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viṡigòtico

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visigotico


viṡigòtico agg. (pl. m. -ci). – Dei Visigoti, uno dei due gruppi (l’altro è costituito dagli Ostrogoti) in cui si divise l’antica popolazione germanico-orientale dei Goti, stanziato in età romana nel Ponto e di qui penetrato, tra il 4° e il 6° sec., in Grecia e nei Balcani, quindi in Italia, nella Gallia e nella Penisola iberica: le migrazioni, le invasioni v.; l’arte, la cultura, la lingua visigotica o visigota. In partic., diritto v., l’insieme delle leggi promulgate dai Visigoti tra il 419, anno in cui il loro insediamento in Gallia venne legittimato dall’impero romano, e il 710, anno della morte del re Vitiza, cui seguì l’invasione araba della Spagna: comprende il Codex Euricianus, la Lex Romana Wisigothorum, il Liber Iudiciorum e, secondo più recenti studî, anche l’Edictum Theodorici, erroneamente attribuito in passato al re ostrogoto. Scrittura v., la scrittura usata nei manoscritti spagnoli dei sec. 8°-12° (e soppiantata definitivamente dalla gotica nel sec. 13°), così detta perché i suoi caratteri distintivi si vennero formando nell’ultimo tempo della dominazione visigotica in Spagna; si distinguono due forme: la minuscola, che è di tipo librario, e la corsiva, propria dei documenti, ambedue derivate da un’evoluzione locale della minuscola corsiva romana; peculiare di questa scrittura è inoltre l’uso di un alfabeto capitale, influenzato dalla scrittura araba, con numerosi elementi decorativi.

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