vigilare
v. intr. e tr. [dal lat. vigilare, der. di vigil -ĭlis «vigile»] (io vìgilo, ecc.). – 1. intr. (aus. avere) a. letter. Vegliare, stare sveglio: vigilate Così sempre, o miei figli, e non si lasci Niun dal sonno allacciar (V. Monti); Quando fanciullo, nella buia stanza, Per assidui terrori io vigilava, Sospirando il mattin (Leopardi). b. Stare attento, usare molta attenzione perché qualche cosa avvenga nel modo voluto: vigilate che gli ordini siano eseguiti, che nessuno esca senza il lasciapassare; dovrà v. personalmente al buon andamento dell’affare. Nel rifl., raro, controllare attentamente i proprî pensieri, sentimenti, atti: egli se ne accorgeva e ne provava terrore: ma in fondo si vigilava; sentiva la sua coscienza desta (Deledda). 2. tr. Sorvegliare, seguire con attenzione e controllare lo svolgimento di un’azione, il modo di comportarsi di una o più persone, di gruppi o di enti, o anche il funzionamento di impianti e macchinarî, per poter intervenire rapidamente ed efficacemente se necessario: v. i figli; v. l’andamento di un lavoro, una centrale nucleare; v. la propria azienda; tutt’intento a vedere come andassero gli affari pubblici, si dimenticava di vigilar le sue faccendole private (Manzoni). Con riferimento a persone sospette: sono strettamente vigilati dalla questura. ◆ Part. pres. vigilante, frequente come agg. (v. vigilante1). ◆ Part. pass. vigilato, usato anche come agg. e s. m. (f. -a), soprattutto in alcune espressioni del linguaggio giudiziario: libertà vigilata, misura di sicurezza restrittiva della libertà individuale (v. libertà, n. 1 a); un vigilato, i vigilati, con riferimento a persone in stato di libertà vigilata; v. (o sorvegliato) speciale, persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale (v. sorveglianza).