Einstein, Albert
Lo scienziato che ha rivoluzionato la fisica del Novecento
Lo studio della materia a livello atomico e le teorie cosmologiche che descrivono la struttura e l'evoluzione dell'Universo sono due tra le maggiori conquiste compiute dalla scienza nel Novecento. Entrambe sono nate dalle ipotesi sulla luce e sulla struttura dello spazio e del tempo proposte, agli inizi del secolo scorso, da Albert Einstein, fisico tedesco di origini ebraiche. Le sue idee profondamente innovative hanno sconvolto il panorama della fisica, aprendo la strada a gran parte dei successivi sviluppi di questa disciplina
Nel 1905, a ventisei anni, Einstein era impiegato come fisico all'Ufficio brevetti di Berna e si era già fatto notare negli ambienti scientifici per alcuni lavori. Nel corso di questo anno, in pochi mesi, scrisse una serie di articoli, che apparvero in rapida successione sugli Annalen der Physik, la più prestigiosa rivista di fisica dei suoi tempi. In questi scritti Einstein si occupava della struttura della materia e della natura della luce arrivando poi a sviluppare alcune idee sulla propagazione di un segnale luminoso. Partendo da questi studi, Einstein reinterpretò in modo radicale i concetti di spazio e tempo e avanzò una teoria, molto diversa da quella classica, circa il moto dei corpi che si spostano con velocità prossima a quella della luce.
Nel 1828 il botanico scozzese Robert Brown descrisse per primo il comportamento del tutto irregolare che si osserva quando piccolissime particelle, come i granuli di polline, rimangono sospesi in un liquido. Il fenomeno, chiamato moto browniano dal nome del suo scopritore, poteva essere attribuito agli urti tra le particelle e le molecole del liquido, ancora più piccole e quindi invisibili anche al microscopio.
Einstein mise in relazione gli spostamenti delle particelle osservati con le caratteristiche del moto delle molecole che si supponeva ne fossero la causa. Misure estremamente raffinate, effettuate negli anni successivi dal fisico francese Jean Perrin, mostrarono che la teoria di Einstein era in perfetto accordo con i dati sperimentali. Si ebbe così la prova definitiva dell'ipotesi secondo cui la materia a livello microscopico è effettivamente costituita da un aggregato di numerosissimi corpuscoli elementari.
Per spiegare il moto browniano Einstein aveva fatto ricorso alla meccanica statistica, una branca della fisica, che gli fu indispensabile anche durante i successivi studi sulla luce. Agli inizi del Novecento la natura ondulatoria della luce era ormai accettata e le ricerche del britannico James C. Maxwell e del tedesco Heinrich Hertz avevano provato che si trattava di un'onda elettromagnetica. Partendo da considerazioni molto generali di meccanica statistica, Einstein dimostrò invece che in alcuni casi il comportamento della luce si può descrivere meglio se la si immagina costituita da un gran numero di particelle discrete, i quanti, ognuno con un ben definito valore di energia.
La proposta di Einstein sconvolgeva concezioni ormai saldamente radicate e per questa ragione incontrò non poche difficoltà per affermarsi in tutta la sua portata innovativa. Consentiva però di spiegare in modo semplice e immediato l'effetto fotoelettrico, il fenomeno che consiste nell'emissione di elettroni da parte di un metallo colpito da radiazione luminosa. Ai corpuscoli luminosi di Einstein, i quanti di luce, fu dato il nome di fotoni. Per il suo lavoro sui quanti di luce, e in particolare per la spiegazione dell'effetto fotoelettrico, Einstein ricevette nel 1921 il premio Nobel per la fisica.
Che cosa significa esattamente che due eventi sono simultanei, vale a dire che si verificano contemporaneamente? Riflettendo su questa domanda Einstein concluse che essa ha senso solo in presenza di un segnale universale capace di trasmettere informazioni. Secondo Einstein questo segnale è la luce che si propaga nel vuoto con una velocità che deve essere la stessa per qualunque osservatore. Se si provasse a inseguire un raggio di luce, per quanto veloci si possa andare, il raggio continuerebbe a sfuggire davanti a noi con la stessa rapidità. È un'idea profondamente contraria al senso comune, ma, quando si comincia a discutere di fenomeni in cui le cose si muovono a velocità paragonabili a quella della luce (circa trecentomila chilometri al secondo), né il senso comune né la fisica classica forniscono risposte corrette.
Dalle sue riflessioni Einstein dedusse che bisognava ripensare le proprietà di grandezze fondamentali come lo spazio e il tempo. Il risultato è la teoria della relatività. Il nome può trarre in inganno perché sembra suggerire che tutto è relativo; in realtà la teoria descrive le proprietà dei fenomeni di moto relativi a differenti osservatori e permette di identificare correttamente, tra queste proprietà, quelle che sono indipendenti dal particolare sistema di riferimento adottato e che hanno dunque un significato del tutto generale.
Le conseguenze paradossali della relatività, come la dilatazione dei tempi e la contrazione delle lunghezze, o il fatto che due eventi simultanei per un osservatore non lo sono per un altro, non si osservano nell'esperienza quotidiana, ma corrispondono a ben precisi fenomeni fisici (v. fig.). Sono stati osservati sempre più spesso in laboratorio, da quando si è in grado di effettuare misure affidabili in esperimenti che comportano velocità molto elevate, come nella fisica delle particelle elementari.
Proseguendo le sue riflessioni sullo spazio e sul tempo, Einstein giunse alla conclusione che le proprietà dello spazio dipendono dai corpi in esso presenti. Le masse si attraggono in virtù della legge di gravitazione, e questo influenza ciò che accade nelle diverse regioni dello spazio, che deve essere dunque rappresentato come una struttura complicata, la cui geometria dipende da come sono distribuite le masse. Questa teoria va sotto il nome di relatività generale, mentre quella elaborata nel 1905 è nota come relatività speciale, o ristretta. La formulazione di tale teoria richiese a Einstein numerosi anni di lavoro e una prima versione fu pubblicata solo nel 1915.
Nonostante lo scetticismo di molti, alcune previsioni della teoria, relative alla deflessione di raggi luminosi in vicinanza di un forte campo gravitazionale, furono confermate da osservazioni astronomiche fatte già nel 1919 a seguito di un'eclissi. Dopo questa clamorosa conferma, la relatività, oltre che oggetto di discussione tra scienziati, fu anche materia di conversazione da salotto e di sensazionali articoli sulla stampa ed Einstein divenne una sorta di simbolo dello scienziato moderno. Ma, al di là dei fraintendimenti e anche delle sciocchezze che sulla relatività e sul suo autore si sono moltiplicate da allora, la relatività generale, successivamente perfezionata dallo stesso Einstein e ulteriormente sviluppata da altri ricercatori, si è saldamente imposta come il miglior modello teorico per descrivere la struttura a grande scala dello spazio e l'evoluzione dell'Universo.
Nel 1933 Einstein, che aveva origini ebraiche, abbandonò la Germania in seguito alla presa del potere da parte dei nazisti ed emigrò negli Stati Uniti. Qui continuò soprattutto a perfezionare la sua teoria della relatività, elaborando modelli cosmologici e tentando di costruire teorie unitarie ancora più generali.
Intanto, si era sviluppata la meccanica quantistica, la teoria che descrive compiutamente le proprietà degli atomi.
Alcune delle idee su cui si fonda questa teoria nascono dagli studi di Einstein sui quanti di luce, ma nella sua forma finale essa presenta molti aspetti che contrariavano profondamente lo scienziato. La meccanica quantistica permette infatti di calcolare i valori delle grandezze osservabili nei processi atomici, ma solo su una base statistica, rinunciando in linea di principio ad una descrizione completa e strettamente determinata del mondo microscopico.
Einstein spese gli ultimi anni di vita, trascorsi all'Università di Princeton negli Stati Uniti, in vivaci polemiche con i creatori della nuova meccanica quantistica, in particolare con il grande fisico danese Niels Bohr. Tentò di inventare paradossi o suggerire esperimenti per mostrare l'inadeguatezza della teoria e la necessità di svilupparne una versione in cui non ci fosse spazio per la casualità. I suoi sforzi in questa direzione furono vani; ma gli argomenti sollevati da Einstein nel corso della sua lunga polemica sono serviti da stimolo, fino ai giorni nostri, per più approfondite ricerche sui fondamenti della meccanica quantistica e sulla sua interpretazione.