zombi
żómbi s. m. e f. [dalla voce creola delle Antille zombi «fantasma; morto richiamato in vita»]. – Nel rito vudù, il fantasma o comunque la persona che, dopo il decesso, si pretende sia richiamata in vita da un boko, sacerdote vudù dedito a pratiche di magia nera e di cui lo zombi diviene lo schiavo, utilizzato per lavori infimi o addirittura illeciti e malefici (nella realtà etnografica si tratta per lo più di individui in stato di torpore letargico o di psicolabili); la figura, oggetto di racconti e poi di film dell’orrore, è diventata un personaggio di genere, contrassegnato da un aspetto cadaverico e da un atteggiamento allucinato e abulico, che spesso cerca di afferrare i viventi per cibarsene e ridurli nella sua stessa condizione: credere negli z.; un film sugli zombi. In usi estens. e fig., individuo in uno stato fisico e psichico di estremo decadimento, stralunato e malvestito: la lunga malattia, o la droga, l’ha ridotto uno z.; o anche privo di personalità, abulico, imbambolato: con quello sguardo fisso e vuoto è proprio uno z., sembra una zombi. In contesti di tono polemico, riferito a personaggio (spec. della politica o dello spettacolo) un tempo potente o celebre il quale, dopo un lungo periodo di inattività, pretende di riproporsi sulla scena ma appare ormai chiaramente superato dall’evoluzione delle ideologie o del gusto. ◆ È a volte usata anche la forma ingl. zombie 〈∫òmbi〉 (pl. zombies 〈∫òmbi∫〉).