vagabondo
vagabóndo (ant. vagabundo) agg. e s. m. (f. -a) [dal lat. vagabundus, der. di vagari «vagare»]. – 1. agg., letter. Che va errando in qua e là; errante, ramingo: quasi della fortuna disperato, vagabundo andando, pervenne in Lunigiana (Boccaccio); anche di animali: lupi, cani v.; quanto le sue pecore remote E vagabunde più da esso vanno, Più tornano a l’ovil di latte vòte (Dante: qui in senso fig., con allusione ai domenicani, quasi pecore dell’ovile di san Domenico); e di cose: nuvole v.; come un turbine vasto, incalzante, vagabondo, scoscendendo e sbarbando alberi (Manzoni). In usi fig.: inseguire i proprî pensieri vagabondi. 2. Di persona che, priva per lo più di una sede o dimora fissa, va errando di luogo in luogo, o gira oziosamente per le strade, vivendo di espedienti, talora di accattonaggio e di piccoli furti: gente v.; spesso come sost.: un’accozzaglia di vagabondi; sarà bene tenere gli occhi bene aperti, ci sono troppi v. in giro; è un v., anche, in genere, di uno scioperato, di un fannullone, che non ha voglia di lavorare e ama girellare oziosamente per le vie; malattia dei v., sinon. di pediculosi (v.); fare il v., spesso scherz., di chi ama la vita all’aperto, e non sta mai in casa; iron., fare il mestiere del vagabondo. Per estens., vita v., da vagabondo (anche in senso attenuato, la vita di chi, per diporto o per necessità, è sempre in giro). ◆ Pegg. vagabondàccio, solo come sost. (f. -a).