vittima
vìttima s. f. [dal lat. victĭma, di etimologia oscura]. – 1. Essere vivente, animale o uomo, consacrato e immolato alla divinità: consacrare, sacrificare, uccidere o immolare la v.; condurre la v. all’altare; Mentre che ’n su la riva un bianco toro Al supremo Tonante offro per vittima (Caro); per l’usanza di trarre auspici dai visceri degli animali sacrificati, v. extispicio. Nell’uso ant., fare vittima di qualcuno, sacrificarlo: Carlo venne in Italia e, per ammenda, Vittima fé di Curradino (Dante). 2. estens. e fig. a. Chi perisce in una sciagura, in una calamità, in seguito a gravi eventi o situazioni: le v. del terremoto; le v. dell’ultima guerra; le v. del terrorismo; le v. di un disastro ferroviario, di una sciagura aerea; morire vittima di una epidemia, di una grave infezione, della droga; vittime della strada, della montagna, ecc., i morti per incidenti stradali, per incidenti avvenuti in montagna, ecc.; v. del dovere, chi perisce nell’adempimento del proprio dovere. b. Chi soccombe all’altrui inganno e prepotenza, subendo una sopraffazione, un danno, o venendo comunque perseguitato e oppresso: restare v. di un intrigo, di un tradimento; essere v. della prepotenza altrui; vittime della barbarie, della tirannide; anche in riferimento a chi si danneggia da sé stesso: quell’uomo è v. del suo eccessivo attaccamento al lavoro, della sua ambizione. In usi iperb., chi è costretto a subire le imposizioni altrui, a essere succube di altri: essere v. o la v. del marito, della moglie; quel giovane è sempre stato v. della madre, o dell’autoritarismo oppressivo dei genitori. Frequente nell’uso fam. l’espressione fare la v., atteggiarsi a vittima, dire e lamentare di essere oppresso e maltrattato: fa la v., ma in realtà chi comanda, in casa, è lei; smettila di fare la v., tanto nessuno ti crede.