Poeta (Bologna 1665 - ivi 1727). Cominciò come marinista, poi, entrato in Arcadia (1698) col nome di Mirtilo Dianidio, si avvicinò a Petrarca; fu prof. di eloquenza all'univ. di Bologna (1707), città nella quale, dal 1718, divenne segretario maggiore del senato. Il suo Canzoniere (1710), preceduto da un Commentario, ha qualche accento personale particolarmente nelle liriche occasionate dalla morte del figlio. È più noto come autore di tragedie, specie per aver in esse adottato il settenario doppio, detto appunto martelliano, a imitazione dell'alessandrino francese, con l'intento di dare al dialogo un tono più dimesso: di che fu criticato. Ma non per colpa del verso riuscirono fiacche le sue tragedie, nelle quali portò l'atmosfera dell'Arcadia (Ifigenia è la più nota tra esse; più scolastiche Rachele e Alceste). Migliori le commedie (tra esse in particolare Che bei pazzi!). Ma la sua opera principale è il Femia sentenziato (1724), felice polemica in endecasillabi contro S. Maffei; accanto a questa merita ricordo un arguto poema romanzesco, incompiuto, Carlo Magno. Nei dialoghi Del volo si occupò con ingenuità e fantasia del problema del volo. Notevole interesse conservano i sermoni Dell'arte poetica (1709) e L'impostore, dialogo sopra la tragedia antica e moderna (1714), che mostrano il suo interesse, anche se non si tratta di posizioni troppo originali, per i problemi teorici.