(gr. ῎Αλκηστις) Eroina della mitologia greca, figlia di Pelia e di Anassibia. Il padre decise di darla in sposa soltanto a chi fosse stato capace di aggiogare a un carro due bestie feroci. Divenuta sposa di Admeto, si offrì di morire al suo posto; ma, secondo la leggenda più diffusa, Eracle, riconoscente dell’ospitalità datagli da Admeto, la strappò a Tanato e la ridonò al marito.
La figura di Alcesti ha ispirato già in età greca e romana motivi iconografici (decorazione dei vasi, quali il Gruppo di Alcesti, di uno specchio etrusco, ora al Metropolitan Museum, di sarcofagi romani) e opere teatrali. La più antica nota è la tragedia Alcesti di Euripide, poeta tragico ateniese (480-406 a. C.). Fu rappresentata nel 438, come quarto dramma, cioè per ultimo, al posto del dramma satiresco, nella tetralogia con Le donne Cretesi, Alcmeone a Psofide, Telefo. A questa sua posizione è dovuta in gran parte la critica antica, e anche moderna, di elementi comici o addirittura satireschi. Tra le opere successive si ricordano quella di J. Racine, rimasta però incompiuta; quella di P.J. Martello (1709); l’Alceste seconda (1798) di V. Alfieri, rielaborazione del mito antico razionalizzato e alfierianamente eroicizzato, in cui la protagonista, la figura meglio rilevata del dramma, riecheggia negli accenti più felici accenti di altre più originali eroine del suo teatro; quelle moderne di B. Pérez Galdós e di H. von Hofmannsthal (1916); l’opera in musica di G.B. Lulli, su libretto di Ph. Quinault (1674), quella di Ch. W. von Gluck, su libretto di R. Calzabigi (1767). Quest'ultima fu applaudita a Vienna nel 1767 e alquanto discussa a Parigi in altra versione del 1776. Nella prefazione si trova un vero "manifesto" della nuova poetica di von Gluck, che tra l'altro esigeva la rispondenza della sinfonia all'argomento e al tono del dramma, l'adesione più intima della musica alla poesia, il concorso dell'orchestra all'espressione, la semplicità anti-virtuosistica della scrittura e dell'interpretazione.