zanzara
żanżara s. f. [lat. tardo zinzala, voce onomatopeica]. – 1. Nome comune di piccoli insetti ditteri nematoceri, costituenti la famiglia culicidi, rappresentati da un migliaio di specie diffuse in tutto il mondo, soprattutto nelle zone tropicali e subtropicali, sempre vicino all’acqua (paludi, stagni, acquitrini, pozze di scogliera, fossi, ecc.), le cui femmine attraverso punture fastidiose possono trasmettere gravi malattie, quali la malaria (trasmessa da alcune specie di anofeli), la febbre gialla, la dengue, alcune filariosi; hanno corpo delicato, grandi occhi, apparato boccale sporgente all’innanzi come una lunga tromba diritta, di cui le femmine si servono per pungere uomini e animali e succhiarne il sangue, generalmente necessario alla maturazione delle uova; le larve, con apparato boccale masticatore, e le pupe, in forma di virgola e mobili, vivono nell’acqua; i maschi, differenti dalle femmine per le lunghe antenne piumose e per i palpi mascellari diversamente conformati, si nutrono di sostanze zuccherine che trovano nei fiori. In similitudini, riferito a persona: molesto, seccante, noioso come una z.; una vocina di z., voce acuta e sottile. 2. Z. tigre, nome dato da viaggiatori e giornalisti alla specie Aedes albopictus, per la presenza di striature bianche sul corpo e sulle zampe e per la particolare aggressività: originaria del sud-est asiatico, dove la sua puntura, talvolta mortale, può trasmettere la dengue e la febbre gialla, è diffusa oggi anche in Africa e nelle Americhe, e ha fatto la sua comparsa anche in Italia: qui però, pur restando un potenziale vettore di virus e di filarie, ha una puntura dolorosa ma non pericolosa, perché trova molto difficilmente soggetti dai quali succhiare sangue infetto. ◆ Dim. żanżarétta, żanżarina, e żanżarino m.; accr. żanżaróna, e più com. żanżaróne m. (v.); pegg. żanżaràccia.