anima
La parte non corporea dell'uomo
La parola anima deriva dal greco ánemos "vento", "soffio" e quindi "respiro". Dal significato originario, che mette in relazione la vita con la funzione biologica del respirare, è poi passata a indicare quel principio che è all'origine di pensieri, affetti, passioni dell'uomo, e della sua stessa coscienza morale. Nelle concezioni religiose l'anima è la parte spirituale e immortale dell'uomo: nell'Antico Testamento è la vita che Dio alita nel primo uomo al momento della creazione. Il termine ha subito un processo di secolarizzazione, cioè ha progressivamente perso il proprio significato religioso o soprannaturale, per acquistarne uno semplicemente psicologico
L'idea dell'anima come qualcosa di distinto dal corpo e che sopravvive a esso è propria di molte dottrine religiose antiche, da quella babilonese a quelle egiziane e iraniche; nell'antica religione greca dell'orfismo e in alcune religioni orientali, come il buddismo e l'induismo, si ritiene che l'anima rinasca più volte, incarnandosi in individui o esseri diversi. Ma è nella riflessione filosofica greca che si vengono elaborando un concetto unitario e individuale di anima e la nozione di immortalità.
Platone. Fu Platone (5°-4° secolo a.C.) a introdurre una concezione dualistica dell'uomo, contrapponendo all'elemento materiale e corporeo l'anima intesa come principio simile al mondo delle idee, preesistente al corpo e dunque immortale. L'anima è unita al corpo come a un elemento estraneo e perfino ostile: il corpo è l'involucro materiale, ma anche la prigione o tomba dell'anima, di conseguenza la morte del corpo è per l'anima una liberazione. Caratteristico del pensiero platonico è il collegamento del problema dell'immortalità dell'anima con quello della conoscenza: l'anima, che nella sua vita anteriore all'unione col corpo ha contemplato le idee (cioè le forme ideali della realtà), pur avendole dimenticate, può ora conoscerle solo per reminiscenza (cercando di recuperarne il ricordo).
La dottrina dell'anima è espressa da Platone nel mito della biga alata. L'anima è come una biga alata trainata da due cavalli: uno bianco, scalpitante, rappresenta la parte dell'anima sede di desideri, gioia e tristezza, ma obbediente ai comandi dell'auriga; l'altro nero e indocile (è la sede dell'ira e delle passioni violente). Se quest'ultimo prende la mano all'auriga (la parte razionale), trascina con sé anche il cavallo bianco; l'anima allora precipita dal luogo celeste dove si trova (iperuranio) e dove contempla le idee, e si incarna in un individuo. Le varie forme di reincarnazioni (dal filosofo all'uomo comune) rispecchiano i vari stadi della caduta da cui dovrà poi purificarsi.
Aristotele. Al dualismo platonico si oppone la dottrina di Aristotele (4° secolo a.C.), per il quale l'anima è il principio che rende vivente un corpo e non può essere disgiunto da esso. L'anima è il centro attivo e dinamico cui fanno capo gli organi corporei che contribuiscono tutti insieme al mantenimento della vita: è quindi il principio di animazione, organizzazione e funzionamento del corpo. Il nesso tra anima e corpo (che riproduce quello tra forma e materia nella sostanza) è dunque essenziale per Aristotele e porterebbe a negare la possibilità che l'anima sussista senza il corpo. Aristotele distingue tra le varie attività o funzioni dell'anima, e così le denomina: anima vegetativa (che è causa della vita vegetativa, ossia nutrizione, crescita e riproduzione) propria dei vegetali, anima sensitiva (sede della sensazione e del movimento) propria degli animali e anima intellettiva (centro del pensiero e della volontà) propria dell'uomo.
Nella tradizione cristiana si viene elaborando (grazie soprattutto ad Agostino di Ippona, 4° secolo) una concezione spiritualista dell'anima come sostanza, che utilizza prevalentemente alcune dottrine platoniche. Dopo una lunga serie di discussioni ed elaborazioni, la filosofia scolastica nel 13° secolo riesce ad armonizzare pienamente la dottrina aristotelica con la credenza cristiana nell'individualità e immortalità dell'anima umana. Fondamentale è l'apporto di Tommaso d'Aquino che, accettando la dottrina aristotelica dell'anima come principio vitale del corpo, afferma però che essa è immortale e che costituisce la sostanza spirituale e individuale di ciascun uomo.
Con il metodo sperimentale e la Rivoluzione scientifica (prima metà del 17° secolo), il riferimento obbligato agli antichi maestri viene definitivamente messo da parte non solo nel campo della fisica e dell'astronomia, ma più in generale della filosofia. Le scoperte anatomiche e fisiologiche avviano un nuovo studio dell'uomo e del suo corpo su basi sperimentali e meccaniciste.
Un'antropologia radicalmente dualistica prevale nella filosofia di Cartesio (17° secolo), il quale sostiene che l'uomo è composto di due sostanze: pensiero (sostanza pensante) e corpo che occupa uno spazio (sostanza estesa). L'anima è principio del solo pensiero, non della vita in tutte le sue manifestazioni. La dualità di corpo e anima è radicale, in quanto il primo esiste e funziona in base a principi propri, soltanto materiali, mentre la seconda è coscienza pura.
La scuola degli empiristi inglesi (17° e 18° secolo) considera invece l'anima come un'idea oscura, l'idea di qualcosa che non si conosce bene (J. Locke); oppure nega l'esistenza dell'anima come qualcosa di diverso dall'insieme delle nostre sensazioni, che si susseguono in un perpetuo flusso e movimento (D. Hume).
Lo stesso indirizzo è seguito, in senso a volte più marcatamente materialistico, dagli illuministi francesi del 18° secolo, che respingono il dualismo di Cartesio e accolgono l'ipotesi di una 'materia pensante', opponendo alla concezione cartesiana del corpo come macchina una spiegazione vitalistica dell'organismo vivente. Il problema dell'anima si sposta così sempre più sul piano delle ricerche empiriche circa il funzionamento e il comportamento della psiche umana.
Kant. Per Kant (seconda metà del 18° secolo) l'esistenza dell'anima e la sua immortalità sono postulati della ragion pratica, cioè qualcosa che non può essere dimostrato, ma che dev'essere necessariamente presupposto partendo da alcuni fatti evidenti, come la presenza della legge morale nel cuore dell'uomo. Nella filosofia di Kant si può parlare di anima soltanto come Io empirico, cioè raggruppamento di una serie di fatti psichici che vengono presentati al nostro senso interno in un certo ordine di simultaneità o di successione, oppure come Io trascendentale, cioè capacità di unificare i dati dell'esperienza secondo principi universali, quindi come qualcosa che ci permette di pensare la realtà.
Nella discussione che si svolge successivamente nell'ambito dell'idealismo tedesco l'anima non è più considerata come momento isolato, ma viene compresa all'interno di un percorso, o movimento dialettico, dell'essere spirituale nel suo complesso.
Hegel. Nella prima metà 19° secolo, Hegel respinge la nozione tradizionale di coscienza soggettiva come punto di riferimento dell'attività e del pensiero dell'uomo, e parla di uno Spirito assoluto, rispetto al quale l'anima rappresenta soltanto il primo grado dello sviluppo dell'attività spirituale dell'uomo: il momento del destarsi della coscienza individuale, destinato poi a essere superato preparando la sintesi ultima e conclusiva che si avrà nel momento dello Spirito assoluto vero e proprio, come arte, religione e filosofia.
Positivismo e materialismo. Nel corso dell'Ottocento e del Novecento, correnti filosofiche positiviste e materialiste hanno escluso la realtà dell'anima, considerando la discussione filosofica su di essa come il tentativo di dare un'interpretazione spiritualistica o metafisica di determinate funzioni cognitive del cervello e del sistema nervoso. Anche gli sviluppi della fisiologia, della psicologia sperimentale e delle neuroscienze hanno contribuito a dare a questo termine un significato laico, riferendolo alle attività della psiche e all'universo della mente. In particolare nel 20° secolo, con la nascita della psicanalisi e la scoperta dell'inconscio, l'indagine si è spostata sul piano dell'analisi degli stati di coscienza e dei meccanismi di organizzazione della psiche, per la quale Freud ha proposto una tripartizione in Es (serbatoio delle energie psichiche, in gran parte inconsce), Io (sfera delle relazioni e contatti con la realtà esterna) e Super-io (sede dei valori e della coscienza morale).