uomo. Finestra di approfondimento
Uomo, donna e persona - Nel sost. u. sono confluiti sia i sign. propri dell’etimo lat. homo («essere umano»), sia quelli di vir («essere umano di sesso maschile»), radice conservata soltanto in der. dotti quali virile,virilità e sim., oppure nel termine virtù, che però ha mutato sign., a partire dal cristianesimo, rispetto all’originario lat. virtus («coraggio, valore militare e sim.»). Proprio per questo, spesso u. è usato come sinon. di persona, senza riferimento al genere masch. o femm. In alcuni linguaggi specifici, come quello med. o giur., a persona è talvolta preferito soggetto: il soggetto presenta una sintomatologia complessa; i soggetti a rischio; il differimento ha luogo anche quando l’espiazione della pena possa avvenire senza pregiudizio della salute del soggetto e di quella degli altri detenuti (Codice Penale). Oppure individuo (spesso usato nel linguaggio della statistica: su trenta individui, ventisette hanno risposto affermativamente), che però ha anche uso com., sottolineando ora l’unicità della persona rispetto alla massa (la globalizzazione tende all’annullamento dell’individuo), ora designando, viceversa, una persona anonima, tra tante, di solito in senso spreg.: un individuo qualsiasi; che vorrà mai da me, quell’individuo? In quest’ultimo sign., individuo è spesso sostituito dai più com. tale, tipo (femm. e fam. tipa), tizio (femm. tizia), uno (femm. una): c’era ancora quella certa tizia che tirava a fargli perdere il pane (G. Verga).
Parità di diritti - L’uso del masch. non marcato, come genere indistinto per uomini e donne, a partire dagli ultimi decenni del Novecento e per influenza di analoghe tendenze di altri paesi, ha cominciato ad essere condannato, poiché sentito come discriminante. Pertanto in talune espressioni a u. è stato sostituito persona: diritti della persona (e non più, o ormai sempre più raram., diritti dell’u.) oppure l’espressione uomini e donne: i problemi di tutti gli u. e le donne che lavorano. Parallelamente a quest’uso, si preferisce oggi usare la desinenza femm. se ci si rivolge a donne, anche per nomi di professione e di ruolo prima usati solo al masch. (avvocata, ministra, sindaca), oppure entrambe le desinenze (mediante l’uso della sbarretta: ragazzo/a), in luogo della sola masch., se ci si rivolge a persone di entrambi i sessi (uso anche questo anticipato dallo he/she angloamericano): gli/le allievi/e dovranno presentarsi domattina. Analogam., viene talora avversato il suff. -essa, avvertito come spreg., in nomi quali presidentessa, vigilessa, ormai sostituiti da la presidente, la vigile. Il suff. permane senza interdizione in nomi ormai del tutto cristallizzati, quali dottoressa, professoressa e studentessa. Avversati anche i sintagmi del tipo donna poliziotto, donna giudice, sostituiti da la poliziotta, la giudice.
Maschi e femmine - Se si vuole sottolineare il genere, l’ital. dispone, oltre che di u. e donna, anche di maschio e femmina, non marcati se si parla di animali (la femmina del fagiano o il fagiano femmina, il maschio dell’antilope o l’antilope maschio), di solito ricchi di sfumature, secondo il contesto, se si parla di esseri umani. Normali se si parla di bambini e bambine (i bagni dei maschi e quelli delle femmine), a proposito degli adulti maschio e femmina sottolineano spesso triti stereotipi di genere, quali il mito della virilità nel maschio, o quello della sensualità o della cura del corpo e dell’apparire nella femmina: è un vero maschio; non guardo le donne, ma solo le femmine. Maschio e femmina, più spesso di u. e donna, sono spesso usati in funzione attributiva: si sente molto femmina. Negli ultimi decenni, per sottolineare, talora spreg. o scherz., il mito della mascolinità si ricorre allo sp. macho, che ha dato luogo anche al der. machismo: un macho tutto muscoli e poco cervello; l’autoironia è un ottimo antidoto contro il machismo. Sinon., solitamente iron., di maschio sono duro (che sottolinea l’imperturbabilità, il coraggio e spesso l’arroganza quali supposte doti dello stereotipo maschile), maschione («sessualmente dotato»), vero u. (o u. vero).
Signore e signori - Sempre in base a stereotipi linguistici, talora donna e u. si sostituiscono a più precisi nomi di mestieri. Donna è spesso, nell’uso fam., designata la colf (vedi scheda CAMERIERA), mentre u. viene detto, sempre fam., un operaio o un tecnico: chiama l’u. dell’ascensore. Rispetto a u. e donna si distinguono signore e signora, con usi diversi. Dire di un u. che è un signore equivale a qualificarlo come generoso, fine, di buone maniere (v. scheda gentile), in contrapp. dunque a termini spreg. quali bifolco, cafone, zotico: che signore!; è davvero un gran signore. Una signora, invece, sarà una donna di classe, dal nobile portamento e spesso dai modi garbati ed eleganti, mai volgari, in contrapp. dunque a termini di mestiere usati in accezione assai spreg. quali lavandaia, sciampista, serva e sim.: al mondo ci sono le donne e ci sono le signore.