Apoptosi
L'a. è un processo biologico che consente l'ordinata rimozione, da un tessuto dell'organismo, di cellule danneggiate oppure presenti in eccesso, secondo un programma molecolare ben definito e soggetto a diversi livelli di regolazione. Il termine apoptosi, utilizzato per la prima volta in un articolo pubblicato nel 1972 sul British journal of cancer da J.F.R. Kerr, A.H. Wyllie e A.R. Currie, deriva dal termine greco apóptosis ("caduta delle foglie") e indica un fenomeno che consente la sopravvivenza dell'organismo mediante l'attuazione di un 'programma di morte'. Benché la morte cellulare sia stata osservata e descritta già da lungo tempo in numerosi sistemi biologici, la definizione di a. come modalità di morte è più recente. Essa si basa su caratteristiche morfologiche e molecolari distinte, che la differenziano da fenomeni patologici quali la nècrosi, alla quale fanno seguito processi infiammatori, o da fenomeni di degradazione intracellulare, che possono culminare nella morte della cellula (autofagìa). Dal punto di vista morfologico, l'a. induce nella cellula una serie ordinata di modificazioni, fra le quali le più evidenti sono: a) la condensazione della cromatina nucleare (materiale biologico con l'informazione genetica della cellula), che presto degenera in più masse compatte circondate da materiale citoplasmatico e definite corpi apoptotici; b) la protrusione di masse citoplasmatiche irregolari (blebbing, ossia formazione di protuberanze); c) la riduzione dimensionale della cellula (shrinkage, raggrinzimento). Gli aspetti morfologici delle cellule che vanno incontro ad a. sono stati descritti in una grande varietà di tessuti, specialmente durante lo sviluppo embrionale degli organismi pluricellulari. Nei nematodi per es., cellule nervose, epiteliali, muscolari, intestinali e delle gonadi vengono eliminate per a. durante lo sviluppo. Lo studio del programma genetico di a. nel nematode Caenorhabditis elegans, primo esempio di associazione genotipo-fenotipo in questo processo, è stato premiato con l'assegnazione del premio Nobel per la fisiologia o la medicina al biologo statunitense H.R. Horvitz nel 2002. L'a. risulta essere evolutivamente conservata anche negli organismi superiori, a partire dagli insetti, come rivelato da studi approfonditi sul moscerino della frutta Drosophila melanogaster (Ditteri Drosofilidi), sino ai vertebrati. Sono attribuibili a processi apoptotici numerose modificazioni dell'organismo in sviluppo: tra queste, la rimozione della coda durante la metamorfosi degli anfibi anuri; la degenerazione programmata di parte del pronefro e del mesonefro durante lo sviluppo del rene degli amnioti (rettili, uccelli e mammiferi); la soppressione delle cellule delle pliche interdigitali nella maggior parte dei mammiferi. Nei vertebrati, durante lo sviluppo embrionale, ogni tessuto va incontro a eventi apoptotici di diversa estensione. Il controllo del numero cellulare nel sistema nervoso centrale e nel tessuto epatico, così come il controllo della qualità cellulare esercitato sulle cellule germinali e nello sviluppo delle cellule del sistema immunitario, sono tutti fenomeni ascrivibili all'apoptosi. Già nel 1951, in un articolo su Biological reviews, A. Glücksmann distinse la morte cellulare che ha luogo durante lo sviluppo (definita a. soltanto successivamente) in tre categorie funzionali: a) morte cellulare morfogenetica, fenomeno che consente la scultura degli organi, il rimodellamento e l'opera di modulazione che ne stabiliscono la forma definitiva; b) morte cellulare istogenetica, processo che controlla il numero delle cellule in relazione con le cellule circostanti, sia in termini di potenzialità di adesione, sia di connessione e competizione per fattori nutritivi (fattori trofici); c) morte cellulare filogenetica, meccanismo grazie al quale vengono rimosse le strutture embrionali non più necessarie nella vita adulta. Questa suddivisione in categorie comprende in effetti tutti i casi riportati di a. osservata nello sviluppo embrionale. Negli individui adulti, l'a. gioca un ruolo non marginale nell'omeostasi tissutale, e la sua impropria regolazione può portare a gravi condizioni patologiche. Un'assenza di a. e la conseguente mancata rimozione di cellule che hanno subito un danno irreparabile del loro materiale genetico possono consentire l'accumulo di cellule in attiva proliferazione; per questa ragione molte mutazioni di geni cruciali dell'a. sono state associate alla insorgenza del tumore ovvero alla progressione tumorale. Al contrario, un eccesso di a. può condurre all'impoverimento cellulare di organi e sistemi. Nel sistema nervoso centrale, per es., un tale fenomeno è stato correlato alla perdita neuronale tipica di numerose neurodegenerazioni, quali il morbo di Alzheimer (v. neurodegenerative, malattie), il morbo di Parkinson, la corea di Huntington o la sclerosi laterale amiotrofica.
Per molti anni sono state ignorate le basi molecolari di questo processo, sino a quando, alla fine degli anni Ottanta del 20° sec., nel laboratorio di Horvitz vennero identificati i primi geni del nematode Caenorhabditis elegans, responsabili del controllo delle diverse fasi dell'apoptosi. Il gene ced-3 (cell death abnormal-3) codifica per un enzima proteolitico (proteasi) in grado di disattivare e demolire numerose proteine strutturali e funzionali citoplasmatiche, nonché di attivare nucleasi che inducono la frammentazione del DNA nucleare. Qualora il gene ced-3 sia stato inattivato, cellule in sovrannumero si accumulano nell'embrione di Caenorhabditis elegans, sebbene questa condizione non sia incompatibile con la vita. La proteasi ced-3 è quindi un'esecutrice del processo di apoptosi. Il gene ced-4 codifica invece per una proteina in grado di attivare ced-3, legandosi direttamente a essa in corrispondenza della membrana mitocondriale esterna. L'attività proapoptotica della proteina ced-4 può essere controbilanciata da una proteina inibitrice della morte cellulare, ced-9, in un complesso equilibrio che in sostanza decide le sorti cellulari sospese fra morte e sopravvivenza. Nello stesso laboratorio diretto da Horvitz è stato identificato il gene egl-1 (egg layer defective-1) che regola positivamente l'a. a monte della cascata di eventi che inducono la formazione di un complesso ternario ced-9/ced-4/ced-3. Altri geni ced sono poi responsabili della presentazione sulla superficie della membrana plasmatica della cellula apoptotica di segnali specifici (eat-me, mangiami) e di altre modificazioni che inducono attività fagocitaria da parte delle cellule fagocitarie naturali (macrofagi) o 'non professionali' (semplicemente, le cellule circostanti). Questa attività consente la rimozione della cellula apoptotica in modo ordinato e in assenza di epifenomeni di tipo infiammatorio. Negli organismi più evoluti, e in particolare nei mammiferi, sono state identificate tutte le controparti molecolari dei geni di Caenorhabditis elegans coinvolti nell'a. già isolati in precedenza. Aumentando la complessità dell'organismo, cresce anche la complessità dell'organizzazione molecolare del processo apoptotico e il numero di geni coinvolti. A gran parte dei geni di Caenorhabditis elegans corrisponde nei mammiferi, in qualità di controparte funzionale, un'intera famiglia genica con numerose componenti che svolgono funzioni parzialmente sovrapposte. La famiglia genica omologa del gene ced-3 nei mammiferi ha tredici componenti, codificanti per le proteasi dipendenti dalla cisteina e specifiche per l'aspartato, denominate caspasi (proteine complesse dotate di un prodominio che frequentemente deve essere rimosso affinché possano svolgere le loro funzioni). Queste ultime possono a loro volta essere suddivise in diversi sottogruppi in funzione delle loro similitudini strutturali e delle loro precise funzioni. Le caspasi 1, 4, 5 e 11 sono le caspasi infiammatorie, che svolgono un ruolo nella maturazione proteolitica delle citochine proinfiammatorie, quali pro-IL-1 e pro-IL-18, e possono associarsi alla molecola adattatrice NALP1 (NACHT, Leucine rich repeat and PYD [Pyrin Domain] containing 1) in un complesso multimolecolare definito infiammosoma. Le caspasi 2, 8, 9 e 10 sono caspasi iniziatrici, che svolgono un ruolo ben definito nel trasdurre un segnale intrinseco o estrinseco ai fini dell'attivazione del processo apoptotico. Questa attivazione ha luogo mediante la specifica proteolisi di una caspasi posta a valle nella cascata enzimatica alla base dell'apoptosi. Le caspasi 3, 6, 7 e 14 sono caspasi esecutrici, cioè direttamente responsabili della demolizione proteolitica di specifici substrati all'interno della cellula che induce la morte cellulare. La caspasi 12, presente in forma mutata negli individui della specie umana, sembra non essere determinante anche in altri mammiferi; questo nonostante sia stata associata a un particolare percorso metabolico di morte cellulare dipendente dallo stress del reticolo endoplasmatico causato dall'accumulo di proteine non degradabili. In linea generale, tutte le caspasi, una volta raggiunte le dimensioni definitive in seguito alla rimozione del prodominio, possono autoattivarsi o attivare altre caspasi mediante un processo proteolitico che le taglia in due frammenti o subunità, una grande e una di più ridotte dimensioni. Due subunità di diversa massa molecolare si associano così a formare un eterodimero e il tetramero, formato a sua volta da due eterodimeri, è in grado di esercitare l'attività proteolitica su una grande quantità di substrati. Alcune caspasi sono state individuate come esecutrici di attività ridondanti, altre sono molto specifiche per alcune attività o distretti dell'organismo. Le caspasi 3 e 6, per es., svolgono attività simili in tutti i tessuti, mentre la caspasi 14 è presente solamente nella cute e nei suoi annessi. Alcune caspasi sembrano poter dare inizio con la loro attività di proteolisi del substrato anche a processi metabolici differenti dall'apoptosi. È stato, per es., dimostrato che la caspasi 3 può specificamente degradare la proteina precorritrice dell'amiloide (APP, Amyloid Precursor Protein) producendone un frammento pronto alla successiva degradazione da parte delle secretasi di membrana. Questo processo sarebbe molto rilevante nella produzione del peptide tossico-amiloide, considerato importante nell'insorgenza del morbo di Alzheimer. Procedendo a ritroso nell'analisi della cascata di attività enzimatica che porta all'a., un fattore chiave del processo in Caenorhabditis elegans è la molecola ced-4. Nei mammiferi, un solo gene sembra essere l'omologo di ced-4. Si tratta del gene codificante per il fattore di attivazione delle proteasi apoptotiche (Apaf1, Apoptotic protease(s) activating factor 1). Questo fattore possiede tre domini proteici di grande interesse. Il primo è il cosiddetto dominio CARD (Caspase Recruitment Domain, dominio di reclutamento delle caspasi). Esso è comune a molte altre proteine, fra cui la caspasi 9 e, non a caso, l'interazione fra i domini CARD di Apaf1 e della caspasi 9 è molto importante per il funzionamento di entrambe le molecole. Il secondo è un dominio di legame a nucleotidi liberi (ATP/dATP, adenosin trifosfato/deossi adenosin trifosfato), mentre il terzo è un dominio del tipo WD-40, debolmente conservato in natura e generalmente molto rilevante nelle interazioni fra proteine. In condizioni fisiologiche e in assenza di stimolo apoptotico, la molecola Apaf1 è presente nel citoplasma di gran parte delle cellule dell'organismo in una forma strutturalmente chiusa e funzionalmente inattiva in cui la sua estremità amminica è legata alla sua estremità carbossilica. Quando uno stimolo apoptotico interno alla cellula (quale, per es., la segnalazione da parte del nucleo della presenza di un grave e irreversibile danneggiamento del DNA) o esterno a essa (quale la segnalazione da parte di recettori posti sulla membrana plasmatica che comunicano un difetto di nutrienti o un preciso comando di induzione alla morte) raggiunge il mitocondrio, questo viene sconvolto da una serie di significative modificazioni. Fra queste, la più importante è certamente il rilascio all'esterno di una proteina essenziale alla vita della cellula, il citocromo c. Questa molecola è generalmente impegnata nel trasporto di elettroni caratteristico della fosforilazione ossidativa, un processo che avviene all'interno del mitocondrio e che consente alla cellula di ottenere diverse molecole di ATP, ricche di energia per il metabolismo cellulare, a partire da molecole di ossigeno. Una volta rilasciato nel citoplasma, sotto l'induzione di uno stimolo apoptotico, il citocromo c si lega rapidamente ad Apaf1 e ne induce una modificazione conformazionale che consente la sua 'apertura' strutturale e attivazione funzionale. Apaf1 in forma 'aperta' è infatti in grado di legare attraverso il suo dominio CARD una molecola di caspasi 9. In rapida successione, altre sei molecole di caspasi 9 vengono reclutate da altrettante molecole di Apaf1, fino alla formazione di un complesso multimolecolare eptamerico a forma di ruota, denominato apoptosoma. Quest'ultimo è dotato di un fulcro centrale, costituito dai domini CARD di Apaf1 e caspasi 9, e da sette raggi, costituiti dai domini WD-40 di Apaf1 legati ad altrettante molecole di citocromo c. Il nucleotide libero ATP/dATP, una volta legato ad Apaf1, contribuisce al consolidamento della sua conformazione aperta. Alla formazione dell'apoptosoma fa seguito l'attivazione della caspasi 9, che a sua volta promuove l'attivazione di caspasi esecutrici quali le caspasi 3, 6 e 7. Queste caspasi guidano la cellula al suo inesorabile destino verso la demolizione di tutte le strutture nucleari e citoplasmatiche. Oltre al citocromo c, altre proteine vengono rilasciate dal mitocondrio nel citoplasma durante l'a., a conferma del ruolo cruciale di questo organello come punto di integrazione dei segnali apoptotici. Alcune di queste proteine non partecipano all'a. dipendente dalle caspasi; esse sono il fattore di induzione dell'a. (AIF, Apoptosis Inducing Factor) e la Endonucleasi G (Endo G). AIF ed Endo G, in seguito ad alcuni stimoli apoptotici, vengono rilasciati dal mitocondrio e agiscono direttamente sul nucleo in maniera indipendente dalle caspasi, causando la digestione del DNA in frammenti di grandi dimensioni. È necessario sottolineare che esiste un gran numero di regolazioni cui le caspasi sono sottoposte e che impedisce loro di attivarsi a vicenda o autoattivarsi in assenza del preciso segnale dell'apoptosoma. Alcuni membri della famiglia di proteine inibitrici dell'apoptosi (IAP, Inhibitor of Apoptosis Proteins) inibiscono l'a. mediante un legame diretto alle caspasi. Anche alcune proteine cosiddette di risposta allo shock termico (HSP, Heat Shock Proteins), sembrano coinvolte nell'attenuazione del fenomeno apoptotico, anche in presenza di un apoptosoma attivo. Altre proteine vengono rilasciate dai mitocondri e agiscono regolando l'attivazione delle caspasi: si tratta di Smac/DIABLO (Second mitochondria derived activator of caspases) e HtrA2/Omi (High temperature requirement protein A2) che promuovono l'a. inibendo le proteine IAP. È necessario che la cellula controlli in maniera molto rigorosa la possibilità che le caspasi esecutrici si attivino spontaneamente, inducendo la cellula a morte in assenza di uno specifico segnale. È inoltre molto probabile che le caspasi debbano essere comunque presenti nel citoplasma cellulare in condizioni fisiologiche allo scopo di degradare occasionalmente specifici substrati in modo regolativo, indipendentemente dal processo apoptotico (come descritto in precedenza per l'attività della caspasi 3 sulla molecola APP).
La trascrizione dei geni delle caspasi è quindi costante e ubiquitaria e questo spiega la messa a punto di un alto numero di controlli sulle caspasi che consentano una fine modulazione della loro attività. Di grandissima importanza in questo senso sono le proteine antiapoptotiche della famiglia Bcl (B cell lymphoma, linfoma delle cellule B), quali Bcl2 e BclXL. Esse, omologhe della proteina ced-9 di Caenorhabditis elegans, agiscono a monte della formazione dell'apoptosoma direttamente sul mitocondrio, controllando il rilascio del citocromo c. La proteina Bcl2 è una oncoproteina frequentemente associata nel linfoma follicolare a un locus immunoglobulinico mediante la traslocazione cromosomica t(14:18). Si tratta del primo esempio di una oncoproteina in grado di inibire l'a. anziché alimentare la proliferazione cellulare. Fu infatti dimostrato già nel 1988 da D.L. Vaux, S. Cory e J.M. Adams che linfociti B nei quali era stata introdotta Bcl2 divenivano resistenti all'a. indotta dalla deprivazione di linfochine: fu questo il primo passo verso la comprensione del fatto che il percorso metabolico che conduce all'oncogenesi non dipende esclusivamente dalla capacità tumorale di sfuggire al controllo della crescita, ma anche dalla sua abilità nel prevenire l'apoptosi.
I membri della famiglia di proteine simili a Bcl2 condividono dei domini di omologia detti BH (Bcl2 Homology) che sono BH1, BH2, BH3, BH4. Molte di queste proteine hanno un dominio transmembrana (TM, Transmembrane domain) grazie al quale possono traslocare sulla superficie citoplasmatica di varie strutture cellulari, tra le quali mitocondri, reticolo endoplasmatico e nucleo. La famiglia Bcl2 è divisa in tre gruppi principali sulla base di similitudini strutturali e criteri funzionali. I membri del primo gruppo, cui appartengono Bcl2 e BclXL, possiedono un'attività antiapoptotica, mentre i membri del secondo e terzo gruppo promuovono l'apoptosi. Il secondo gruppo proteico comprende BAX (Bcl2-Associated X Protein), BAK (Bcl2-Antagonist/Killer) e BOK (Bcl2-related Ovarian Killer). Il terzo è caratterizzato dalla presenza del solo dominio BH3, e di esso fanno parte BAD (Bcl2-Antagonist of cell Death), BID (BH3 Interacting Domain death agonist) e Hrk (harakiri). L'espressione elevata (sovraespressione) di membri proapoptotici della famiglia Bcl2 (come BAX o BID) è sufficiente a indurre il rilascio del citocromo c, mentre la sovraespressione dei membri antiapoptotici (come Bcl2 o BclXL) lo previene. La caratteristica principale di queste proteine è la capacità di dimerizzare. Si possono infatti formare sia omodimeri sia eterodimeri tra proteine proapoptotiche e antiapoptotiche. Poiché ogni membro della famiglia Bcl2 può interagire con diverse altre proteine della stessa famiglia proteica, è possibile un grande numero di combinazioni fra di esse; se la formazione di una precisa combinazione omodimerica o eterodimerica previene l'a., lo spostamento dell'equilibrio verso un altro tipo di associazione (in seguito, per es., a modifiche post-traduzionali o a variazione del rapporto numerico tra le diverse proteine) induce il prevalere dell'effetto opposto, cioè proapoptotico. Per fare un esempio, la proteina BAD forma eterodimeri con BclXL o Bcl2 inibendone l'attività antiapoptotica. Il rapporto numerico tra proteine in gioco è determinante nel favorire un certo tipo di associazione dimerica anziché un altro, e il domino BH3 svolge un ruolo importante nel mediare le associazioni dimeriche con effetto proapoptotico. La proteina egl-1 di Caenorhabditis elegans ha come controparte nei mammiferi l'intera famiglia proteica proapoptotica contenente un solo dominio BH3.
Sebbene il percorso metabolico che porta all'a. mediante modificazione e attivazione del mitocondrio e, quindi, mediante l'apoptosoma, sia il più studiato, esistono percorsi alternativi mediati dal riconoscimento sulla superficie esterna della membrana plasmatica di ligandi induttori di morte da parte di specifici recettori, i cosiddetti recettori di morte (death receptors). Questi recettori appartengono alla superfamiglia del fattore di necrosi tumorale/fattore neurotrofico (TNF/NGF, Tumor Necrosis Factor/Nerve Growth Factor). Nei mammiferi si ricordano come membri principali di questa superfamiglia i recettori Fas/CD95, il recettore 1 per il TNF (TNFR1) e i recettori di TRAIL (TNF-Related Apoptosis-Inducing Ligand). Le vie di trasduzione che partono da questi recettori sono in realtà molto simili. Tra queste, la via di trasduzione del segnale più nota è quella che si genera a partire dal legame di Fas/CD95 con il suo ligando naturale, cioè la citochina FasL. L'evento di legame del ligando al recettore è seguito dalla oligomerizzazione dei complessi ligando/recettore ancorati alla membrana e poi, nel citoplasma, dal reclutamento della proteina adattatrice FADD (Fas-Associated via Death Domain). Il recettore e la molecola adattatrice FADD interagiscono tramite un dominio proteico caratteristico (dominio di morte: DD, Death Domain) presente su entrambe le molecole, in corrispondenza della regione intracellulare nel caso del recettore e in quella carbossilica nel caso di FADD. Il complesso formato da Fas/CD95 e FADD è detto DISC (Death-Inducing Signaling Complex). Il complesso DISC, a sua volta, è in grado di legare la caspasi 8, una caspasi iniziatrice. La caspasi 8 viene attivata e a sua volta proteolizza e attiva direttamente le caspasi esecutrici 3, 6 e 7. Le due vie di trasduzione del segnale apoptotico descritte (quella mitocondriale e quella mediata dai recettori di morte) non sono indipendenti tra loro ma sono, molto spesso, connesse. L'attivazione dei recettori di morte induce, in molti casi, il rilascio dei fattori proapoptotici dal mitocondrio. La connessione ha luogo a livello della caspasi 8 che, oltre ad attivare le caspasi esecutrici, opera un taglio proteolitico sulla proteina della famiglia Bcl denominata BID. Questa proteina ha una localizzazione prevalentemente citoplasmatica ma, in seguito a proteolisi da parte della caspasi 8, si suddivide in due frammenti; uno di questi, la sua regione carbossilica terminale tronca (truncated BID, tBID), migra a livello mitocondriale, dove interagisce con altre proteine della famiglia Bcl2 favorendone l'omodimerizzazione e l'inserzione a livello della membrana mitocondriale. Questo induce a sua volta il rilascio dei fattori proapoptotici dallo spazio intermembrana attivando così la via apoptotica dipendente da Apaf1. L'attivazione diretta da parte di Fas/CD95 delle caspasi esecutrici avviene prevalentemente nelle cellule in cui la concentrazione della caspasi 8 è elevata (cellule di tipo i, quali timociti o fibroblasti embrionali), mentre, qualora la concentrazione di caspasi 8 sia bassa o nulla (come nelle cellule di tipo ii, quali le cellule del sistema nervoso), si attiva la via indiretta mitocondriale. L'esistenza di un'interconnessione funzionale tra queste due vie di trasduzione del segnale apoptotico è stata dimostrata in numerosi sistemi sperimentali. Fra questi, unstraordinaria rivestono i modelli cellulari e animali nei quali un gene pro- o antiapoptotico sia stato inattivato mediante manipolazione genetica (animali transgenici o knockout, in prevalenza topi, e linee cellulari da essi derivate). Per es., fibroblasti embrionali di topo prelevati da embrioni in cui il gene Apaf1 sia stato inattivato (embrioni Apaf1-/-), e che quindi non possiedono apoptosoma, mostrano una ridotta risposta apoptotica a Fas/CD95. Viceversa, nei timociti Apaf1-/- si osserva che Apaf1 e quindi l'apoptosoma non sono indispensabili per l'a. mediata da Fas/CD95 ma sono invece essenziali per la morte cellulare indotta da alcuni agenti farmacologici come il dexametasone o l'etoposide e indotta dalle radiazioni gamma. Questo dimostra che la connessione tra i due percorsi metabolici è più o meno evidente in funzione del tipo cellulare. Il risultato di gran lunga più rilevante conseguito mediante i modelli animali è comunque la delucidazione della rete di interazioni necessaria per una corretta a. durante lo sviluppo del sistema nervoso centrale.
A partire dalla seconda metà degli anni Novanta del 20° sec., sono state inattivate le varie componenti delle vie metaboliche di a. e soltanto in cinque casi si è osservata una grave alterazione fenotipica del sistema nervoso in via di sviluppo: si tratta delle inattivazioni dei geni codificanti per i fattori BAX, BclXL, Apaf1, caspasi 9 e caspasi 3. Nel caso di BAX e BclXL, la loro inattivazione induce rispettivamente una riduzione oppure un eccesso di morte cellulare, in linea con le loro attività speculari pro- e antiapoptotiche. Il fenotipo è però modesto e ristretto ai soli neuroni immaturi postmitotici, i quali vanno incontro a un alterato destino nel corso della loro migrazione verso il sito definitivo negli emisferi cerebrali.
Al contrario, quando l'inattivazione riguarda geni posti a valle nel percorso metabolico apoptotico di tipo mitocondriale, quali Apaf1 e le due caspasi 9 e 3, il fenotipo include un'evidentissima iperplasia dell'encefalo, associata a una mancata chiusura del tubo neurale. Questo fenomeno parossistico è dovuto all'assenza di a. già in cellule precorritrici dei neuroni, ben prima del loro differenziamento. Poiché queste cellule mantengono inalterato il loro potenziale proliferativo si ritiene che possano continuare a dividersi per numerosi cicli, sino ad accumularsi in un encefalo fortemente sovradimensionato. Al contrario, la via dei recettori di morte non è direttamente coinvolta nell'a. del sistema nervoso centrale durante lo sviluppo embrionale, come dimostrato dall'assenza di fenotipo in quel distretto in modelli animali di inattivazione dei geni codificanti per le proteine TNFR1, Fas/CD95, FADD o caspasi 8. Un altro esempio di utilità dei modelli cellulari e animali in questo campo è la possibilità di adoperarli nello studio della risposta apoptotica in condizioni patologiche. Come già precedentemente accennato, numerose condizioni patologiche sono conseguenti alla impropria regolazione del processo apoptotico. Un difetto di a. è stato infatti associato all'ontogenesi tumorale, ma anche alla resistenza a chemio- o radioterapia, a una difettiva sorveglianza antitumorale da parte del sistema immunitario, all'autoimmunità (mediante ostacolo alla rimozione di linfociti autoreattivi), a diverse condizioni di infezione persistente; al contrario, un eccesso di a. può avere come conseguenza numerose neurodegenerazioni, come anche autoimmunità (in questo caso, mediante induzione incontrollata di morte cellulare in organi specifici), progressione dell'infezione da virus HIV (carenza di linfociti T), danni derivati da ischemia cerebrale o infarto del miocardio. Dal punto di vista molecolare, queste improprie regolazioni possono essere la chiara conseguenza di mutazioni dei geni che codificano per fattori direttamente o indirettamente coinvolti nell'avvio, nella mediazione o nell'esecuzione del programma apoptotico. Nel caso dell'ontogenesi tumorale, per es., una cellula trasformata può acquisire protezione contro le risposte dell'organismo mediante una mutazione genetica che induca iperattivazione di un gene antiapoptotico (come avviene per il gene Bcl2 in molti casi di tumore del colon) o, viceversa, mediante l'inattivazione di fattori proapoptotici che generalmente agiscono come soppressori del tumore (come avviene per il gene Apaf1 in molti casi di altri tumori del tratto gastrointestinale o anche per il gene Casp8, codificante per la caspasi 8, in alcuni tumori del sistema ematopoietico).
Per quanto riguarda le neurodegenerazioni, i primi studi miranti a definire in questo contesto il ruolo dell'a. sono stati effettuati su tessuti prelevati post mortem. L'individuazione di cellule apoptotiche basata su criteri morfologici, in questi tessuti, è resa tuttavia molto difficile a causa della rapida scomparsa delle cellule apoptotiche. Essi provengono infatti da stadi avanzati della malattia quando, verosimilmente, la maggior parte dei neuroni interessati al processo degenerativo è già stata eliminata. Per tutti questi motivi l'approccio morfologico è stato progressivamente abbandonato e ha avuto inizio la ricerca nei sistemi cellulari e animali di componenti molecolari del meccanismo apoptotico, quali, per es., le caspasi attive, come la caspasi 3 e la caspasi 9.
La piena comprensione dei meccanismi molecolari alla base del processo apoptotico e delle loro eventuali alterazioni genetiche è il primo, necessario passo verso la messa a punto di approcci terapeutici più efficaci, più specifici e quindi meglio tollerabili, atti a contrastare le condizioni patologiche sopra descritte. Fra questi approcci, i più promettenti si basano sulla somministrazione di regolatori sintetici del percorso metabolico dei 'recettori di morte', come, per es., gli inibitori sintetici delle caspasi.
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