venerabile
veneràbile agg. [dal lat. venerabĭlis, der. di venerari «venerare»]. – 1. Degno di venerazione: il v. sacramento dell’Eucaristia (anche sostantivato, nel linguaggio eccles.: esposizione del Venerabile); Tanto che ’l venerabile Bernardo Si scalzò prima (Dante); il v. vegliardo; un vecchio di v. aspetto; in funzione di predicato: ei nudo andonne, Dell’assisa spogliato ond’era un giorno V. al vulgo (Parini). Riferito a luoghi sacri o considerati tali: il v. Santo Sepolcro; A quelle sacre e venerabil mura [di Gerusalemme] (T. Tasso); più cose belle E di scultura e di color, ch’intorno Il venerabil luogo aveano adorno (Ariosto). In usi per lo più scherz., età v. o v. età, età molto avanzata: era giunto alla v. età di 92 anni; direi che alla tua v. età il giudizio lo dovresti avere. Con tono di amara ironia: Venerabile Impostura, Io nel tempio almo a te sacro Vo tenton per l’aria oscura (Parini, nell’ode che s’intitola appunto La impostura). 2. Con uso specifico, titolo attribuito ai servi, e alle serve, di Dio dopo che la Congregazione delle cause dei santi (in passato la Congregazione dei riti) ha riconosciuto, e il papa ha proclamato, l’eroicità delle loro virtù o il fatto del martirio; il servo di Dio «venerabile» – del quale è introdotta la causa di beatificazione – non può essere oggetto del culto pubblico. In funzione di sost.: i santi, i beati e i venerabili. 3. a. Con valore generico, titolo d’onore di congregazione e luoghi religiosi: la v. confraternita; il v. capitolo; la v. cappella, ecc.; anticam. con uso anche più ampio. b. Come titolo di grado, il Venerabile (sost.), il presidente di una loggia massonica.