PcO2) × DLO2
ossia dal prodotto del Δ pressorio esistente tra ambiente alveolare e capillare per la capacità di diffusione polmonare (o conduttanza dei polmoni per l'O2). Tutti e tre i parametri che compaiono sulla destra di questa equazione sono influenzati da caratteristiche strutturali (morfometriche).
Per quanto riguarda le vie aeree, da un punto di vista bioingegneristico sono disegnate in modo da assicurare condizioni ottimali per il flusso d'aria: un piccolo (150 ml circa) spazio morto anatomico (il volume delle vie aeree di conduzione) non crea problemi ai 500 ml di aria ossigenata (volume corrente) che a ogni atto respiratorio penetrano nelle vie aeree. La velocità di flusso si riduce di circa 100 volte passando dalla trachea (1 m/s) ai bronchioli respiratori (1 cm/s): ciò che facilita, a livello delle piccole vie aeree, la diffusione dell'O2 le cui molecole, nell'aria, si muovono a una velocità di circa 5 cm/s. La diffusione dell'O2 è resa tanto più efficiente quanto più ampia e sottile è la superficie di scambio (aria/sangue): l'ampiezza è assicurata da vie aeree che (a partire dalla 16ª diramazione) raddoppiano la propria superficie di sezione trasversa a ogni diramazione fino a raggiungere una superficie di scambio dell'ordine dei 120 m2, mentre alla sottigliezza fornisce un importante contributo la rete capillare polmonare (assai diversa da quella della circolazione sistemica) che come un lenzuolo avvolge gli alveoli.
Il problema dello scambio gassoso viene dunque risolto giustapponendo due enormi superfici di scambio (aria/sangue). L'uomo ha sviluppato meccanismi efficienti ed elastici per assicurare il trasporto dell'ossigeno dall'atmosfera alle singole cellule dell'organismo. In condizioni patologiche, quando il rifornimento di O2 è compromesso, entrano in funzione una serie di meccanismi di adattamento per assicurare, comunque, la respirazione cellulare. Uno degli obiettivi principali delle moderne tecnologie diagnostiche non-invasive è proprio quello di fornire strumenti idonei a monitorare questo processo.
Controllo della respirazione. - La respirazione, un ritmico movimento d'aria finalizzato a soddisfare le necessità metaboliche dell'organismo, può a prima vista apparire un atto motorio semplice e monotono. In realtà, tra gli atti motori, è uno dei più complessi: in grado di adattarsi, modificando la propria attività, alle più diverse condizioni. Le diverse tappe attraverso cui lo scambio gassoso si realizza (ventilazione, diffusione, trasporto ematico) necessitano di un efficiente sistema di regolazione. Per ottimizzare le prestazioni a fronte delle più disparate necessità, i meccanismi deputati al controllo sono governati da molteplici, complessi circuiti nervosi, gerarchicamente organizzati; e sono sottoposti a continue ricalibrazioni e aggiustamenti a opera di una moltitudine di riflessi (a partenza dalla periferia: polmoni e gabbia toracica) e circuiti a feedback, modulati da meccanismi integrativi a opera delle strutture cerebrali superiori.
La respirazione è sottoposta a un duplice (distinto anatomicamente ma funzionalmente integrato) sistema di controllo:
a) sistema di controllo neuro-chimico (automatico, involontario) che ha come principali obiettivi: l'omeostasi dei gas respiratori (con lo scopo di minimizzare, anche in presenza di notevoli variazioni di attività, altitudine, gravità, le oscillazioni dei gas nel sangue arterioso); l'omeostasi dell'equilibrio acido-base (particolarmente a livello del liquido extra-cellulare cerebrale) esercitato mediante gli effetti della ventilazione sulla PaCO2 (pressione parziale di anidride carbonica) che, essendo altamente diffusibile, attraversa la barriera emato-encefalica e modifica il pH del liquor; la regolazione della frequenza respiratoria e del volume corrente in modo tale da minimizzare lo sforzo e l'energia richieste per la respirazione;
b) sistema di controllo volontario (comportamentale), le cui componenti nervose sono situate in strutture sopramidollari e corticali, che utilizza l'a.r. per funzioni diverse dallo scambio gassoso; la più importante di tali funzioni è costituita dalla fonazione.
Come in tutti i sistemi di controllo, anche in questo caso sono presenti tre elementi: 1) un'unità di controllo centrale (centri respiratori localizzati nel tronco encefalico: bulbo e ponte) che integra le informazioni sensitive provenienti dalla periferia e attiva le vie motrici regolando i movimenti respiratori; 2) un sistema di sensori composti da: chemiocettori di tipo periferico (glomi carotidei, sensibili soprattutto alle variazioni della PaO2) e di tipo centrale (aree chemiosensoriali della superficie ventro-laterale del bulbo) sensibili soprattutto alle variazioni della concentrazione [H+] del liquor indotte da variazioni della pCO2; e da meccanocettori, costituiti da fibre vagali mielinizzate (recettori ''a lento adattamento'', situati tra le fibre muscolari lisce delle vie aeree e ''a rapido adattamento'', situati tra le cellule epiteliali delle vie aeree, sensibili all'espansione polmonare e, i secondi, anche a stimoli irritativi endogeni ed esogeni); da fibre vagali amieliniche (terminazioni delle fibre C o recettori J, situati, in prossimità dei vasi, nell'interstizio polmonare) e da fusi neuro-muscolari della muscolatura respiratoria; 3) un sistema di effettori (muscoli respiratori: la sola muscolatura scheletrica che non conosce sosta, dalla nascita alla morte) la cui attività produce ventilazione.
Il sistema può essere altresì immaginato come composto da due sezioni: una sottoposta al controllo (depositi gassosi corporei, sistema circolatorio, mantice meccanico); e una deputata al controllo (chemiocettori, meccanocettori, centri respiratori). Esso opera come sistema di controllo a feedback negativo: ciò, da una parte, aumenta la flessibilità e l'accuratezza della regolazione ma introduce anche, a motivo della complessità dei meccanismi interessati, un possibile conflitto di informazioni (e conseguente instabilità) nella regolazione stessa. Ne sono esempi alcuni tipi di respiro patologico quali il respiro periodico di Cheyne-Stokes (v. cheyne, John, IX, p. 987).
Resta irrisolto il problema della ritmogenesi respiratoria: se sia generata da gruppi di neuroni dotati di attività pacemaker (attività ritmica propria) oppure da un'attività di network (interazione di una rete di neuroni di per sé privi di attività ritmica).
Controllo chimico della respirazione. Numerosi stimoli fisiologici e patologici sono in grado di modificare la ventilazione per adeguarla alle necessità dell'organismo nelle più diverse condizioni. Nella risposta ventilatoria all'alterato biochimismo dell'ambiente interno (ipossia, ipercapnia, acidosi) sono coinvolti due sistemi sensoriali: i chemiocettori periferici (glomi carotidei in particolare) capaci di rispondere rapidamente a modificazioni soprattutto della PaO2 (ma anche della PaCO2 e della [H+]a, concentrazione idrogenionica del sangue arterioso); e i chemiocettori centrali situati sulla superficie ventro-laterale del bulbo, che rispondono più lentamente alle modificazioni della pCO2 e della [H+] del liquor.
Regolazione della respirazione durante il sonno. La conoscenza dell'influenza che le diverse fasi del sonno (sonno lento, non-REM e REM: v. sonno e veglia, App. IV, iii, p. 372) esercitano sulla regolazione della respirazione è importante in condizioni sia normali che patologiche. Il sonno deprime la ventilazione, la veglia la stimola.
I principali eventi neuro-fisiologici che, nelle diverse fasi del sonno, hanno potenziali conseguenze sulla regolamentazione della respirazione sono costituiti da: assenza dello stimolo derivante dallo stato di veglia (con influenze principalmente sul sonno non-REM); fluttuazione delle influenze eccitatorie e inibitorie esercitate dal REM. Nel sonno non-REM la respirazione è dominata da meccanismi sensitivo-motori che hanno il loro punto di partenza nel tronco encefalico ed è strettamente dipendente da stimoli di tipo metabolico; mentre, in fase REM, il controllo ventilatorio subisce influenze multiple di origine reticolare e corticale (controllo comportamentale).
Le principali conseguenze clinico-funzionali sono rappresentate da: a) ipoventilazione alveolare, con conseguente sviluppo (in soggetti predisposti: pazienti pneumopatici cronici) di ipossiemia e ipercapnia; b) disritmie respiratorie (respiro periodico) indotto da ''instabilità'' chemiorecettoriale; c) apnea ostruttiva quale conseguenza della perdita di tono della muscolatura (e conseguente ostruzione) delle vie aeree superiori, tipica dei soggetti forti russatori.
Patologia. - Il perenne mutare della patologia. - La patologia cambia, perché cambiano le conoscenze, i mezzi diagnostici, il mondo fuori di noi, lo stile di vita, l'atmosfera socio-culturale in cui viviamo, e perché cambiano, evolvono o si modificano, gli agenti e i fattori di malattia, il modo di rispondere dell'organismo, gli approcci terapeutici. L'a.r. è, tra tutti, quello più ricco di patologia diversificata: infettiva, infiammatorio-degenerativa cronica, immuno-allergica, disfunzionale, neoplastica; ciò si deve alle rilevanti influenze su di esso esercitate dall'ambiente esterno con il quale l'a.r. ha un'enorme superficie di contatto. Nella nostra epoca, in tema di patologia umana, le malattie dell'a.r. senza dubbio costituiscono una delle più importanti problematiche affrontate con il contributo crescente delle scienze di base, con lo sviluppo delle tecniche diagnostiche e con l'approfondimento delle conoscenze apportato dalle indagini epidemiologiche: particolarmente rilevanti sono quelle condotte in ambito di patologia neoplastica e infiammatorio-degenerativa cronica (broncopneumopatia cronica ostruttiva: BPCO). L'epidemiologia studia i processi morbosi nella popolazione (diversamente dalla clinica che li studia nell'individuo). Come tali le indagini epidemiologiche sono idonee ad acquisire le informazioni utili per tracciare la storia naturale delle malattie e a individuare i fattori di rischio, come nel caso delle malattie respiratorie (v. tab.). Sono queste le conoscenze di base indispensabili per impostare razionali programmi di prevenzione e di terapia.
Cenni epidemiologici sul carcinoma broncogeno. - Raro all'inizio del 20° secolo, poco frequente nel corso degli anni Trenta, il carcinoma broncogeno ha presentato un'imponente crescita a partire dall'immediato secondo dopoguerra (fig. 2). A livello mondiale rappresenta il più frequente tumore dell'uomo e il sesto per le donne. In Europa rappresenta il 20÷25% di tutte le forme di neoplasia. Per decenni nettamente prevalente nel sesso maschile, il rapporto maschi/femmine si sta attualmente avvicinando a 1,5/1.
Il fumo di tabacco rappresenta il fattore eziologico più importante. Il rischio ha tuttavia un'origine multifattoriale; i fattori legati all'ambiente di lavoro hanno un peso variabile ma comunque significativo: 5÷35%. Le caratteristiche genetiche modificano il rischio individuale: solo una minoranza di forti fumatori (circa il 15%) sviluppa carcinoma broncogeno; chiaramente alcuni soggetti sono geneticamente più suscettibili di altri ai fattori (ambientali, professionali, oltre al fumo) di rischio. Il ruolo del fumo ''passivo'', ancorché difficile da dimostrare, è biologicamente plausibile. Esiste la possibilità che l'ereditarietà svolga un ruolo importante nella suscettibilità individuale al carcinoma broncogeno. Però, quali siano i fattori genetici con rilevanza eziologica, al momento attuale non è dato sapere.
Le indagini epidemiologiche hanno chiarito molti aspetti della storia naturale del carcinoma broncogeno, che può essere suddivisa in tre periodi: periodo della pre-malignità: durata di mesi o anni, potenzialmente reversibile; caratterizzato da una crescente atipia cellulare (metaplasia, una lesione sicuramente pre-cancerosa); periodo pre-clinico: durata di mesi o anni; inizia con la trasformazione neoplastica di una o più cellule e termina allorché il tumore ha raggiunto dimensioni tali da essere diagnosticato (1 cm di diametro); periodo della malattia clinicamente evidente, i cui segni e sintomi derivano da: accrescimento locale della massa tumorale (centrale o periferica); estensione regionale (nervi, vasi, pericardio, mediastino); diffusione metastatica (linfonodi, fegato, osso, encefalo, surrene); produzione ectopica di ormoni e/o sostanze bioattive (sindromi paraneoplastiche). Il carcinoma broncogeno è una malattia cronica caratterizzata da notevole variabilità. Per passare da 1 cellula cancerosa a 1 bilione di cellule (massa di 1 cm di diametro, evidenziabile alla radiografia del torace) sono necessari 30 raddoppiamenti; poiché il tempo medio di raddoppiamento del carcinoma broncogeno è dell'ordine di 3÷4 mesi, il tempo necessario per raggiungere la più piccola massa diagnosticabile è dell'ordine di 7÷10 anni. Durante questo periodo può essere invaso il torrente emo-linfatico: in circa la metà dei casi sono già presenti metastasi. Segni e sintomi sono manifestazioni tardive: in questa fase, la possibilità di una loro comparsa è limitata al 20% dei casi. Dunque, il 75% della storia naturale del carcinoma broncogeno è clinicamente muta. Raggiunte le dimensioni utili per la diagnosi, prima della morte sono possibili altri 10 raddoppiamenti. Il tempo di raddoppiamento (la determinante critica della storia naturale della neoplasia, unitamente alla sua propensione a determinare metastasi) in alcuni isotipi può essere doppio di quello indicato: in questi casi la fase non diagnosticabile diventa di 15÷20 anni e quella di sopravvivenza (dopo la diagnosi ''precoce'') di 7÷8 anni. La storia naturale della malattia sembra governata da un predeterminismo biologico e il significato della diagnosi precoce sembra limitato a separare (dal più ampio contesto dei casi sfavorevoli) quei pochi casi favorevoli per il trattamento.
L'evolvere della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). L'asma bronchiale come malattia infiammatoria. - L'espressione BPCO designa genericamente un gruppo di condizioni patologiche (bronchite cronica ostruttiva, bronchite asmatica, enfisema polmonare) essenzialmente accomunate da una compromissione funzionale caratterizzata da un'ostruzione espiratoria al flusso nelle vie aeree. La reversibilità dell'ostruzione al flusso è l'elemento che le distingue dall'asma bronchiale: nulla o modesta nelle BPCO, praticamente completa nell'asma. Agli estremi dello spettro si trovano la bronchite cronica (nella quale l'ostruzione al flusso nelle vie aeree dipende da una patologia infiammatoria dei piccoli e grandi bronchi con irreversibile riduzione del calibro) e l'enfisema polmonare, in cui l'ostruzione espiratoria del flusso aereo è conseguenza di una perdita di elasticità del parenchima polmonare che, a ogni volume, esercita una pressione di ritorno elastico inferiore alla norma.
Quanto all'epidemiologia, nei paesi occidentali le BPCO sono la quinta o sesta causa di morte e la seconda o terza causa di disabilità sociale. È difficile stimare con sicurezza incidenza e prevalenza delle BPCO in quanto la diagnosi di bronchite è essenzialmente clinica, mentre quella di enfisema è essenzialmente anatomo-patologica.
Se per valutarne la prevalenza nella popolazione generale si utilizza, come misura obiettiva, un indice di funzionalità respiratoria (per es. il VEMS, volume espiratorio massimo/secondo, considerandolo anormale quando è 〈 al 65% del valore teorico), il 4÷6% degli uomini e il 2÷3% delle donne risultano affetti da BPCO. La storia naturale della BPCO è caratterizzata dalla progressione dell'ostruzione espiratoria al flusso aereo (insufficienza ventilatoria che progredendo diviene insufficienza respiratoria). Una mole immensa di studi anatomo-clinico-funzionali, nonché epidemiologici, ha consentito d'individuare tre tipi di pazienti, a diversa prognosi: un primo tipo di pazienti con bronchite asmatica caratterizzati da una quota di reversibilità dell'ostruzione bronchiale e da una prognosi migliore; un secondo tipo di pazienti blue and bloater ("gonfi e cianotici") con prevalente bronchite cronica, a prognosi intermedia; un terzo tipo di pazienti pink and puffer ("rosei e sbuffanti") con prevalente enfisema polmonare, a prognosi peggiore.
Tra i fattori di rischio il più importante è l'abitudine al fumo: l'80% delle BPCO si verifica tra i fumatori; il rischio di morte per BPCO è di 25÷30 volte maggiore nei forti fumatori rispetto ai non-fumatori. Peraltro, solo il 15% circa dei fumatori sviluppa un'ostruzione al flusso aereo funzionalmente e clinicamente significativa. Esiste un'evidente variabilità alla suscettibilità individuale a questo come ad altri fattori di rischio: parzialmente attribuibile a una (in via di definizione) base genetica. La riabilitazione respiratoria e l'ossigenoterapia migliorano la qualità di vita e la sopravvivenza di questi pazienti.
Asma bronchiale. - È una malattia delle vie aeree a patogenesi complessa in corso di continuo approfondimento. Malattia infiammatoria cronica (a prevalente impronta eosinofila) con periodiche ''riacutizzazioni'', caratterizzata da un'iperreattività delle vie aeree a stimoli vari (specifici e aspecifici) e da una loro diffusa riduzione di calibro reversibile spontaneamente o a seguito di terapia. Allo stato attuale questa definizione ne evidenzia gli aspetti patogeneticamente, funzionalmente e clinicamente essenziali: la flogosi cronica, l'iperreattività delle vie aeree, la reversibilità dell'ostruzione bronchiale.
Un tentativo schematico che illustra la patogenesi dell'asma è riferito nella fig. 3: meccanismi cellulo-umorali e nervosi s'integrano in maniera variabile e contribuiscono in modo di volta in volta quantitativamente differente alla patogenesi delle diverse forme della malattia. La via finale comune è comunque sempre rappresentata da un processo flogistico a carico della parete bronchiale, che tende a perpetuarsi. I complessi eventi coinvolti nell'alterata risposta funzionale delle vie aeree dei pazienti asmatici sono attribuibili all'integrazione e potenziamento reciproco di numerosi mediatori ad azione broncocostrittrice e infiammatoria. Per quanto riguarda i meccanismi nervosi, uno sbilanciamento del sistema nervoso autonomo (simpatico-adrenergico, vagale-colinergico e − di più recente individuazione − NANC: non-adrenergico, non-colinergico) appare svolgere un ruolo altrettanto importante. Nonostante i consistenti progressi realizzati (e i successi conseguiti), molto resta da comprendere in tema di patogenesi dell'asma bronchiale e, dunque, della sua terapia. Tanto più precoce è il trattamento, tanto maggiori sono le possibilità di prevenire danni istopatologici irreversibili.
Il persistere delle pneumopatie infettive e il ritorno della tubercolosi. - Nonostante il diffuso progresso socio-economico, con il conseguente miglioramento della qualità della vita, e la disponibilità di un numero enorme di antibiotici, la patologia infettiva rappresenta ancora oggi una delle principali cause di morbosità e mortalità: germi e infezioni difficili e, dunque, potenzialmente letali, continuano a persistere. In questo ambito, l'a.r. è, tra tutti, quello più esposto alle noxae infettive: esterne (enorme superficie di contatto con l'ambiente) e interne (tutta la portata cardiaca passa attraverso di esso). La patologia infettiva respiratoria costituisce, ancora oggi, un problema clinico-terapeutico di primaria importanza e di persistente attualità.
All'inizio degli anni Ottanta vi era la concreta prospettiva di eliminare le malattie infettive: i successi erano stati così consistenti che i paesi industrializzati avevano posto la patologia infettiva all'ultimo posto delle loro priorità sanitarie. Invece attualmente si assiste a una nuova recrudescenza delle malattie infettive, dovute all'''abilità'' dei microrganismi nell'organizzare le proprie difese e nell'''inventare'' nuove modalità offensive. Esiste oggi un virus (l'HIV, il virus dell'AIDS) che attacca proprio quelle difese (il sistema immunitario) cui l'uomo si affida per la sua sopravvivenza, e persino gli agenti patogeni più antichi si manifestano con nuove strategie: micobatteri tubercolari, che hanno recentemente sviluppato una resistenza ai farmaci, stanno invadendo i grandi centri urbani dei paesi industrializzati.
L'AIDS rappresenta un tragico esempio delle sfide attuali e future che i microrganismi patogeni sono in grado di porre alle difese dell'uomo; e delle conseguenze che queste sfide comportano. Di ciò che può accadere, insomma, quando l'uomo incontra un qualche agente patogeno dal quale non lo proteggono né l'evoluzione né il sistema immunitario. La tubercolosi è stata pressoché ignorata per un ventennio: a partire dagli anni Cinquanta (inizio del diffuso impiego della chemioterapia) il suo declino avveniva al ritmo costante del 10% l'anno. Da qualche tempo (metà anni Ottanta) si assiste a una persistente inversione di tendenza: stime attendibili indicano in 8 milioni i nuovi casi di tubercolosi/anno e in poco meno di 3 milioni il numero dei morti/anno, nel mondo. L'incremento varia dal 12÷15% (Stati Uniti) al 28÷33% (Italia e Svizzera). Ancora più preoccupante, l'emergenza di ceppi multi-resistenti ha riportato, in taluni casi, l'efficacia della terapia a livello dell'era preantibiotica. Cause: le immigrazioni a livello mondiale (che rendono più difficile il controllo della malattia); il diffondersi dell'AIDS (che paralizza le difese immunitarie dell'organismo); la capacità di evoluzione (mutazioni genetiche e altre strategie) dei germi responsabili. In attesa che mutati ''stili di vita'' facciano sentire i loro effetti, la comunità internazionale ha predisposto appositi istituti di difesa contro le infezioni: i programmi di ricerca speciali dell'OMS e i CDC (Centers for Disease Control di Atlanta, USA).
Insufficienza respiratoria. - Anche se, in ultima analisi, l'insufficienza respiratoria dovrebbe essere definita come la conseguenza di un'inadeguatezza degli scambi gassosi a soddisfare le necessità metaboliche a livello cellulare, stante le obiettive difficoltà di valutare gli scambi gassosi tissutali, la definizione usuale è di ordine clinico. Determinano insufficienza respiratoria tutte quelle condizioni (polmonari ed extrapolmonari) in cui l'a.r. non è in grado di assicurare scambi gassosi tali per cui venga mantenuta l'omeostasi dei gas respiratori a livello ematico. La diagnosi d'insufficienza respiratoria comporta, dunque, la misura dei gas respiratori nel sangue arterioso ed è definita come condizione clinica caratterizzata da ipossiemia (PaO2〈65 mmHg) ed eventualmente ipercapnia (PaCO2>45 mmHg). Questi due eventi esercitano importanti effetti sistemici (sul sistema nervoso centrale, sul cuore e sui vasi, sul rene) la cui entità varia in funzione della gravità dell'insufficienza respiratoria e del tempo d'insorgenza, acuta o cronica, con possibilità o meno d'instaurare da parte dell'organismo adeguati meccanismi di compenso: in ultima analisi, in funzione delle cause che l'hanno determinata (tutte le condizioni che interferiscono con l'attività dei centri respiratori, delle vie nervose, dei muscoli, della gabbia toracica, delle pleure, dei polmoni: vie aeree e parenchima). È pertanto evidente che è possibile un'insufficienza respiratoria con polmoni normali.
Il contributo delle scienze di base. - Alcuni settori delle scienze di base (biochimica, immunologia, biologia cellulare) stanno fornendo da tempo contributi importanti alla patologia e alla terapia medica. Nell'ambito dell'a.r. hanno cambiato il volto e soprattutto il modo di vedere di alcuni capitoli di patologia. Quelli che seguono sono solo alcuni tra gli esempi più significativi di tale evoluzione.
Patogenesi delle pneumopatie interstiziali-infiltrative diffuse. - Queste affezioni sono rappresentate da molte malattie del polmone che hanno in comune alcune caratteristiche clinico-radiologico-funzionali: dispnea, infiltrazione diffusa irregolare, ipossiemia; loro prototipo è la fibrosi polmonare idiopatica. A motivo della loro patogenesi oscura e dell'eterogenea eziologia, queste malattie sono state considerate in sottordine nell'ambito della patologia polmonare.
In anni recenti si è accumulata convincente evidenza che le pneumopatie interstiziali-infiltrative diffuse sono la conseguenza dello sviluppo di un'auto-immunità a livello delle vie aeree inferiori: le alterazioni strutturali (e il conseguente danno funzionale) della parete alveolare sono la conseguenza di un circolo vizioso di eventi immunitari e infiammatori; non è noto quale delle due componenti del ciclo (immunitaria o infiammatoria) inizi per prima: è verosimile che ciò dipenda dalla natura dello stimolo (per es. infezione virale) e dalla risposta del soggetto. In questo tipo di patologia il sistema immunitario è iperattivo: questa iperattività (in larga misura localizzata nel polmone) stimola potenti processi infiammatori che sono i principali responsabili del danno della parete alveolare. Delle lesioni sono direttamente responsabili potenti mediatori rilasciati dalle cellule infiammatorie (macrofagi, neutrofili, eosinofili, mast-cellule) nelle vie aeree inferiori: il danno parenchimale genera macromolecole che fungono da ''self-antigeni'' per il sistema immunitario. Il ciclo in tal modo si chiude. Il soggetto normale è dotato di meccanismi di controllo in grado di smorzare le risposte immuno-flogistiche. Le pneumopatie interstiziali-infiltrative diffuse insorgono in quei soggetti, predisposti, che sono privi di questa capacità di controllo.
Enfisema e deficit di alfa1−anti-tripsina (alfa1AT). - Laennec (1835), per primo, formulò la teoria della patogenesi ''ostruttiva'' (restringimento delle vie aeree per flogosi e per perdita del potere di ritorno elastico del parenchima) dell'enfisema polmonare. Tale ipotesi è rimasta invariata fino alla metà degli anni Sessanta, allorché ricercatori svedesi dimostrarono che il deficit (omozigote) di alfa1AT comportava il precoce sviluppo di un grave enfisema panlobulare e ricercatori statunitensi riuscirono a produrre sperimentalmente lesioni enfisematose iniettando nelle vie aeree del ratto papaina, un enzima proteolitico. È nata così la teoria enzimatica (''proteasi-antiproteasi'') dell'enfisema polmonare che rappresenta la base teorica per l'attuale prevenzione e terapia di questo tipo di patologia nell'uomo.
L'alfa1anti-tripsina è una glicoproteina composta da 394 aminoacidi con peso molecolare=52 kd, ed è una delle principali proteine plasmatiche inibitrici delle proteasi, sintetizzata principalmente dalle cellule epatiche. È deputata all'inibizione dell'elastasi, enzima proteolitico dei componenti della matrice extracellulare, tra cui l'elastina, macromolecola che conferisce le proprietà elastiche al tessuto connettivo. La sua funzione principale è quella di proteggere i tessuti dagli enzimi proteolitici liberati nel corso della flogosi. Il gene che codifica l'alfa1AT è situato nel cromosoma 14. Questo gene, nel corso dell'evoluzione, ha subito numerose mutazioni, individuate soprattutto nella razza caucasica. Il deficit di alfa1AT è responsabile di due tipi di patologia: una connessa alla rottura dell'equilibrio elastasi/antielastasi, una condizione di ''polmone fragile'' a livello alveolare (che prelude all'enfisema panlobulare); l'altra, più rara, ad accumulo intraepatico di una variante insolubile della proteina. Il deficit congenito di alfa1AT è responsabile dello 0,5-1% delle forme gravi di enfisema. La sua individuazione è risultata essenziale per capire la patogenesi della malattia e il ruolo svolto dai fattori di rischio acquisiti (tra cui il fumo di tabacco).
Fibrosi cistica (FC). − La FC è la più frequente malattia autosomica recessiva letale della razza bianca (circa 1 caso/2500 nati vivi). L'anomalia di base è costituita da un'alterata conduzione del cloro (blocco dei canali ionici: di quelle proteine, cioè, presenti sulle membrane di tutte le cellule, che regolano il flusso di informazioni tra l'ambiente esterno e quello interno, permettendo l'accesso alle cariche ioniche) attraverso la membrana apicale delle cellule epiteliali che comporta la produzione di secrezioni dense e viscose a livello delle vie aeree, dei dotti pancreatici e dell'intestino. Le conseguenze cliniche sono costituite da persistenti e gravi infezioni respiratorie (fino all'insufficienza respiratoria), insufficienza pancreatica, ileo da meconio.
L'identificazione e successiva caratterizzazione del gene della FC rappresenta una delle più belle ''avventure'' della moderna biologia molecolare, frutto di un immenso lavoro di collaborazione tra importanti laboratori: L.C. Tsui e J.R. Riordan (a Toronto) e F.S. Collins (nel Michigan). Il gene è stato localizzato nel braccio lungo del cromosoma 7. Esso codifica una proteina (di 1480 aminoacidi) che ha funzione regolatoria nel trasporto trans-membrana (CFTR: Cystic Fibrosis Trans-membrane Regulator) o che, verosimilmente, è essa stessa un canale del cloro. Sono state identificate numerose mutazioni: la più frequente (presente nel 70% dei pazienti con FC) è la perdita di un residuo di fenilalanina in posizione 508 (ΔF508). La perdita di funzione della proteina comporta: completa impermeabilità della membrana cellulare agli ioni cloro, abnorme influsso di sodio dal lume all'interno della cellula, deficit relativo di acqua nelle secrezioni. Da ciò derivano tutte le conseguenze cliniche.
Le scoperte illustrate (enfisema da deficit congenito di alfa1AT, identificazione del gene della FC e della funzione della relativa proteina) sono destinate a incidere profondamente sulle relative patologie per la possibilità di screening nella popolazione (individuazione di soggetti a rischio) e d'istituzione di una terapia genica (che sta già muovendo i suoi primi passi sperimentali).
Indagini diagnostiche. - Negli ultimi 20 anni le tecniche diagnostiche hanno rivoluzionato la pratica della medicina. La tomografia assiale computerizzata, la risonanza magnetico-nucleare e l'ecografia sono in grado di esplorare ogni dettaglio anatomico: le anomalie possono essere evidenziate prima che abbiano prodotto segni e sintomi, con evidenti vantaggi in termini di diagnosi precoce e, dunque, di possibile e tempestiva terapia. A livello dell'a.r., inoltre, le indagini funzionali sono idonee a valutare tutti gli aspetti clinicamente utili della funzione respiratoria, mentre la broncoscopia a fibre ottiche è in grado di esplorare direttamente gran parte del polmone.
Le indagini funzionali. - Lo scambio gassoso, a cui l'a.r. è preposto, si realizza attraverso l'intervento di complessi e correlati meccanismi funzionali: ventilazione (volume e distribuzione dell'aria che ventila gli alveoli); perfusione (volume e distribuzione del flusso ematico agli alveoli); diffusione (passaggio dei gas attraverso le membrane alveolo-capillari); intervento di fattori meccanici (attività dei muscoli respiratori e distensibilità toraco-polmonare) che rendono possibile la ventilazione, e di fattori umorali e nervosi che regolano l'attività dei centri respiratori. La misurazione quantitativa, diretta o indiretta, di tutti questi processi richiede un gran numero di test funzionali.
I test di funzionalità respiratoria vengono impiegati, in larga misura, per valutare la compromissione funzionale indotta dalla malattia. In quanto misure della funzione, essi non sono in nessun caso in grado di fornire una diagnosi specifica: questa necessita sempre di informazioni di ordine clinico. Come per altri apparati, inoltre, nessun test funzionale è in grado di fornire, da solo, tutte le informazioni desiderate e necessarie nei riguardi di un dato paziente. I più comuni indici di funzione polmonare (quelli ottenibili con la spirometria e con le curve flusso-volume) comportano misure di volumi e/o di flussi che riflettono tre distinte proprietà dell'a.r.:
a) le sue dimensioni (un soggetto di grande corporatura ha ampi polmoni e quindi volumi e flussi maggiori di uno di piccola taglia);
b) le forze operanti su di esso (maggiore è lo sforzo, tanto più grandi sono i volumi e i flussi);
c) le caratteristiche fisiche intrinseche del sistema (elemento che più conta).
Anche dal punto di vista delle indagini funzionali è utile dividere il polmone in due parti: vie aeree (l'albero tracheo-bronchiale fino ai bronchioli respiratori) e parenchima (dai bronchioli respiratori agli alveoli). Alle vie aeree è attribuibile quasi tutta la resistenza al flusso, ma solo una piccola parte della compliance polmonare; al parenchima è attribuibile quasi tutta la compliance polmonare (e quasi nulla della resistenza al flusso). Da un punto di vista funzionale, dunque, le misure dei volumi estremi (capacità polmonare totale e volume residuo, rispettivamente CPT e VR), le loro differenze e rapporti (capacità vitale: CV, VR/CPT) e gli indici di compliance sono misure della funzione parenchimale, mentre i flussi massimali, la resistenza al flusso, la conduttanza delle vie aeree sono misure di funzione delle vie aeree. Ci si dovrebbe attendere, di conseguenza, che i test di funzione ''parenchimale'' siano specificamente sensibili alle malattie intrinseche del parenchima (enfisema polmonare, pneumopatie interstiziali), mentre i test di funzione delle ''vie aeree'' siano sensibili alle malattie (bronchite, asma bronchiale) di questa parte dell'a. respiratorio. Non è così; si deve infatti considerare che, nel polmone, parenchima e vie aeree sono tra loro interdipendenti: il parenchima dipende dalle vie aeree per il flusso di gas che lo distende, le vie aeree dipendono dal parenchima per le forze retraenti che le mantengono pervie. Pertanto, modificazioni primarie in una sede possono determinare influenze secondarie sulla funzione dell'altra. Nessun test è specificamente sensibile a un'alterazione primaria: al contrario, nella maggior parte gli indici di meccanica respiratoria sono polivalenti: sono sensibili, cioè, a diversi tipi di anomalie. Ciò, se da una parte limita la loro capacità di specificare il tipo di malattia, allo stesso tempo ne aumenta la capacità di evidenziarla.
I mezzi strumentali. - Nell'ambito delle indagini strumentali, il maggior merito diagnostico spetta alla broncoscopia, la pioniera delle indagini endoscopiche. Nata all'inizio del 20° secolo come broncoscopia rigida con un ruolo limitato ma vitale (rimozione dei corpi estranei inalati), il suo impiego si è progressivamente esteso fino a rappresentare, con l'introduzione del broncoscopio flessibile (a fibre ottiche: fine anni Sessanta), un'autentica rivoluzione diagnostica, tanto da diventare una specialità medico-chirurgica. Attualmente, per l'ampio panorama endoscopico che consente, è utilizzata come indagine diagnostica in una gran varietà di opacità e infiltrati polmonari (v. anche endoscopia, in questa Appendice).
Diagnostica per immagini. - La diagnostica per immagini del torace ha attualmente due obiettivi da perseguire: operare una revisione del ruolo delle tecnologie radiografiche convenzionali e indicare una razionale utilizzazione delle tecnologie più avanzate.
Radiografia del torace: nonostante i recenti progressi in altre indagini diagnostiche, il comune esame radiologico del torace conserva un inestimabile valore diagnostico; una riprova è indicata dal fatto che costituisce ancora il 40% di tutta la diagnostica per immagini del torace.
Tomografia assiale computerizzata: a livello toracico è un'indagine fondamentale nella diagnostica delle malattie del mediastino e nello staging delle neoplasie polmonari. Nella sua forma tecnologicamente più avanzata (TAC ad alta risoluzione: con una più stretta collimazione − 1,5 mm − rispetto a quella standard) l'informazione ottenibile (più dettagliata) risulta molto utile nella diagnostica delle pneumopatie interstiziali (linfangite carcinomatosa, asbestosi, silicosi, polmoniti interstiziali).
Risonanza magnetico-nucleare: a livello toracico il suo utilizzo migliore riguarda la patologia cardiovascolare.
La moderna tecnologia elettronica ha fornito i mezzi per rappresentare immagini diverse (per origine e metodo di produzione) in modo comune. Questo metodo unificante di trattare le immagini fa ricorso alle tecniche digitali rese possibili dagli sviluppi della scienza del computer con la sua enorme capacità di elaborazione. A livello toracico questi sistemi di radiografia computerizzata comportano una miglior risoluzione di contrasto e una ridotta (10÷20%) esposizione alle radiazioni. A livello generale consentono vantaggi enormi nella gestione (elaborazione, immagazzinamento, recupero) delle immagini.
Prospettive. - La medicina respiratoria prospetta ''sfide'' importanti e urgenti, ma, finalmente, anche i mezzi per affrontarle sembrano adeguati. I problemi non mancano; ma anche le prospettive. Tra i primi, appaiono particolarmente urgenti quelli del carcinoma broncogeno: individuazione di markers genetici; definizione del ruolo degli oncogeni e dei geni onco-soppressori; rapporti tra fattori di rischio esterni (ambientali, professionali, comportamentali) ed endogeno-molecolari (rischio genetico); del controllo e terapia della tubercolosi nell'era dell'AIDS; e della insufficienza respiratoria acuta.
Le ragioni di un cauto ottimismo. - Genetica del carcinoma broncogeno. Per oltre 20 anni la ricerca si è occupata delle modificazioni genetiche potenzialmente responsabili del cancro: gli oncogèni (geni che normalmente regolano la crescita e lo sviluppo cellulare) hanno dominato la scena. Quando è apparso chiaro che le mutazioni di questi geni non potevano essere le sole modificazioni genetiche responsabili dello sviluppo del tumore, sono stati individuati i ''geni onco-soppressori'' (geni che normalmente operano come barriera funzionale contro l'espansione clonale e la mutazione genomica). Degli oltre 100 geni cancro-correlati (molti dei quali implicati nella storia naturale dei tumori umani) la p53 (fosfoproteina del nucleo cellulare, di 53 k-d) è il gene onco-soppressore più importante: le sue mutazioni sono presenti in circa la metà di quasi tutti i tipi di carcinomi (incluso quello broncogeno). Le mutazioni della p53 (che sono un segnale pre-invasivo) hanno potenziali implicazioni cliniche (patogenetiche, diagnostiche, prognostiche e terapeutiche): la sua perdita di funzione si correla negativamente con la sopravvivenza in pazienti con alcuni tipi di tumore: carcinoma della mammella e broncogeno in particolare. L'esame dello spettro delle mutazioni della p53 consentirà di elaborare ipotesi patogenetiche (sui processi, ambientali e molecolari, che contribuiscono allo sviluppo del tumore) e possibili strategie preventivo-terapeutiche: suscettibilità all'ereditarietà del carcinoma, individuazione di soggetti a elevato rischio; possibilità d'inserire geni normali in cellule mutanti, sviluppo di farmaci in grado di ripristinare la normale funzione soppressoria della proteina.
Tubercolosi. In un'epoca, come quella attuale, così pesantemente segnata dall'AIDS, la tubercolosi prospetta scenari da ritorno al passato. Per un suo adeguato controllo appaiono indispensabili nuovi mezzi diagnostici che consentano di fare diagnosi rapide e sicure. Sono in fase di avanzato allestimento: metodi radiometrici e sonde al DNA che consentono di testare direttamente materiali biologici diversi e di fare diagnosi entro 48 ore. È essenziale poi un'efficace profilassi (con isoniazide: per 6÷12 mesi) dei pazienti a rischio: quelli che hanno avuto un'infezione tubercolare (positività della reazione cutanea alla tubercolina) senza evidenza di malattia in fase attiva; i soggetti HIV-positivi con storia di precedente infezione tubercolare o che siano dediti all'uso di droga. Lo sviluppo di nuovi farmaci antitubercolari è reso imperativo dal progressivo diffondersi di ceppi di micobatteri resistenti alla terapia classica (isoniazide-rifampicina-pirazinamide-etambutolo). La rifabutina (una rifamicina semi-sintetica) appare come uno dei farmaci più promettenti in questo settore. Infine è importante un approfondimento della biologia del Mycobacterium tubercolosis, in particolare, dei meccanismi che lo rendono capace d'invadere i macrofagi e ivi soggiornare indisturbato per anni per poi riattivarsi.
ARDS (Adult Respiratory Distress Syndrome). A quasi 30 anni dalla sua prima descrizione, l'ARDS (diffuso danno alveolare, forse espressione di un più generalizzato processo infiammatorio acuto con lesioni prevalenti a carico dell'endotelio capillare) resta una condizione gravata da un'elevata mortalità (60%). La terapia farmacologica (antiinfiammatoria) ha scarso successo; quella non-farmacologica (supporto ventilatorio), più efficace, pone comunque non pochi problemi. L'obiettivo della terapia è quello di assicurare un'adeguata ossigenazione dei tessuti, e dunque un'efficace ventilazione. Fino a che non si saranno chiariti gli aspetti patogenetici di questa che sembra essere una sindrome di risposta a un'infiammazione multi-sistemica, sarà difficile individuare un'efficace terapia eziologica. Del tutto recentemente, tuttavia, si sono individuate incoraggianti prospettive terapeutiche sintomatiche. L'inalazione di monossido d'azoto, un potente vasodilatatore, determina un'energica vasodilatazione polmonare che, nella somministrazione continua, è in grado di migliorare notevolmente l'ossigenazione. Potrebbe essere questa la modalità terapeutica più efficace per far superare la fase acuta della malattia.
Le nuove frontiere. - La terapia genica sembra avvicinarsi. Grazie all'ingegneria genetica e alla tecnologia del DNA ricombinante sono in corso di sviluppo e di valutazione una serie di farmaci per prevenire l'enfisema, ed enzimi in grado di sciogliere le dense secrezioni (responsabili delle ricorrenti, gravi infezioni respiratorie) dei pazienti con fibrosi cistica. Per quest'ultima condizione sono altresì allo studio numerose opzioni terapeutiche, ivi inclusa la possibilità di ripristinare nelle cellule il fattore deficitario (CFTR) utilizzando, quali vettori, virus epiteliotropi per l'a. respiratorio.
Molto di ciò che la radiologia fotografa è struttura. La malattia, spesso, prima di alterare l'anatomia, modifica la funzione. Alcune tecniche (PET: tomografia a emissione di protoni; SPECT: tomografia computerizzata a emissione di singolo fotone) proprie della medicina nucleare (che è in grado di marcare le molecole con radioisotopi) sembrano efficaci nel fotografare la funzione. L'associazione di alcune di queste tecniche (PET+TAC) potrà fornire (come già accade per alcuni distretti: sistema nervoso centrale) informazioni sui rapporti struttura-funzione in tempo reale. In attesa che tutto questo − e molto altro ancora − si realizzi, il comportamento dell'uomo (il suo ''stile di vita'') resta determinante: particolarmente per la salute dell'a.r. le cui malattie, più di quelle di altri apparati, si prestano a essere prevenute piuttosto che curate.
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